La Spagna torna alla ribalta internazionale per ridefinire le fratture politiche del nuovo millennio


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
La mia generazione (sono nato nel 1964) si è abituata a leggere il conflitto politico nei termini di destra e sinistra. Con una destra a favore del libero mercato, delle privatizzazioni e contro le tasse, e una sinistra a favore della redistribuzione del reddito attraverso lo stato sociale. Con varie sfumature, idiosincrasie e contingenze, questo schema di interpretazione della lotta politica ha retto per molti anni.
Ma oggi dobbiamo accettare un fenomeno nuovo. La frattura tra gli elettori cittadini è tra cosmopolitismo e populismo. Le ultime elezioni in Europa ci consegnano chiaramente partiti tradizionali in crisi di elettori, come il Partito Socialista Francese praticamente irrilevante, contro formazioni giovani e spregiudicate che ottengono consensi ben sopra le aspettative, come il 12% di Alternativa per la Germania alle ultime elezioni tedesche.
Le due categorie, cosmopolitismo e populismo, sono ancora difficili da identificare con precisione. L’attuale cosmopolitismo dei leaders come Macron è più identificabile come una reazione al populismo, piuttosto che un insieme ordinato ed autonomo di idee.
Al contrario, è molto più facile riconoscere il populismo: è la sincresi degli interessi di classe o di censo nella messianica idea di popolo, che suddivide la società in un 'noi' e un 'loro' di facile e coerente definizione.
Da questo punto di vista, nessun movimento politico Europeo è più populista del movimento indipendentista catalano, che si contrappone a tutto ciò che è 'Castigliano'. C’è un che di surreale nel constatare che qualunque osservatore esterno farebbe una fatica immane a capire, qui e adesso, cosa differenzia sostanzialmente due culture.
Ma ancora più surreale è osservare come nel nome del catalanismo risultino annullate le grandi fratture ideologiche novecentesche. Nel nome del catalanismo, la severa borghesia dei funzionari pubblici delle case liberty sulla collina di Barcellona si trova alleata della sinistra anti-sistema degli 'okupa', raccolti nel partito CUP.
Per dirne una, questo partito di estrema sinistra propone di risolvere il sovraffollamento turistico della città di Barcellona espropriando gli alberghi e così pianificare il flusso dei visitatori. C’è proprio da chiedersi, in un ipotetico stato catalano, come queste due visioni del mondo potranno mai giungere a una sintesi, a parte sventolare la bandiera e cantare l’inno.
Quindi di populismo si tratta, senza ombra di dubbio: Ma come, proprio nella città del gay-pride o della marcia pro-immigrati della buona e brava sindaca Colau? E tutti i valori post-moderni di realizzazione personale che siamo abituati a cercare nelle analisi politiche? Sì, viva i gay e viva i neri, a patto che non parlino castigliano, lingua equiparata a lingua straniera nelle scuole elementari della regione, e guai a parlare di tasse, perché a Barcellona come in altre regioni, i soldi devono ben restare nella regione della loro produzione.
Peccato però che se dobbiamo parlare di soldi, la sedicente ribellione ghandiana allo stato fascista spagnolo assomiglia più alla rivolta del droghiere indebitato (con tutto il rispetto per i droghieri che mai hanno pensato di risolversi i problemi con un nuovo proprio stato autonomo).
Oggi, come ieri, l’autonomia catalana è fonte di spese burocratiche enormi a carico della Comunità stessa, per esempio perché hanno duplicato le funzioni gestite dallo Stato centrale, o perché concedono stipendi più alti ai brillanti professori universitari catalani (guarda a caso indipendentisti).
Il debito regionale è così alto che le agenzie di rating considerano quello Catalano più rischioso di quello Spagnolo, tripla B contro doppia B secondo Fitch. E sempre parlando di soldi e in caso di separazione, quanto debito pubblico spagnolo è disposto ad accollarsi il movimento indipendentista il cui motto è 'Madrid ci deruba'? Zero debito? O in proporzione a cosa? Perché le Olimpiadi spagnole sono state a Barcellona, ma con soldi catalani o spagnoli?
Le prospettive economiche della regione sono ora grigie. Le banche catalane, banche che controllano i due quinti del credito spagnolo, avendo assorbito numerosi istituti iberici al tempo della crisi, hanno pensato bene limitare il rischio di impresa andandosene dalla Catalogna, imitate da centinaia di altre imprese.
E con l’indipendenza, l’abbandono dell’Europa e dell’Euro, una moneta svalutata, con quali risorse potranno i Catalani garantirsi le prestazioni dello stato sociale, le pensioni, le scuole, i sussidi? Ah sì, possiamo immaginare: colpa dell’Europa bottegaia, di Madrid vendicativa, del complotto di chissà chi.
Possiamo solo sperare in nel rinsavimento della società catalana tutta, che in un momento di maturità gli elettori catalani si rendano conto della fortuna di avere vissuto fino adesso ben lontani dal franchismo/fascismo. Di vivere in una democrazia matura e in uno stato che, pure in fase di recessione economica, ancora cerca di non lasciare nessuno indietro.
L’operaio andaluso del petrolchimico di Terragona non rappresenta l’oppressore spagnolo, ma la sintesi vivente dei valori di comunità, sia essa nazionale o europea, che abbiamo impiegato secoli a costruire, valori che oggi possono svanire in un batter di ciglia. E se i richiami ai valori di cosmopolitismo non dovessero servire, speriamo almeno che gli elettori catalani pensino al loro portafoglio, alle loro pensioni e alle loro proprietà immobiliari.
(di Stefano Benati - Scuola di Studi Internazionali)