Vaccinazione globale anti-Covid19 e protezione della proprietà intellettuale: come far passare il cammello per la cruna dell'ago


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
di Luisa Antoniolli (Scuola di studi internazionali, Università di Trento)
Il tema dell’accesso ai vaccini non è mai stato così cruciale e dibattuto come in questo periodo. La pandemia di Covid19, dichiarata ufficialmente dall’Organizzazione mondiale della sanità (WHO) nel marzo 2020, ha messo a nudo la vulnerabilità di tutti i sistemi, tanto dei paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo. Inoltre, dopo diversi decenni di globalizzazione, si è avuta un’ineludibile conferma dell’altra faccia dell’interconnessione mondiale: la malattia è globale, e può essere superata solo se il virus viene debellato in tutti i paesi. La sicurezza di tutti è la sicurezza di ognuno.
La consapevolezza del fatto che “siamo tutti sulla stessa barca”, tuttavia, non è sufficiente per produrre ricette condivise, anche perché, rimanendo nella metafora, se è vero che ci troviamo tutti nella tempesta, è però vero che la stiamo affrontiamo con imbarcazioni molto diverse: alcuni con navi grandi e robuste, altri con zattere di salvataggio insicure e malconce. Il tema si è posto in modo ineludibile a partire dalla metà del 2020, quando è apparso chiaro che la scienza e l’industria medica e farmaceutica erano in grado di produrre più tipi di vaccini efficaci contro il Covid19, ma al tempo stesso che la capacità di produzione non è sufficiente per soddisfare tutto il fabbisogno a livello mondiale, e ancor più che la distribuzione è molto sbilanciata e diseguale.
Negli ultimi mesi uno dei temi più dibattuti a livello mondiale è quindi quello di come garantire vaccini efficaci ed in numero sufficiente ai paesi in via di sviluppo, dove ad oggi la percentuale di vaccinati è estremamente bassa, con conseguenze nefaste su due fronti fondamentali: il primo è il diffondersi a macchia d’olio della malattie in paesi che hanno sistemi sanitari fragili ed insufficienti per strutture, attrezzature, personale e medicinali, con una conseguente esplosione di contagi e decessi. Il secondo è la proliferazione di varianti del virus, che costituiscono un pericolo anche i paesi in cui le campagne vaccinali stanno progredendo a ritmo serrato (essenzialmente quelli più ricchi e sviluppati), aumentando il rischio di far evolvere il virus in modo tale che gli attuali vaccini non funzionino o funzionino in modo ridotto, mettendo quindi a repentaglio gli importanti risultati ottenuti nel contrasto al Covid e la possibilità di far ripartire la vita sociale ed economica.
La discussione è esplosa ad ottobre 2020, quando l’India e il Sud Africa (appoggiati da Kenya, Mozambico, Eswatini, Bolivia e Pakistan) hanno proposto al Consiglio Trips, un organo interno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che si occupa di questioni commerciali legate alla proprietà intellettuale, di sospendere temporaneamente l’applicazione di alcune norme, in particolare gli articoli 1 (diritto d’autore), 4 (disegni industriali), 5 (brevetti) e 7 (informazioni protette) della parte II dell’Accordo Trips. La durata della sospensione temporanea delle norme di protezione della proprietà intellettuale non è stata definita, ma dovrebbe permanere fino a quando non sarà raggiunta una vaccinazione di massa a livello mondiale, con una maggioranza della popolazione mondiale immunizzata (in ogni caso, le misure dovrebbe essere rivalutate dal Consiglio generale Wto entro un anno dall’adozione).
Secondo i promotori la richiesta è giustificata, perché “la pandemia globale di Covid19 richiede una risposta globale basata sull’unità, la solidarietà e la cooperazione multilaterale”. Le motivazioni della richiesta sono legate al fatto che i limiti imposti dalla tutela delle forme di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, diritti d’autore, ecc.) possono creare degli ostacoli che impediscono o rallentano l’approvvigionamento di prodotti medici essenziali per affrontare la pandemia, in primo luogo vaccini, ma anche attrezzature mediche, farmaci ed altri prodotti sanitari. Tali difficoltà colpiscono principalmente i paesi in via di sviluppo, che a fronte di un aumento esponenziale della domanda a livello mondiale non riescono a procurarsi le forniture necessarie.
