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Ecco perché abbiamo bisogno del 1° maggio (e non chiamatela Festa del Lavoro)

DAL BLOG
Di Raffaele Crocco - 01 maggio 2023

Abbiamo bisogno del 1 maggio. Ne abbiamo bisogno come abbiamo bisogno dell’aria e del cibo. Ne abbiamo bisogno quanto il bisogno di intelligenza. Perché è la Festa dei Lavoratori ed è il momento giusto per alzare la testa e denunciare le troppe cose non vanno attorno al lavoro.

 

La prima cosa che dobbiamo fare è ricordare che questa è, appunto, la Festa dei Lavoratori, non è la Festa del Lavoro. Facciamo attenzione, le parole sono i mattoni con cui costruiamo il Mondo che ci circonda. Se, come fanno alcuni da anni, facciamo diventare il 1 Maggio una ”Festa del Lavoro” significa che mettiamo sullo stesso piano, nello stesso calderone, padroni e dipendenti. Li facciamo sedere allo stesso tavolo. Così tutto e tutti diventano uguali e il 1 Maggio non è più il momento utile per rivendicare ciò che serve, per denunciare quello che non va, per tracciare la differenza di interessi e ruolo fra padronato e lavoratori.

 

Dobbiamo essere fermi in questo: il 1 Maggio non può e non deve essere la festa di tutti, almeno sino a quando le differenze, fra chi il lavoro lo offre e chi lo accetta, non saranno limate e riportate ad un giusto equilibrio. Cosa ancora lontana, ancora troppo distante. In Italia, ad esempio: ci sono amministratori delegati che guadagnano fino a 100 volte il salario di un proprio dipendente. E se l’azienda va in crisi, ad essere tagliato non e il manager, ma il dipendente.

 

Ampliamo l’orizzonte, guardiamo al Mondo. Secondo l’Ilo, l’agenzia dell’Onu che si occupa di lavoro, nel 2023 la crescita mondiale dell’occupazione globale si fermerà all’1,0%, meno della metà del 2022. Contemporaneamente, aumenterà di 3milioni di persone la disoccupazione globale, raggiungendo quota 208 milioni. Questo significa che ci sarà un tasso di disoccupazione globale pari al 5,8 per cento. Questo, dice l’Ilo, è in buona parte dovuto alla scarsità di offerta di lavoro nei Paesi ad alto reddito. 

 

Attenzione però, il bello arriva ora. Per l’agenzia Onu, infatti, a preoccupare non è solo la disoccupazione in crescita. C'è anche l’aspetto della qualità del lavoro. Sta scomparendo, dice l’Ilo, spiegando che “nella crisi pandemica ha vacillato il risultato ottenuto con un decennio di progressi nella riduzione della povertà strettamente connessa con la disponibilità di posti di lavoro dignitosi. La continua carenza di migliori opportunità di lavoro è destinata a peggiorare. L’attuale rallentamento comporterà il rischio che molti lavoratori dovranno accettare lavori di qualità inferiore, spesso con retribuzioni molto basse e talvolta con orari insufficienti. Inoltre, poiché i prezzi aumentano più rapidamente dei redditi nominali da lavoro, la crisi del costo della vita rischia di spingere sempre più persone verso la povertà”.

 

Traduciamo: ad essere poveri oggi, nel Mondo, non sono solo quelli senza occupazione. I poveri sono anche moltissimi lavoratori. Cioè, donne e uomini che ogni mattina si alzano per andare a lavorare in posti assurdi, per paghe da fame. Non è un problema esclusivo dei Paesi in via di sviluppo. E’ un problema che ci ritroviamo in casa, negli stipendi barzelletta che vengono dati a coloro che lavorano nelle cooperative di servizi, nel commercio, in campagna, solo per citare alcune categorie.

 

Il lavoro rimane lo strumento principale per accorciare la forbice tra ricchi e  poveri. Dovrebbe garantire una migliore distribuzione della ricchezza e una più rigorosa applicazione quotidiana dei diritti elementari: alla salute, allo stato sociale, alla libertà individuale e collettiva. La democrazia può esistere solo se cittadine e cittadini sono - tutti - sullo stessi piano. Paghe eque e diritti garantiti contribuisco a questo livellamento.

 

Per queste ragioni il 1 Maggio deve essere la Festa dei Lavoratori, non del lavoro. Perché è nel riappropiarci della nostra identità che troveremo la forza e le ragioni per lottare, rivendicare, per raddrizzare le cose che non vanno. E’ restando nelle nostre camicie, nei nostri vestiti di lavoratori, che possiamo trovare quello che serve per costruire una democrazia migliore.

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