Parla Rufi, voce storica di Radio Radicale. Dalla pensione a Bergoglio, da Camus a Cattani: ''Di Pannella mi piaceva il Signor Hood che De Gregori seppe vedere in lui''


Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)
Per oltre trent’anni Enrico Rufi, classe 1957 (insomma un coscritto del sottoscritto e di Carlo Martinelli e di Lilli Gruber, per citare altri tre giornalisti stagionati ma viventi e scriventi), ha condotto la rassegna delle prime pagine dei giornali italiani a mezzanotte in punto su Radio Radicale. Una voce sottilmente ironica, empatica, inconfondibile. Da intellettuale pannelliano e dunque dis-organico. Ora che l’hanno pensionato, gli ho proposto una di quelle interviste che i sudtirolesi chiamano Sommergespräch, un dialogo estivo in cui si parla del più e del meno, di tutto e di niente, dei vivi e dei defunti…
La tua ultima rassegna stampa, il 31 luglio 2024, è stata segnata dall'omicidio del leader di Hamas con il Medio Oriente, già incendiato, sull'orlo di una nuova deflagrazione. Il mondo, già in guerra, è sempre sull'orlo di una nuova guerra. Nihil sub sole novi o davvero stavolta rischiamo l'autodistruzione nucleare dell'umanità?
Cinquantanove anni fa, ricordi mio coscritto?, Barry McGuire cantava Eve of Destruction. E due anni dopo Guccini Noi non ci saremo. In quegli anni non si facevano troppe differenze tra l’atomica russa e quella americana. Erano terrificanti e immorali allo stesso modo. Se possibile, un po’ di più quella americana. Oggi, dopo lunghi decenni di pace mai conosciuti in Europa, stiamo capendo che tra una bomba atomica stoccata nell’arsenale di una democrazia, americana o francese che sia, ma anche israeliana, e una bomba atomica nelle mani di un regime illiberale o totalitario la differenza è enorme. E stiamo capendo, credo, che le concessioni agli aspiranti padroni del mondo sperando di ammansirli sono foriere di tragedie ancora più immani per le generazioni a venire. Ecco perché le nostre democrazie non possono e non devono rinunciare alla difesa, oggi, dell’Ucraina e di Israele.
Non so quanti ascoltatori avesse ultimamente la rassegna stampa di mezzanotte ma so che tra i più fedeli ascoltatori c'era Piergiorgio Cattani. Per lui sei stato una voce mitica. E poi anche un amico. Perché, oggi, una voce come la sua ci manca?
Perché Piergiorgio il teologo guardava più a Giacomo Leopardi e a Fabrizio De André che alla Congregazione per la dottrina della fede o alla Pontificia accademia per la Vita. Perché Piergiorgio il cattolico invocava un’altra breccia di Porta Pia per il bene della Chiesa. Perché Piergiorgio il politico (e il malato) aborriva gli slogan contrapposti, come “dal concepimento alla morte naturale” e “libertà di autodeterminazione dell’individuo”, e perché Piergiorgio il giornalista diceva che è ridicolo vedere un mandante dietro ogni giornalista.
Oltre trent'anni di rassegna a mezzanotte, da solo con un tecnico nel silenzio della storica redazione di via Principe Amedeo. Il giorno più difficile, o più emozionante, da raccontare?
Direi il giorno dei funerali di Fabrizio De André, quel 13 gennaio del 1999, quando convinsi Pannella a sostituire i requiem, colonna sonora della radio, con le canzoni di De André. Certo, rischiando l’irriconoscibilità della radio sulla banda FM, visto che i requiem contraddistinguevano la radio dal 1982. Ma perfettamente in linea con la raccomandazione di Pasolini, che nella lettera che non poté leggere al congresso di Firenze del Partito Radicale nel 1975, perché era stato ucciso due giorni prima, aveva scritto: “Voi [radicali] non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili.” Neppure per il pannellian-sionista Herbert Pagani, neppure per il pannellian-divorzista Claudio Villa, neppure per il presidente del Partito Radicale Domenico Modugno era stato rotto il tabù dei requiem, e non lo sarebbe stato neppure successivamente, quando morì il pannellian-teramano Ivan Graziani.
