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E se il futuro non fosse così brutto come lo racconta chi ha paura di cambiare?

Potrebbe essere un mondo migliore del “loro”, che in fondo è un luogo in cui milioni di persone coltivano come massima aspirazione quella di accumulare futilmente ricchezze che non riuscirebbero a spendere in una dozzina di vite e altre giudicano che una pensione da 8mila euro al mese non basta
DAL BLOG
Di Stefano Fait - 29 dicembre 2017

Anticipatore sociale, analista di macrotendenze consulente strategico

Capita di leggere sempre più spesso dotte dissertazioni che lasciano trasparire la frustrazione, esasperazione e a volte sgomento di analisti che assistono al naufragio del proprio mondo e non riescono a farsene una ragione e ad esplorare nuovi modi di vivere i tempi che verranno. Come molti di noi, sono convinti che il mondo debba adattarsi alle loro esigenze, non il vice versa. Così continuano a nuotare controcorrente nella convinzione che prima o poi la corrente cambierà senso di marcia e tutto filerà liscio. E più s’incaponiscono, più le cose andranno male, le delusioni si rincorreranno, il disagio esistenziale monterà e i loro scritti si faranno più striduli, esasperati, fatalisti, nichilisti – del tipo: “Dopo di me il Diluvio”.

 

Il mondo su cui hanno puntato, il mondo che li ha esaltati socialmente, il mondo nel quale hanno investito energie ed identità sta morendo e loro si trovano completamente disallineati, spaesati, sperduti, indisposti a trovare la flessibilità necessaria in un universo che è intrinsecamente mutevole e che perciò richiede ai viventi senzienti di cambiare piani anche bruscamente, di essere resilienti piuttosto che cocciuti, per trovare, insomma, un modo di fluire dignitosamente. Anche se questo comporta fare buon viso a cattivo gioco ed esaminare la possibilità che forse il mondo che viene non fa poi così schifo: offre opportunità diverse, rimuove certi ostacoli e iniquità, richiede trasparenza e sensibilità e tanta capacità di adattamento e sperimentazione. 

Potrebbe perfino essere un mondo migliore del “loro”, che in fondo è un luogo in cui milioni di persone coltivano come massima aspirazione quella di accumulare futilmente ricchezze che non riuscirebbero a spendere in una dozzina di vite e altre giudicano che una pensione da 8mila euro al mese non basta. Nel leggere i loro scritti la reazione naturale, umanamente, di molti è quella dell’irritazione. Perché infangano tutto ciò che esce dai loro binari prestabiliti, che minaccia le loro ideologie antiquate, che testimonia la loro incapacità di adattarsi alle trasformazioni in corso. Perché, nel farlo, di fatto si sforzano di seminare disfattismo, rassegnazione e ansia, nella consapevolezza che tanto i loro ruoli sociali li mettono al riparo dalle conseguenze di un tale clima catastrofistico?

 

Ci irritano perché ci ricordano quei ragazzini (e adulti) che quando giocano sono più interessati alle regole che al gioco stesso, perché le usano per incatenare la fantasia altrui e imporre la propria volontà (percepita come superiore). Le regole, le consuetudini, diventano immutabili e ogni cambiamento importante è un affronto personale. Ciò detto, una reazione più avveduta è quella della costruzione di visioni di futuro alternative, desiderabili, ottimistiche, incoraggianti e governabili, narrazioni che consentano alla popolazione di capire le dinamiche in corso, prenderne atto, meditare sulle scelte disponibili, attrezzarsi per cavalcare il cambiamento invece di subirlo, tutelando il proprio stile di vita, la propria identità, le proprie aspirazioni collettive e personali; diventando protagonisti e non comparse nel proprio destino.

 

Una buona narrazione rifugge dal rischio del retrofuturismo, vale a dire la proiezione lineare di passato e presente nel futuro, e problematizza il determinismo tecnologico. L’innovazione tecnologica altera il nostro essere nel mondo ed espande (o contrae) le coscienze ma è anche vero il contrario: l'innovazione va dove c'è un mercato e il mercato si dirige dove vanno i desideri e le aspirazioni delle persone. Una buona narrazione (storytelling) parte da premesse ampiamente condivise.

