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La Bosnia ed Erzegovina al bivio? Il 2021 potrebbe aprire a dei cambiamenti (Seconda parte)

Come può il Paese riformare le sue strutture costituzionali per superare l'attuale situazione di stallo che è stata stabilita e consolidata negli ultimi 15 anni dalle élite nazionaliste utilizzando il quadro di Dayton e approfittando del disimpegno della Comunità internazionale? Di seguito la seconda parte dell'approfondimento realizzato dal professore Jens Woelk
DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 18 gennaio 2021

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

di Jens Woelk è professore ordinario di diritto costituzionale comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza (“cattedra Euregio”) e la Scuola di Studi internazionali all’Università degli Studi di Trento nonché ex-Vicedirettore dell’istituto di studi federali comparati presso l’Eurac Research Bolzano.

 

Parte II (Qui è possibile leggere la prima parte)

 

  1. La sostanza di ogni riforma: che cosa deve essere cambiato?

Non ci sono dubbi su ciò che deve essere cambiato. Un'analisi dettagliata e chiare indicazioni sono state elaborate dalla Commissione di Venezia già nel 2005, cioè 15 anni fa! Sono seguite le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo. Alcune delle 14 "priorità chiave" del parere della Commissione UE (maggio 2019) richiedono anch'esse una modifica costituzionale.

Qualsiasi riforma costituzionale dovrebbe soprattutto districare la confusa combinazione tra il principio etnico negli elementi consociativi del Power Sharing e le strutture del federalismo etnico. Ciò vale anche per un'attuazione minima della giurisprudenza Sejdic-Finci, perché tutte le opzioni per l'attuazione delle sentenze dovranno essere basate su una differenziazione della rappresentanza territoriale ed etnica. Occorre pertanto individuare niente di meno che i fondamenti del sistema multinazionale della Bosnia ed Erzegovina.

È necessaria una distinzione (e una separazione) tra gli interessi territoriali espressi attraverso le unità territoriali e quelli per la garanzia dei diritti dei gruppi e delle identità collettive. Mentre i primi si riferiscono all'intera popolazione e ai diritti dei cittadini, gli interessi di gruppo come espressione del rispetto della diversità si riferiscono a questioni specifiche di particolare rilevanza per un gruppo distinto all'interno della popolazione. Al contrario, la disposizione attuale riflette l'identificazione di (parti di un) territorio con un gruppo dominante, secondo lo schema del federalismo etnico in Jugoslavia, in combinazione con una logica difensiva e di cessate il fuoco. C'è un presupposto di fondo che gli interessi territoriali siano identici a quelli del rispettivo gruppo dominante in un determinato territorio (ad esempio, serbi nella RS, croati in alcune parti della Federazione e bosniaci in altre). Le rispettive ambiguità nell'Accordo di Dayton sono rafforzate in pratica dal sistema dei partiti politici e dei media, entrambi etnicamente divisi. A differenza della maggior parte degli altri sistemi federali, il federalismo in BiH non aumenta la partecipazione democratica di tutti i cittadini, ma serve piuttosto gli interessi etnici.

 

