Migranti, il detto e (soprattutto) il non detto del nuovo Piano d’azione dell’Europa per Lampedusa


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
di Francesca Mussi, docente di diritto internazionale alla Scuola di Studi Internazionali
Il 17 settembre scorso, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è recata in visita presso l’hotspot presente sull’isola accompagnata dalla Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni. In tale occasione, la Presidente della Commissione europea ha presentato i 10 nuovi punti d’azione elaborati per ridurre la pressione migratoria cui l’isola è esposta, senza tuttavia pronunciarsi in alcun modo su una serie di questioni cruciali per affrontare la situazione in modo efficace.
Le immagini della fila di piccole imbarcazioni cariche di migranti in attesa di fare ingresso nel porto di Lampedusa riportate nelle scorse settimane dalle principali testate giornalistiche sono destinate a rimanere impresse a lungo nella memoria collettiva. Oltre 5.000 persone e 112 sbarchi: è questo il numero di arrivi registrati nell’isola nella giornata “record” di martedì 12 settembre. Le imbarcazioni, la maggior parte delle quali arrivate autonomamente, provenivano dal Nord Africa. In totale, dall’inizio dell’anno sono giunte sulle coste italiane oltre 118.500 persone, quasi il doppio rispetto alle 64.529 registrate nello stesso periodo del 2022.
Sebbene Lampedusa da lungo tempo rappresenti una destinazione per le migliaia di persone che cercano rifugio in Europa, le strutture preposte all’accoglienza presenti sull’isola sono carenti. Sempre nella giornata di martedì 12 settembre, nel corso di un concitato intervento di soccorso da parte della motovedetta Cp290 della Guardia costiera a seguito del rovesciamento di un barchino a poca distanza dal porto della principale delle isole Pelagie, un neonato di 5 mesi è caduto in acqua e immediatamente annegato, mentre decine di imbarcazioni continuavano ad attraccare nel porto commerciale. Per diverse ore, centinaia di persone sono rimaste bloccate sul molo, senza acqua né cibo, prima di essere trasferite nell’hotspot di Contrada Imbriacola. L’hotspot, un modello organizzativo allestito per consentire le operazioni di prima assistenza, identificazione e somministrazione di informazioni in merito alle modalità di richiesta della protezione internazionale prima del trasferimento in altre regioni italiane, con i suoi 389 posti, non ha la capacità di accogliere dignitosamente l’elevato numero di individui che nelle scorse settimane sono giunti quotidianamente sull’isola. Come reazione alle precarie condizioni e al sovraffollamento all’interno dell’hotspot, molte persone hanno iniziato a fuggire scavalcando la recinzione.
A fronte della forte pressione migratoria cui Lampedusa è stata sottoposta nell’ultimo mese, la reazione delle istituzioni europee non si è fatta attendere. Nella giornata di domenica 17 settembre, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha visitato l’hotspot presente sull’isola accompagnata dalla Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni. In tale occasione, la Presidente von der Leyen, oltre a ribadire che la migrazione irregolare è una sfida europea che necessita di una risposta europea, ha esposto personalmente in una conferenza stampa i 10 nuovi punti d’azione elaborati dalla Commissione europea (a oggi, si tratta del quinto piano d’azione elaborato in meno di un anno), aventi quale finalità quella di gestire al meglio la rotta del Mediterraneo centrale utilizzata dai migranti diretti verso i confini europei. Il Piano d’azione presentato a Lampedusa sembra per molti aspetti un copione già visto.
Da un lato, esso sposa una visione eminentemente securitaria della gestione del fenomeno migratorio, come dimostrato dal maldestro tentativo di addossare tutta la responsabilità ai trafficanti di migranti che – per quanto senza dubbio costituiscano un fattore-chiave del problema – non sono certo l’unica variabile. Dall’altro lato, il Piano d’azione in parola rivela nei silenzi e nelle omissioni indicazioni interessanti su come si stia indirizzando la politica migratoria dell’Unione europea.
Tre sono i punti principali su cui la Presidente della Commissione europea non si è pronunciata in alcun modo.
Il primo riguarda la pressante richiesta del Governo italiano di attuare un blocco navale nel Mediterraneo centrale, al fine di evitare del tutto nuovi sbarchi. Quello che la Presidente von der Leyen avrebbe dovuto dire è che si tratta di una misura inattuabile, che solleva insormontabili criticità sul piano giuridico, essendo in aperto contrasto con gli obblighi internazionali ed europei in materia di asilo sanciti, rispettivamente, dall’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dall’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue).
La seconda questione omessa dalla Presidente della Commissione europea riguarda, invece, l’istituzione di missioni di ricerca e soccorso in mare da parte dell’Unione europea. Tale possibilità era stata accantonata già nel 2020, in sede di Consiglio dell’Unione europea, per volontà dei suoi 27 Stati membri. Infine, la Presidente von der Leyen ha “omesso” di esortare gli Stati membri a un maggiore impegno sui ricollocamenti di persone migranti e sulle riammissioni, secondo quanto previsto dal c.d. sistema Dublino. Tali “dimenticanze” risultano ancor più sorprendenti alla luce del reiterato e compiaciuto riferimento operato dalla stessa Presidente alla recente conclusione di un memorandum d’intesa tra Unione europea e Tunisia, firmato lo scorso 16 luglio, che mira a un’efficace cooperazione rispetto alla gestione delle frontiere e all’adozione di misure “anti-contrabbando”, nella piena consapevolezza delle violazioni dei diritti fondamentali dei migranti compiute dalla Guardia costiera tunisina.
Era il 2002 quando, nella canzone “Che il Mediterraneo sia”, Eugenio Bennato esprimeva l’auspicio che il Mediterraneo potesse rappresentare un luogo di incontro di popoli e di marinai dello stesso mare, una fortezza senza porte, simbolo di scambi e reciproco rispetto. A distanza di oltre vent’anni, l’immagine continua a essere quella – assai diversa – di un cimitero dove annegano individui in fuga da conflitti, miseria, situazioni di deterioramento ambientale o, semplicemente, alla ricerca di condizioni di vita migliori. Questa impasse giuridica contemporanea può essere superata solo con la decisione dell’Unione europea e dei suoi Stati membri di non aggrapparsi più a soluzioni emergenziali o uscite di facciata, per risolvere l’ambiguità sul rispetto dei propri obblighi in materia di soccorso in mare e tutela dei diritti umani, a beneficio (anche) delle persone migranti.