Nel caso trentino una di queste premesse potrebbe essere la missione di perseguire obiettivi di crescita culturale, sociale, civile delle persone che animano le comunità trentine, andando incontro all’ispirazione etica cooperativista che caratterizza la nostra tradizione. In questo breve esercizio di narrazione “precognitiva” che semplifica per esigenze giornalistiche quel che si potrebbe fare su varie scale e in vari gradi di approfondimento, mi sono dato una proiezione a vent'anni e ho considerato plausibile una seconda premessa, di natura planetaria: la più grande trasformazione della vita umana sarà il culmine di vari trend in favore della de-massificazione e del decentramento.

 

La popolazione umana del pianeta si sarà stabilizzata da anni, a un tasso previsto solo da pochi demografi attenti, poiché un rapido aumento del benessere nei paesi emergenti coinciderà con la fine dell’imperativo natalista patologico che ha determinato il boom demografico. Nuove terapie avranno ridotto l’impatto dell’invecchiamento e quindi impedito un crollo demografico occidentale. La fine della pressione demografica avrà reso possibile una spinta al decentramento, alla delega, alla sussidiarietà. I decisori si saranno convinti dell'opportunità di sviluppare infrastrutture organizzative più leggere e delegare certi compiti strategici a unità e aziende più piccole e flessibili. Questa tendenza alla demassificazione risulterà decisiva per la mobilità in quanto la destrutturazione delle grandi concentrazioni industriali, energetiche e finanziarie anche tramite l'avanzare dell'automazione, del multipolarismo e delle rivendicazioni democratiche (“populiste”) porterà con sé una realtà in cui energia, prodotti e servizi  vengono realizzati in gran parte localmente.

 

Di conseguenza il commercio internazionale si sarà evoluto in direzione di una prevalenza di materiali finiti e componenti da assemblare piuttosto che merci da scaffale. Se la vendita al dettaglio dovesse continuare a contrarsi progressivamente all’espandersi del ruolo dell’ecommerce e delle spedizioni automatizzate a bassissimo costo e in tempi estremamente rapidi (magari tramite l'uso di droni) è probabile che il produttore-venditore non senta più il bisogno di pagare affitti stratosferici per posizionarsi nei centri storici e quindi il traffico verso l'interno delle città potrebbe essere drasticamente ridotto. Chi passeggia fruirà di servizi di commercio, ristorazione e intrattenimento dotati di un valore sociale: caffè, bistrot, ristoranti slow food, ortofrutta biologici, barbieri e centri estetici con una forte impronta di socializzazione, musei, gallerie d'arte, librerie e vetrine che mostreranno le produzioni dei creativi locali.

 

Il resto svanirà gradualmente. I consumatori potrebbero avere accesso ai prodotti desiderati grazie a procedure di produzione di componenti modulari facilmente assemblabili sul posto e lì si svilupperanno anche gli spazi commerciali. In pratica, dopo aver ordinato online il mio nuovo vtol, mi recherò direttamente al concessionario-centro-di-assemblaggio-officina una volta ricevuta un'email di conferma dell'avvenuta esecuzione dell'ordine. L’industria automobilistica (a terra ed aerea) diventerà modulare. Le componenti saranno costruite in moduli standardizzati in modo tale che alcuni acquirenti possano addirittura farsi spedire le parti nel proprio garage accedendo alle istruzioni di montaggio e design open source caricate su internet.