Perché ti hanno mandato in pensione, pur nolente?
Non solo per raggiunti limiti di età, come si suol dire. Anche per via di un conflitto etico-politico che da sei anni mi opponeva alla dirigenza e alla proprietà della radio. Diciamo che io mi ero attestato sul principio che il fine non giustifica i mezzi, loro su quello opposto, alla faccia dello stesso magistero pannelliano.
L'ultimo giorno di lavoro ti sei autocelebrato, con tanto di logo (il tuo cappello di feltro da pastore) su una targa in plexiglas affissa sotto il ritratto di Pannella. Il testo, assai rufiano ma certo non ruffiano, recita: “Da questa postazione, spesso con le gambe sulla scrivania, tenne per più di trent’anni il timone della Radio il compagno Rufi dalle nove di sera in poi. Egli va ricordato per aver spinto Pannella a infrangere il 13 gennaio 1999 il vigente tabù musicale lasciando che i requiem cedessero il posto alle canzoni di Fabrizio De André e per aver riscattato vent’anni dopo l’onore perduto di Radio Radicale. Questo 31 luglio 2024, suo ultimo giorno di servizio suo malgrado, egli stesso pose”. A che cosa si riferisce l'onore perduto di Radio Radicale?
Si riferisce alla scelta dell’editore e dell’allora direttore e degli allora componenti il cdr della radio di fare quadrato attorno a un mitomane sciacallo. Uno tipo Claas Relotius, il giornalista che nel 2018 era stato smascherato e cacciato dallo Spiegel, un giornale che dimostrò di avere molti più anticorpi di Radio Radicale contro i parassiti e i truffatori.
Il caso del collega sedicente prete che millantava entrature vaticane lo hai raccontato nel novembre 2020 su Libero, senza essere denunciato per diffamazione e senza essere richiamato dal tuo editore. Però quella targa bruciava e l'hanno subito rimossa: perché Rufi-Pasquino è stato scomodo fino alla fine?
Altro che entrature vaticane! Quel farabutto – lo stesso che dopo Radio Radicale grazie al suo curriculum di mitomane e di sciacallo trovò asilo all’Espresso di Marco Damilano, e dalle cui colonne impallinò il cardinal Becciu – si era spacciato per il segretario particolarissimo di papa Francesco, un fantasma con cui l’allora direttore della radio aveva intrattenuto per quattro mesi una surreale corrispondenza. Sì, su quella targa che ho io stesso simpaticamente affisso in radio lo scorso 31 luglio, l’ultima sera di servizio, come iniziativa preventiva contro l’incombente damnatio memoriae, si è subito abbattuta l’ira sgangherata dell’attuale direttrice. Tanto iconoclasta in casa quanto urbana e rassicurante agli occhi della stampa di regime viste le sue regolari ospitate nel piccolo schermo. Bordin, per dire, non veniva mai invitato in nessuna televisione. E se per sbaglio qualche volta capitava, diceva quasi sempre no grazie per conservare la libertà di denunciare le collusioni di questo o quel “collega” o di questa o quella testata coi potentati politici. Comunque è per il mio attivismo nella controinformazione che i vertici della radio non mi rimpiangono.
A parte i ritratti alle pareti, che cosa è rimasto di pannelliano a Radio Radicale?
Alcune persone, quasi tutti tecnici della messa in onda. Pochissimi i redattori. Lontani i tempi in cui si era radicali giornalisti, così come si era radicali avvocati. È da un pezzo, ormai che il giornalista radicale ha preso il sopravvento sul radicale giornalista. Una deriva, peraltro, iniziata prima ancora della scomparsa di Pannella.
Svolge ancora l'insostituibile servizio pubblico che le ha garantito lunghi decenni di finanziamento statale bipartisan?