La proposta ha generato una netta contrapposizione di due fronti, favorevoli e contrari alla proposta, riproponendo anche per il Covid19 un nuovo, fondamentale teatro di scontro fra Nord e Sud del mondo. Fra i sostenitori vi sono oltre 100 paesi, oltre che molte organizzazioni non governative (ad es. Medici senza frontiere), che fanno leva sull’importante precedente degli anni ’90-inizi 2000, in cui la crisi mondiale dell’Aids ha portato ad una modifica del testo dell’Accordo Trips al fine di garantire l’accesso ai farmaci retrovirali in tutto il mondo. Il fronte contrario è a sua volta molto ampio, contando inizialmente, oltre alle case farmaceutiche, tutti i principali attori economici, tecnologici e medici a livello mondiale: Stati Uniti, Canada, Unione europea, Australia, Giappone, Norvegia, Svizzera, Regno Unito, ed altri ancora. Il fronte dell’opposizione si è mosso in sede di Wto attraverso una resistenza passiva, facendo slittare la discussione in sede di Consiglio Trips e rallentando la presentazione della questione al Consiglio generale Wto, dove la decisione potrebbe essere presa con una maggioranza di tre quarti dei membri. Così, l’iniziale termine di fine 2020 è slittato, con un ulteriore periodo di discussione di durata indeterminata.
Il quadro è però cambiato radicalmente quando ad inizio maggio 2021 il nuovo Presidente Usa Biden, spiazzando molti, si è espresso apertamente a favore dell’opzione del waiver, ovvero della sospensione dell’applicazione delle norme dell’Accordo TRIPS a tutela della proprietà intellettuale. La nuova posizione è stata condivisa anche da Anthony Fauci, l’autorevole consulente medico della Casa Bianca.
L’argomento principale per opporsi alla richiesta di sospensione è che la tutela della proprietà intellettuale è un elemento necessario per garantire le imprese che sviluppano farmaci e presidi medici, che richiedono ingenti investimenti di tempo e denaro. Limitare, seppure temporaneamente, tale tutela comporterebbe un ritardo nella ricerca e nella produzione, con effetti negativi per tutti. Tuttavia, si è fatto da più parti notare che proprio nel caso del Covid19 una parte molto consistente della ricerca e dello sviluppo di vaccini, medicinali e strumenti, è avvenuto grazie a finanziamenti pubblici e di fondi filantropici, con il risultato paradossale e distorsivo che investimenti pubblici servono per garantire profitti privati (il valore delle azioni delle società produttrici di vaccini è infatti schizzato in alto), il che è non solo inefficiente, ma anche eticamente inaccettabile in un momento drammatico come quello attuale.
Un ulteriore argomento contrario rileva come molti dei paesi che in teoria beneficerebbero di una simile decisione non abbiano in realtà le capacità scientifiche, tecnologiche e produttive necessarie per potere produrre vaccini ed altri dispositivi medici, quindi la semplice sospensione delle norme sulla proprietà intellettuale non produrrebbe gli effetti sperati. Tuttavia, vi sono numerosi paesi, quali l’India, che hanno una capacità produttiva potenziale elevata, e che potrebbero operare anche a favore dei paesi che non possono produrre direttamente. Dati dell’Unicef rilevano che attualmente meno del 50% della capacità mondiale di produzione vaccinale è sfruttata, il che dimostra che c’è un enorme potenziale inutilizzato.