 

Grazie al crollo dei prezzi delle macchine laser per incisione e taglio relativamente facili da imparare ad usare, si assisterà alla diffusione di piccole imprese di pensionati/studenti-maker di cucine, elettrodomestici, robot domestici, motociclette, computer, smartphone, biciclette, eccetera: tutto personalizzato per consumatori sempre più esigenti. Magari si metteranno in rete con altri piccoli produttori per raggiungere un'economia di scala. Ci saranno pensionati e studenti che, a costi contenuti, trasformeranno l’ambiente domestico a fini di produzione di energia, cibo, riciclo e compostaggio, beni di consumo. E poiché non sarà più indispensabile trovarsi in un certo luogo per poter fare tutto questo, i prezzi degli immobili scenderanno o crolleranno. In ogni caso la popolazione migrerà dove il costo della vita è più basso e ci saranno gruppi di pensionati, studenti e famiglie che si metteranno d’accordo per migrare assieme nello stesso luogo, fondando una propria comunità semi-autonoma eppure perfettamente connessa col resto del mondo, valorizzando i talenti dei singoli in un sistema di reciprocità, scambio e resilienza responsabile.

 

Questo dovrebbe consentire una maggiore autonomia alle comunità più piccole e anche alle nazioni più piccole e quindi un più elevato tenore di vita e tassi ulteriormente ridotti di crescita demografica, nonché un riflusso della fuga dei cervelli che in parte non avranno più bisogno di lasciarsi catturare dai classici attrattori metropolitani e poli finanziari globalizzati e in parte grazie al telelavoro non dovranno spostarsi fisicamente così di frequente: il pendolarismo sarà ridotto al minimo. Le nozioni correnti di impiego e carriera subiranno anch'esse una trasformazione man mano che l'automazione divorerà posti di lavoro, programmi di reddito di base garantito o formule ancora più avanzate rese possibili dalla completa ristrutturazione della finanza internazionale e del sistema bancario prolifereranno ed economie fondate sul credito sociale emergeranno nelle cosiddette “comunità intenzionali” e nei settori economici alternativi, alterando anche drasticamente il ciclo di vita della classe media convenzionale.

 

La classe media si concentrerà probabilmente su attività imprenditoriali e sul perseguimento di carriere sofisticate sostenute da una formazione autodidatta o magari innovativa, in contrasto con il classico motivo del colletto bianco e dell'impiego dirigenziale con relativo status. Questo significa che le persone più creative e talentuose avranno la possibilità di vivere già l'intera età adulta nel “posto del cuore” invece di coltivare il sogno della vita anelata una volta raggiunta l'età pensionabile, recandosi occasionalmente nella “terra promessa”. Un’altra parte della popolazione si dedicherà a uno stile di vita nomade scegliendo deliberatamente di vivere senza un grosso fardello di beni materiali, emigrando stagionalmente o in funzione dei trend sociali e culturali.

 

Quindi sorgeranno circuiti di eventi culturali, didattici, di puro intrattenimento con centinaia di migliaia di aficionados in perpetuo movimento alla ricerca di nuovi spunti, stimoli, capacità. Questo sarà reso possibile dall’abbattimento dei costi in virtù dell’automazione e dallo sviluppo di nuove tipologie di produzione dell'energia a bassissimo costo. In ogni caso una gran parte dei paradigmi architettonici, urbanistici, logistici e della mobilità tipici della nostra civiltà è funzionale a un modello industriale ormai superato e quindi non si può pensare che essi restino immutati. La quarta rivoluzione industriale potrebbe assomigliare da vicino, almeno a livello logistico all’era preindustriale (ritorno al locale), con in più l’immenso vantaggio della possibilità di inserirsi in una rete globale e di avvalersi dell'automazione e dell'informatica.

 

Se già adesso lo sviluppo della tele-robotica dovrebbe consentire agli esseri umani di evitarsi gli impacci e i rischi della vita nello spazio è quasi inimmaginabile l'orizzonte di opportunità che si aprirà per gli essere umani a terra. La mobilità diventerà sempre più una scelta di stile di vita e sempre meno una necessità. Si viaggerà nello spazio e attraverso i continenti le nazioni con confini sempre più porosi principalmente per piacere, apprendimento e per generare capitale sociale. Insomma, potrebbe perfino essere un mondo migliore del “loro”.

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