La Cina popolare 70 anni dopo


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
di Sofia Graziani (docente del Dipartimento di Lettere e Filosofia, membro Collegio dei Docenti del Dottorato della Scuola di Studi Internazionali)
Il primo ottobre del 1949, a Tiananmen, Mao Zedong proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese (RPC). Qualche giorno prima, nel corso della prima sessione della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, aveva pronunciato il famoso discorso intitolato “Il popolo cinese si è alzato in piedi” (Zhongguoren congci zhanli qilai le), in cui sottolineava l’importanza del successo della rivoluzione comunista per l’affermazione della Cina quale Stato sovrano e indipendente, dopo anni di oppressione imperialista e umiliazione coloniale.
Negli anni successivi la tensione tra nazionalismo e internazionalismo avrebbe segnato il processo di costruzione dell’identità della “nuova Cina”, la cui collocazione nel contesto mondiale a fianco dell’Unione Sovietica fu, di fatto, dovuta ai condizionamenti delle logiche della Guerra Fredda e alla necessità di ricevere aiuti per la modernizzazione. Basti ricordare il desiderio di emancipazione dall’egemonia sovietica sul piano politico e ideologico sentito dai comunisti cinesi già negli anni Trenta quando prese avvio il processo di sinizzazione del marxismo e l’elaborazione di una via autonoma alla rivoluzione.
La forte volontà di indipendenza, la lotta per lo “sviluppo” e la “modernizzazione” e l’aspirazione a fare della Cina un “paese ricco e forte” nel contesto mondiale (un obiettivo che peraltro il Partito Comunista Cinese aveva ereditato dal passato) costituiscono un filo rosso importante nella storia della RPC, una storia fatta di successi ma anche di enormi errori e tragedie. Pensiamo, ad esempio, alle conseguenze disastrose della politica utopica del Grande Balzo in Avanti (dayuejin) del 1958-1960, al terrore e alla violenza di massa che si diffusero negli anni della Rivoluzione Culturale (wenhua dageming), nonché alla sanguinosa repressione di Piazza Tiananmen a Pechino (1989).
D’altra parte, le riforme economiche lanciate da Deng Xiaoping nel 1978 hanno trasformato profondamente l’economia e la società cinesi, permettendo al paese di raggiungere alti tassi di crescita, sottrarre milioni di persone alla povertà e affermarsi progressivamente sulla scena mondiale. Se nel 1949 la Cina era un paese profondamente arretrato che usciva da decenni di guerre e che, nel contesto della guerra fredda, si sarebbe presto ritrovato in una posizione di isolamento diplomatico (per anni la RPC fu esclusa dalle Nazioni Unite e privata del riconoscimento ufficiale di quasi tutti gli Stati occidentali), oggi ci troviamo di fronte ad una grande potenza globale impegnata a costruire un paese sviluppato all’interno e protagonista a livello mondiale; un paese proiettato verso una “nuova era” (xin shidai) ricca di sogni e ambizioni internazionali.
Così, martedì primo ottobre, in una Pechino blindata, si è tenuta “la più grande parata militare nella storia della Cina”, l’evento più atteso dell’anno con cui le autorità hanno voluto mostrare i progressi raggiunti nella modernizzazione militare, l’unità politica e la determinazione del paese a proteggere i propri interessi. I festeggiamenti per i settanta anni della RPC sono andati avanti per ore coinvolgendo 15mila soldati e migliaia di civili, mentre a Hong Kong erano in corso violenti scontri tra polizia e manifestanti.
Parlando dal podio di piazza Tiananmen, da dove nel 1949 Mao dichiaro' la nascita della Repubblica Popolare, Xi Jinping ha sottolineato l’importanza del 1949 per l’affermazione in Cina di una moderna identità nazionale, grazie alla riunificazione e al recupero della sovranità dopo più di un secolo di umiliazioni e miseria (il cosiddetto “secolo delle umiliazioni”), ed ha fatto appello all’unità per la realizzazione del “sogno cinese” (Zhongguo meng) della “grande rinascita della nazione cinese” (Zhonghua minzu weida fuxing), due espressioni che racchiudono la sua visione politica di una Cina rinnovata e che rimandano a un percorso verso la ricchezza, la potenza e l’armonia che non si è ancora concluso: “Nessuna forza può scuotere lo status della nostra grande patria, e nessuna forza può fermare il popolo e la nazione cinesi dal marciare avanti”, ha detto sottolineando il ruolo del partito quale attore principale del processo di trasformazione da tempo in atto in Cina.
Se da un lato lo sfoggio di missili nucleari è servito a mostrare sia al mondo che al popolo cinese il rafforzamento della capacità militare e tecnologica di Pechino, dall’altro le celebrazioni del 70° anniversario sono state l’occasione per riaffermare le intenzioni pacifiche e la volontà del paese di perseverare nella politica di apertura, rassicurando il mondo che la Cina non cerca egemonia o espansione. Questo è il messaggio veicolato dal “libro bianco” intitolato “La Cina e il mondo nella nuova era” (xin shidai de Zhongguo yu shijie) che il governo cinese ha pubblicato proprio alla vigilia dell’anniversario (http://www.gov.cn/zhengce/2019-09/27/content_5433889.htm).
Dal documento emerge la visione cinese del mondo e del ruolo della Cina nel mondo, una visione racchiusa in concetti e principi elaborati e promossi sotto la leadership di Xi Jinping - “comunità dal destino comune per l’umanità” (renlei mingyun gongtongti), “giusto approccio alla moralità e all’interesse” (zhengque yiliguan) e il principio “sangong” (crescita comune, collaborazione comune, discussione comune) - mediante i quali Pechino intende plasmare le regole di governance globale e creare un nuovo modello di relazioni internazionali, che vedrebbe la Cina al centro e i suoi partner partecipanti attivi nella realizzazione di un nuovo mondo.