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Pechino 2022, non ci sarà nessuna ''tregua olimpica''. La kermesse sarà solo l’ennesima puntata della sfida: tutti i giocatori al tavolo vogliono vincere

DAL BLOG
Di Raffaele Crocco - 04 febbraio 2022

Corea del Sud, 2018. Tokyo 2020, in realtà 2021. Ora Pechino, 2022: non è per nulla strano che i Giochi olimpici abbiano preso la strada dell’Oriente. E’ la terza olimpiade consecutiva in Asia e non appare causale. I dati economici, culturali, demografici, militari, ci raccontano da tempo che il continente sta tornando là dove la storia lo ha sempre voluto: in cima, al primo posto.

 

La locomotiva cinese traina le economie di tutti i Paesi circostanti, il Giappone continua ad essere una delle potenze industriali del Pianeta. Con tutte le contraddizioni che noi europei possiamo vedere – diritti pochi o nulli, democrazie balbuzienti quando va bene, ricchezza mal distribuita – l’Asia è protagonista nel dettare le regole del Mondo. Le Olimpiadi – dopo la brevissima stagione dei Paesi emergenti che le usavano per avere una ribalta e una opportunità economica – sono tornate ad essere la vetrina delle potenze mondiali, il megafono di chi vuole far vedere a tutti di essere il migliore. In fondo, con buona pace del barone De Coubertin, è questo lo spirito olimpico: si va per vincere, non per partecipare.

 

E anche chi organizza ha voglia di vincere, la Cina in particolare. A dispetto di tutto. Digerendo il rospo della squadra olimpica di Taiwan presente alle cerimonie di apertura e chiusura su espresso invito del Comitato Olimpico Internazionale. Si, perché a differenza delle Nazioni Unite, che dal 1971 hanno escluso dalla propria assemblea Taiwan per far posto alla Repubblica Popolare di Cina, lo sport internazionale riconosce l’isola come Stato indipendente. Un corto circuito diplomatico che irrita Pechino.

 

Così come certamente il governo cinese mal digerisce le accuse di non rispettare i diritti umani: il parlamento di Tokyo proprio qualche giorno fa ha approvato una risoluzione che denuncia la “grave situazione dei diritti umani” e ha annunciato che non manderà una delegazione del Governo alla cerimonia d’apertura. Anche Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Gran Bretagna non manderanno rappresentanze diplomatiche, sempre per denunciare il comportamento di Pechino nei confronti dei musulmani uiguri nello Xinjiang e per la repressione delle opposizioni in Tibet e Hong Kong.

 

Poco importa, sono piccoli incidenti nella visione cinese. Il presidente Xi Jinping celebra la potenza sportiva della Cina per ricordare al Mondo la potenza economica, politica e militare del suo Paese. Non a caso al suo fianco c’è Vladimir Putin, che salda l’asse Pechino- Mosca contro il Vecchio Occidente. Il Mondo torna bipolare, rotto per il lungo dalla spaccatura fra l’Occidente – Stati Uniti, vecchia e nuova Europa, parte del Pacifico anglosassone – e Oriente – Russia e Asia – con l’esclusione del Giappone.

 

Questi giochi olimpici, con il carico di tensioni e ingiustizie che si portano dietro, sembrano ridisegnare il Pianeta. La pandemia ha fermato le economie di interi continenti, come l’Africa, la parte centrale dell’Asia, riaccendendo la miccia dei colpi di stato, delle agitazioni di piazza. Il virus ha creato nuove brecce, nuove ipotesi di penetrazione da parte dei Paesi più ricchi in quelli più poveri, riallargando la forbice fra chi ha molto denaro e chi non ne ha. In Ucraina, la Russia sfida apertamente Usa e Europa per ritrovare un ruolo da leader. Nel Mar della Cina, Pechino mostra i muscoli e fa alzare in volo i propri aerei da combattimento per tastare le reazioni degli avversari.

In queste condizioni, Pechino 2022 non saranno giochi da “tregua olimpica”. Non saranno due settimane in cui chiedere, come vuole una romantica tradizione, che la guerra si fermi, che il Mondo rifletta in nome della “fratellanza nello sport”. Saranno solo l’ennesima puntata della sfida: tutti i giocatori al tavolo hanno fretta. Vogliono decidere rapidamente chi è a comandare nel Pianeta.

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