Infine, secondo altri la sospensione delle norme non è necessaria, perché gli Accordi TRIPS già prevedono la possibilità per le autorità nazionali di concedere delle autorizzazioni forzate (art. 31, compulsory licence); in seguito alla ricordata vicenda dell’AIDS, l’accordo di Doha del 2001 ha inserito un nuovo art. 31bis, che consente il ricorso ad autorizzazioni forzate non solo per la produzione nazionale, ma anche a fini di esportazione verso paesi che non hanno la necessaria capacità produttiva (che in precedenza erano vietate). Inoltre, vi è un’eccezione generale all’applicazione delle regole TRIPS basata sulla sicurezza nazionale (art. 73), che può essere utilizzata in casi di emergenza. Tuttavia, sul fronte opposto si sostiene che questi regimi autorizzatori sono complessi e di difficile applicazione, richiedono tempo e conoscenze tecniche di alto livello, ed espongono i paesi che più ne beneficerebbero a gravi rischi qualora vengano considerati illegittimi. Perciò, la scelta di sospendere in modo generalizzato le norme per il periodo in cui i rischi derivanti dalla pandemia non sono sotto controllo sarebbe la soluzione più semplice e razionale.
Va ricordato che nel contesto del contrasto alla pandemia sono state varate varie iniziative per mettere in atto strategie internazionali condivise. Ad aprile 2020 è stato lanciato l’Access to COVID-19 Tools ACT-Accelerator, un programma sponsorizzato da G20, WHO, Commissione UE e Fondazione Gates, un programma che riguarda i temi della diagnostica, delle terapie, dei vaccini e della connessione fra sistemi sanitari nazionali. Il pilastro vaccinale del progetto è denominato COVAX, uno strumento gestito da WHO con altri partner per garantire l’approvvigionamento di vaccini per i paesi che ne sono carenti. L’obiettivo è consegnare entro il 2021 due miliardi di dosi di vaccino a livello mondiale, e 1.8 miliardi di dosi ai 92 paesi con minor reddito entro l’inizio del 2022. Si tratta di cifre enormi, che tuttavia rappresenta solamente il 20% dei vaccini necessari a livello mondiale, ovvero una soglia molto al di sotto del fabbisogno ai fini dell’immunizzazione globale; inoltre, ad oggi siamo ben lontani da questo risultato.
In un comunicato ufficiale della WHO di fine maggio si rileva che da febbraio 2021 sono state distribuite 70 milioni di dosi in 126 paesi, con un impegno di garantire 150 milioni di dosi; sebbene si tratti del più grande programma di distribuzione di vaccini mai attuato a livello mondiale, è di tutta evidenza l’insufficienza di un risultato che copre più o meno la popolazione di un paese di medie dimensioni (all’incirca come l’Italia) rispetto alle esigenze su scala mondiale. Sebbene l’impegno dei paesi sviluppati si stia intensificando (anche perché nel frattempo l’immunizzazione al loro interno è ormai generalmente in fase avanzata), è chiaro che il fattore tempo gioca un ruolo essenziale e negativo. Gli eventi delle ultime settimane in India (con punte di oltre 300.000 contagi al giorno) hanno drammaticamente esposto i rischi del ritardo nel garantire l’accesso ai vaccini (oltre che alle cure) a livello mondiale. Alcune stime prevedono che con l’attuale ritmo di vaccinazione saranno necessari sette anni per garantire una copertura mondiale sufficiente per bloccare la diffusione del virus, un tempo drammaticamente lungo.
Il tema è stato oggetto del Global Health Summit, il vertice del G20 che si è tenuto a Roma il 21 maggio 2021 sotto la presidenza di turno italiana. In quella sede è stata ribadita la centralità dell’Organizzazione mondiale della sanità nella gestione e nel coordinamento dell’azione del contrasto della pandemia, ed è stato stilato un catalogo di 16 principi per orientare le azioni a livello internazionale. In sintesi, viene riconosciuta la natura di bene pubblico globale dell’immunizzazione contro il Covid19, che deve essere affrontato con interventi sinergici dei settori pubblico e privato, che garantiscano un rafforzamento e una diversificazione delle catene di produzione e distribuzione dei vaccini; si rileva inoltre il legame necessario fra copertura sanitaria universale e obiettivi di sviluppo sostenibile (sustainable development goals, SDG); si ribadisce infine la necessità di un quadro istituzionale multilaterale e trasversale (One Health approach) che garantisca un livello adeguato nella ricerca, produzione e distribuzione di presidi sanitari, un sistema efficiente di monitoraggio, di scambio di informazioni e di risposta rapida in caso di emergenza, un sistema decisionale trasparente e condiviso. Tuttavia, sul tema della proprietà intellettuale il documento finale si limita a richiamare le norme esistenti dell’Accordo TRIPS, e ad incentivare l’uso di accordi volontari che amplino la produzione e distribuzione di vaccini.
