La partecipazione cinese al vertice sul clima e la ripresa del dialogo Cina-Usa. Pechino e la costituzione di una “comunità di futuro condiviso per l’umanità”


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Di Sofia Graziani (Dipartimento di Lettere e Filosofia e Scuola di Studi Internazionali)
La partecipazione di Xi Jinping al recente vertice americano sul clima ha suscitato l’attenzione della comunità internazionale, soprattutto per il contesto in cui si inserisce (crescenti tensioni su molteplici fronti fra Cina e Usa) e per le prospettive di una rinnovata cooperazione nell’affrontare le sfide legate al cambiamento climatico, dopo che Biden ha riportato gli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima. Si è trattato, infatti, del primo incontro fra i due leader dall’insediamento del nuovo presidente americano.
La partecipazione cinese ha confermato che la sfida per la protezione dell'ambiente è un terreno su cui la Cina, il primo paese al mondo per emissioni inquinanti, intende collaborare, ma con i propri tempi che tengono conto, anzitutto, delle proprie esigenze di crescita economica. Così, nel suo intervento, Xi Jinping ha ribadito che Pechino raggiungerà il picco delle emissioni nel 2030, per poi arrivare alla neutralità carbonica entro il 2060 - un obiettivo ambizioso che ha lasciato molti osservatori perplessi, considerato che il carbone soddisfa ancora oggi circa il 57 per cento del fabbisogno energetico del paese - ed ha affermato che “tale decisione strategica è stata presa sulla base del nostro senso di responsabilità per la costituzione di una “comunità di futuro condiviso per l’umanità” (in cinese: renlei mingyun gongtongti 人类命运共同体)”, veicolando così un doppio messaggio: da un lato, il richiamo al “senso di responsabilità di una grande potenza” o, meglio, al concetto di “grande potenza responsabile” (in cinese: fuzeren daguo 负责任大国), la cui affermazione nel discorso politico ufficiale cinese degli ultimi anni è strettamente connessa al desiderio di consolidamento del ruolo centrale che la Cina intende giocare sulla scena internazionale, anche in termini di condivisione delle responsabilità globali; dall’altro, la visione cinese del mondo racchiusa nel concetto di “comunità di futuro condiviso per l’umanità” (concetto su cui si fonda la nuova diplomazia cinese sotto Xi Jinping e che ha già fatto il suo ingresso in alcune risoluzioni delle Nazioni Unite), che pone la Cina al centro quale modello di potenza pacifica all’interno di nuovo sistema di relazioni internazionali basato su “rispetto reciproco, uguaglianza e rettitudine, cooperazione e mutuo vantaggio”.
Ma il Presidente cinese ha fatto anche appello al senso di unità e responsabilità della comunità internazionale, rilanciando il ruolo del multilateralismo climatico e riaffermando, al contempo, il principio caro alla Cina delle “responsabilità comuni ma differenziate” (in cinese: gongtong dan you qubie zeren yuanze 共同但有区别责任原则), secondo il quale le nazioni sviluppate (USA in testa) dovrebbero fornire un contributo maggiore e un esempio per il resto del mondo, e i paesi in via di sviluppo (categoria alla quale la Cina si sente di appartenere auto-definendosi “il più grande paese in via di sviluppo”) essere aiutati nei loro sforzi verso la neutralità carbonica, garantendone al contempo il diritto alla crescita economica. Un aspetto ribadito pochi giorni prima dal vice Ministro degli Esteri Le Yucheng in un’intervista rilasciata alla Associated Press, nella quale anticipava che al vertice sul clima la Cina avrebbe mandato un “segnale positivo, un messaggio di cooperazione e un segnale di responsabilità” perché “affrontare il problema del cambiamento climatico non è ciò che gli altri ci chiedono di fare ma quello che noi facciamo di nostra iniziativa”, facendo intendere chiaramente che la Cina non si farà dettare tempi e modi da nessuno.
D’altra parte, il peso della partecipazione di Xi Jinping al vertice sul clima va oltre la questione ambientale. Essa segna, infatti, la ripresa del dialogo al massimo livello tra Cina e USA, a cui ha contribuito, come è noto, la visita a Shanghai dell’inviato speciale degli Usa, John Kerry, avvenuta tra il 15 e il 17 aprile. Il “comunicato congiunto” con cui si sono conclusi i colloqui sino-americani ha evidenziato l’impegno comune nella lotta al riscaldamento globale e la necessità di rafforzare la cooperazione nei processi multilaterali, riaprendo un canale di dialogo su un tema rispetto al quale i due paesi hanno un interesse comune e su cui la Cina, consapevole di essere diventata un attore imprescindibile sulla scena internazionale, ha mostrato un crescente attivismo negli ultimi anni.
La visita di John Kerry e i colloqui di Shanghai sono avvenuti, tra l’altro, in singolare coincidenza con le celebrazioni del 50° anniversario della cosiddetta “diplomazia del ping pong” che, negli anni della guerra fredda, accelerò il disgelo sino-americano e aprì la strada alla storica visita in Cina del presidente Nixon nel 1972. Pochi giorni fa un articolo apparso sul “Quotidiano del Popolo” a firma di Yang Jiechi (ex Ministro degli esteri della Repubblica Popolare Cinese), intitolato “Trarre una lezione dalla storia, guardare al futuro e cogliere l’orientamento corretto dei rapporti sino-americani: commemorare il cinquantesimo anniversario dalla diplomazia del ping pong tra Cina e USA”, esortava entrambe le parti a far rivivere lo spirito di quegli anni e a mettere da parte le differenze, sostenendo una diplomazia che, richiamandosi al principio del “cercare i punti in comune e mettere da parte le differenze” (in cinese: qiutong cunyi) alla base del ‘lavoro esterno’ della Cina sin dai tempi di Mao, ha dato importanza alla convivenza e al rispetto tra diversi sistemi politici e vie di sviluppo, e individuando nei legami tra persone e popoli (la people-to-people diplomacy) la “forza motrice” nei rapporti Cina-USA e una delle priorità della cooperazione futura.