Una seconda questione essenziale riguarda i diritti e le libertà fondamentali, ossia l'adeguamento degli equilibri tra diritti individuali e di gruppo. Non è una questione di "aut ... aut", perché in Bosnia ed Erzegovina la dimensione collettiva è stata certamente importante storicamente (non solo a causa della guerra degli anni ‘90, ma già dal sistema del millet dell'Impero Ottomano fino alla Jugoslavia multinazionale) ed è importante anche oggi. Ma l'attuale predominio della rappresentanza etnica e collettiva deve essere bilanciato con le garanzie dell’uguaglianza e dei diritti individuali di tutti i cittadini in quanto tali, cioè a prescindere della loro appartenenza etnica. Questo è l'obbligo derivante dal caso Sejdic-Finci per quanto riguarda gli "Altri" (cioè di chi non si dichiara appartenente ad uno dei tre “popoli costitutivi”), ma anche per quei membri dei popoli costitutivi che sono limitati nei loro diritti politici per motivi di residenza (caso Zornic). Il primato dei diritti individuali è stabilito costituzionalmente: l'articolo II.2 prevede l'applicazione diretta della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei suoi protocolli, che "hanno precedenza su tutte le altre leggi". Restrizioni dei diritti fondamentali sono possibili in generale, e in particolare dopo un conflitto, ma esse sono soggette a un test di proporzionalità che garantisce che vengano applicate solo le misure meno restrittive e solo per il tempo strettamente necessario. Questa è esattamente la linea dell'argomentazione della Corte europea dei diritti dell'uomo a partire dalla decisione Sejdic-Finci: un sistema che era giustificato per porre fine a una guerra non può essere giustificato nello stesso modo decenni dopo, quando la situazione è cambiata. Pertanto oggi, 25 anni dopo la fine del conflitto, la logica del sistema deve essere cambiata. I diritti individuali sono la regola e la salvaguardia delle caratteristiche del gruppo l'eccezione, la quale deve essere giustificata in modo specifico.

 

La terza questione importante riguarda una governance territoriale efficiente. In un Paese con meno di 3,5 milioni di abitanti, qualsiasi riduzione della complessità istituzionale sarebbe un enorme guadagno per il sistema democratico (chiarezza nel processo decisionale e responsabilità politica) e farebbe risparmiare risorse. Idealmente, un certo numero di regioni dovrebbe essere costituito secondo criteri storici, economici e geografici per favorire lo sviluppo economico decentrato, sull'esempio delle Regioni italiane nel 1948 e dei Länder tedeschi nel 1949, che nei decenni successivi svilupparono la propria identità politica come comunità politiche subnazionali. Tuttavia, l'attuale struttura con due Entità preesistenti, spesso antagoniste, può essere modificata solo attraverso una revisione totale della Costituzione di Dayton, che non sembra politicamente fattibile. Una riforma della Federazione potrebbe offrire notevoli possibilità di miglioramento, riducendo almeno il numero dei Cantoni e trasformandoli in un efficiente livello intermedio di governance territoriale con funzioni economiche e di pianificazione. Sebbene in passato siano state ampiamente discusse, tali proposte sono state regolarmente respinte. In ogni caso, la cooperazione tra gli enti territoriali a tutti i livelli di governo è fondamentale per una governance territoriale più efficiente e deve essere rafforzata; essa offre anche un potenziale per la cosiddetta "questione croata".

 

In sintesi, le attuali relazioni tra governo territoriale, popoli costituenti e singoli cittadini devono essere corrette e ribilanciate. Gli elementi territoriali e civili devono essere rafforzati e i diritti dei gruppi devono essere strettamente collegati ad aree di specifici interessi collettivi. Sono inoltre necessari alcuni aggiustamenti all'attuale assetto federale, se il federalismo in Bosnia ed Erzegovina deve funzionare effettivamente come un sistema coordinato e garantire tutti e tre gli scopi comuni ai sistemi federali: la funzione integrativa ("autogoverno e governo condiviso"), la separazione e la limitazione "verticale" del potere, nonché una maggiore partecipazione dei cittadini. La base di ogni patto federale sarà un ordine costituzionale multinazionale in cui la diversità è la regola, ma non a scapito dei diritti e delle libertà individuali.