In questo quadro, un’eventuale sospensione delle norme a tutela della proprietà intellettuale per farmaci e presidi di contrasto al Covid19 non è certamente l’unica soluzione possibile e necessaria per fronteggiare i problemi della pandemia, ma è un passaggio cruciale, non solo perché può rimuovere degli ostacoli rilevanti, ma soprattutto per il suo impatto simbolico: nel mondo che sta emergendo dalla pandemia la proprietà intellettuale non può essere un feticcio intoccabile; va riconosciuta e protetta, ma solo nella misura in cui non costituisca un ostacolo alla protezione della salute collettiva. Va inoltre riconosciuto che il settore privato in ambito medico si sviluppa e prospera ovunque grazie anche a cospicui finanziamenti di natura pubblica: BioNTech ha ricevuto 445 milioni di dollari dal governo tedesco, Moderna oltre un miliardo da programmi medici pubblici statunitensi, Astra Zeneca 1,3 miliardo da fondi britannici ed europei. Complessivamente, è stato stimato che gli investimenti pubblici per sviluppare, testare e produrre i vaccini anti-Covid siano dell’ordine del 90 miliardi di dollari. E’ quindi è inammissibile, eticamente ed economicamente, che questi contributi pubblici vengano utilizzati secondo logiche privatistiche e di profitto. E’ necessario in primo luogo garantire trasparenza riguardo alle ricerche sviluppate attraverso i finanziamenti pubblici, nonché l’accesso ai risultati di tali attività, che garantiscano la condivisione e il progresso di conoscenze e terapie. Il sistema della proprietà intellettuale, anche nel settore medico e farmaceutico, è un modello consolidato con importanti ragioni storiche ed istituzionali, ma non è un monolite: nuove necessità e nuovi elementi possono e devono portare a modifiche ed anche a nuovi modelli, se necessario. La pandemia di Covid19 è un banco di prova formidabile, e una sfida che non possiamo perdere.
In questo quadro, l’Unione europea si è ancora una volta dimostrata una fortezza: seppure fra molte difficoltà e ritardi, è stata in grado di mettere in atto un piano di approvvigionamento vaccinale per i propri Stati membri, che stanno ormai muovendosi tutti verso livelli elevati (sebbene ancora incompleti) di copertura dei propri cittadini. E’ stata invece molto meno incisiva nell’azione a favore dell’intervento e dell’immunizzazione a livello mondiale, nonostante sia sicuramente, dal punto di vista economico, scientifico e tecnologico, uno dei grandi protagonista della scena mondiale. Pur non opponendosi in modo frontale, certamente la sua azione non è stata il motore del cambiamento a livello mondiale, anche nella vicenda riguardante la sospensione della protezione della proprietà intellettuale, sebbene un segnale in controtendenza sia arrivato dal Parlamento europeo, che il 10 giugno ha votato una risoluzione (con 355 voti favorevoli, 263 contrari e 71 astensioni) a favore della sospensione temporanea delle norme TRIPS.
UE e USA hanno preso l’impegno di fornire 180 milioni di dosi di vaccino ai paesi bisognosi attraverso COVAX, uno sforzo che va nella giusta direzione, ma che è certamente insufficiente: attualmente la stragrande maggioranza delle dosi di vaccino (1,6 miliardi) è stata utilizzata nei paesi industrializzati, a fronte di un risicatissimo 0,3% inviato ai 29 paesi più poveri del mondo; la Fondazione Gates ha inoltre stimato che nel 2021 ci sarà almeno 1 miliardo di dosi di vaccino in eccesso rispetto alla soglia dell’80% di cittadini vaccinati. Se l’UE ambisce ad essere un attore a livello mondiale la cui bandiera è la protezione dei diritti umani, lo sviluppo sostenibile e l’equità, quello del Covid è un banco di prova fondamentale ed ineludibile.