Ma sì, quello sì, se si intende la trasmissione delle sedute parlamentari. Anche troppo se è per questo, perché la programmazione “istituzionale” è a scapito della radio militante, di quella che fu la voce lealmente faziosa dell’organo della Lista Pannella, a cominciare da Stampa e Regime, che garantiva secondo Marco un servizio pubblico di prima qualità. Si ostinano a chiamarla Stampa e Regime, ma la trasmissione quotidiana in diretta a partire dalle 7 e 35 ormai è né più né meno che una rassegna stampa come le altre, fatta più o meno bene a seconda di chi la cura. Dopo la morte di Bordin, a proposito di controinformazione, io mi sono sempre rifiutato di chiamarla Stampa e Regime, ma hanno fatto finta di non accorgersene.
Che cosa ti piaceva di più di Pannella?
Mi piaceva il Signor Hood che De Gregori seppe vedere in lui, il Pannella con due pistole caricate a salve e quel canestro sempre pieno di parole nuove che lui regalava a chi non ci voleva sentire. Il Pannella obiettore di coscienza, il Pannella antimilitarista in uniforme croata in una trincea all’epoca della guerra in Jugoslavia. Il Pannella che come Alex Langer non confondeva pacifismo e nonviolenza perché aggredito e aggressore non vanno mai confusi.
Qual è il migliore giornale italiano?
La risposta pannellianamente corretta, nel senso che lui molto probabilmente così avrebbe risposto al posto mio è: Il Dolomiti.
E in Europa?
Il migliore non saprei. Diciamo un giornale di respiro europeo che in Francia parla il linguaggio laico, laicista, anticlericale e libertario della mia tradizione culturale e politica. Si chiama Franc-Tireur, è un settimanale d’“extrême centre” diretto da Caroline Fourest, un’intellettuale militante femminista che non fa sconti né ai populisti di destra né a quelli di sinistra, né agli oscurantisti cattolici né a quelli musulmani e neppure a quelli ebrei.
E il miglior politico europeo?
Beh, Macron è nonostante tutto una risorsa per l’Europa, forse più che per la Francia. Se poi allarghiamo lo zoom, non posso non vedere l’inossidabile franco-tedesco Daniel Cohn Bendit, il Dany le Rouge leader del ’68 parigino, oggi risolutamente anti Putin, oltre che anti Mélenchon e anti Le Pen. Con uno stile e un piglio neanche troppo vagamente pannelliani…
Hai vissuto a Parigi, conosci i francesi: come finirà a Parigi? Intendo la politica, non le Olimpiadi...
Effettivamente sono un po’ come il Raffele di Bennato: come lui non ho fatto il soldato ma ho girato abbastanza e conosco un po’ la gente, anche quella di Parigi. E quindi ho tutto sommato fiducia nei francesi e nella solidità dello Stato francese. Ma l’obiettivo a medio e lungo termine di noi federalisti europei rimane il progressivo superamento degli Stati nazionali e centralisti, a cominciare da quello francese.
Perché bisogna ancora leggere il tuo amato Camus?
Perché trentenne, tra il 1943 e il 1945 scriveva dalla clandestinità a un ipotetico amico tedesco alcune lettere che oggi avrebbe potuto indirizzare a un immaginario amico russo (e per conoscenza ai pacifisti contemporanei) per rivendicare che c’è una differenza enorme tra chi entra in guerra con le mani pure delle vittime e chi la guerra la scatena amandola. Eccola la differenza tra noi e loro. Questione di sfumature, per carità, ma che sono i pilastri di quell’umanesimo caro a Camus: “Noi lottiamo per quella sfumatura che separa il sacrificio dalla mistica, l’energia dalla violenza, la forza dalla crudeltà, per quell’ancora più debole sfumatura che separa il falso dal vero e l’uomo in cui noi crediamo dagli dèi vili che voi venerate”.
Ora che ti hanno rimosso dalla rassegna radicale, verrai più spesso in Trentino, tua seconda o terza patria, anche per via di parenti e amici tra Baldo, Lagarina e Rendena?