 

Infine, una clausola che dichiari l'integrazione internazionale ed europea un obiettivo statale esprimerebbe l'apertura del sistema costituzionale e il suo orientamento verso l'esterno mettendo le basi per l’interazione con l’esterno. Nel corso della sua storia, la Bosnia-Erzegovina è sempre stata un'unità territoriale riconoscibile, ma allo stesso tempo parte di sistemi più ampi. Le disposizioni costituzionali sul (possibile) trasferimento dei diritti di sovranità alle organizzazioni internazionali ed europee sono comuni nella maggior parte degli Stati membri dell'UE. L'adozione di tale clausola di integrazione confermerebbe la disponibilità e la volontà degli attori istituzionali e dei cittadini bosniaci di dare al processo di adesione (e in seguito all'adesione all'UE) una base costituzionale sicura. Dovrebbe inoltre contenere questioni tecniche, come l'adeguamento delle istituzioni e delle procedure per garantire la partecipazione al processo decisionale, nonché l'attuazione tempestiva e completa del diritto dell'UE attraverso il coordinamento e la cooperazione di tutti i livelli di governo (non può, infine, mancare una disposizione che chiarisca le responsibilità fra i livelli di governo in casi di mancata attuazione).

 

  1. Iniziare un processo per le riforme coinvolgendo i cittadini

Ogni riforma costituzionale deve avvenire nelle istituzioni e attraverso le procedure di modifica costituzionale. Tuttavia, qualsiasi processo aperto di cambiamento deve includere la società civile per garantire l'informazione e la partecipazione dei cittadini, fornendo così le basi per la sua sostenibilità.

 

Solo un processo differenziato e articolato può contribuire a una riforma costituzionale sostenibile: i suoi elementi dovrebbero essere discussi a diversi livelli, con diversi attori e in diverse sedi. In un numero sempre maggiore di paesi sono praticati processi deliberativi e forme di democrazia partecipativa che possono fornire degli esempi anche per la preparazione di modifiche costituzionali. La deliberazione deve far sentire voci diverse, garantire qualità e sostenibilità, mentre una più ampia partecipazione aggiunge legittimità al processo, preparando così la fase finale del processo decisionale in seno all'Assemblea parlamentare con utili indicazioni dei cittadini sulla portata e sui principi della riforma.

 

Guardando all'attuale situazione di stallo, un tale processo può sembrare fantascienza, ma un'iniziativa dal basso verso l'alto, con cittadini scelti a sorteggio da diverse parti del Paese, promette dinamiche e prospettive sulle questioni in gioco diverse da quelle degli attori politici rappresentati nelle istituzioni.

 

L'Unione Europea, il Consiglio d'Europa e altri attori della Comunità Internazionale devono sostenere un tale processo sostenendolo attraverso consulenza, linee guida per le riforme e garanzie prima per un libero dibattito sulle riforme e, in seguito, per il processo di riforma. Un tale impegno aumenterebbe la credibilità dell'UE che, in effetti, attualmente impone alla BiH compiti che il paese non può assolvere da solo. Fondamentale per qualsiasi riforma sarà il coordinamento e il sostegno da parte degli Stati Uniti; nel 2021, anno in cui non ci saranno delle elezioni, potrebbe pertanto aprirsi una ‘finestra di opportunità’, se la nuova amministrazione statunitense è disposta a impegnarsi, assieme all’UE, in una riforma costituzionale.

 

In questo modo, la riforma costituzionale potrebbe effettivamente segnare la fine della transizione e la sua trasformazione da un sistema imposto a Dayton a un sistema multinazionale sostenibile per tutti i cittadini. La scelta è quindi tra un ulteriore consolidamento dello status quo insostenibile (infatti, il rischio è il deterioramento dell'apparente stabilità, almeno a medio termine) e il tentativo di riformare il sistema e di dare alla Bosnia ed Erzegovina gli strumenti per costruire un futuro sostenibile. Alla fine, è la scelta espressa dal nuovo Presidente USA Joe Biden al momento di accettare la sua candidatura: "più divisi..., o riformare e unirsi". L’anno appena cominciato offre una rara occasione per mettere fine alla transizione della Bosnia ed Erzegovina attraverso l’inizio con le riforme che dovrebbero portarla ad una maggiore unità e funzionalità, nel rispetto delle diversità.

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