Terza, perché la seconda patria è la Francia, come del resto è per ciascuno di noi come assicurava già a fine Settecento Thomas Jefferson. Quanto al Trentino, il richiamo è sempre forte, non solo di parenti e amici, ma anche di chi non c’è più, a cominciare dai nonni e dagli zii sepolti nei cimiteri di Ala e di Nogaredo. Mentre in quello di Meano riposa Adriano Scoz, che è stato per me più di un cugino acquisito.
Che cosa ti piace del Trentino?
Diciamo che cosa mi manca di più qui a Roma: i larici e il profumo dei ciclamini. Intendiamoci, se larici sugli Appennini non ce ne sono proprio (ne ho comunque contati cinque esemplari sul Terminillo, piantati da chissà chi), ciclamini, belli come quelli trentini, ce ne sono in abbondanza, anche appena fuori Roma, ma non profumano di ciclamini. Non profumano di niente.
Il tuo bellissimo libro "L'Alleluja di Susanna" (https://www.ildolomiti.it/societa/2019/susanna-e-morta-a-diciottanni-per...) aveva la prefazione del presidente dei vescovi ma alla fine è stato ignorato o boicottato da non pochi parroci e vescovi, conservatori e progressisti. Tu hai contestato parrocchia e vicario papale (https://www.ildolomiti.it/blog/paolo-ghezzi/il-clericale-il-radicale-e-i...). Eppure la vicenda di tua figlia, che non è tornata dalla Gmg di Cracovia con Francesco, poteva diventare un esemplare messaggio ai giovani di oggi nella Chiesa bergogliana tutta dialogo e misericordia...
Proprio così. I progressisti peggio dei conservatori se è per questo. Quel libro, nonostante l’editore cattolicissimo, ha ricevuto dalla diocesi di papa Francesco un trattamento perfino peggiore di quello ricevuto nella diocesi di Trento dal tuo Creatura futura dedicato al nostro Piergiorgio pur se edito da ViTrend, l’editore diocesano. Due emblemi dell’autolesionismo e della sciatteria della Chiesa.
Qual è oggi il tuo rapporto con la Chiesa cattolica apostolica romana?
Nel mio piccolo è molto simile a quello che ha Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela. Anche io, nel mio piccolo, ho a che fare con un muro di gomma, con lo stesso muro di gomma. Non solo in parrocchia, non solo in vicariato, ma perfino dentro le mura vaticane, visto che nel Tribunale di Bergoglio giacciono sepolte da anni due denunce da me depositate contro il mitomane sciacallo di cui sopra. I clericali progressisti che giocano di sponda con gli anticlericali…
Chiesa e chiese e cardinali e clero a parte, credi (o speri) di poter reincontrare Susanna un giorno da qualche parte, che non sia la tomba di quel piccolo cimitero di Lanuvio?
Susanna… E allora torniamo ad Albert Camus (lei e sua sorella Margherita da bambine sono state a casa di Camus in Provenza, dove abita la figlia Catherine). La più forte delle speranze, quella cristiana, per me si è spenta in questi ultimi anni. Leopardi ci insegna che in questi casi è impossibile tornare indietro. Camus diceva di non essere cristiano perché non era stato capace di entrare nel mistero della verità cristiana. Io un pochino mi ero forse illuso di esserci appena appena riuscito, ma è chiaro ormai che era un malinteso, un inganno. Mi ha sempre commosso, e qui te la ripropongo, la risposta che il protagonista dello Straniero, condannato a morte, dà al prete che gli chiede come vorrebbe l’aldilà: una vita in cui possa ricordarmi di questa, risponde senza esitazione il condannato. Anche io mi accontenterei di un aldilà così: una “vita”, però, in cui non abbia l’angoscia, come ce l’ho in questa, che la corrente del tempo piano piano si porti via tutto, anche il ricordo degli occhi, della voce e delle mani di mia figlia.