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Il primo turno delle elezioni nell’Unione Europea e lo scenario partitico del Consiglio Europeo

DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 18 maggio 2024

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

Le elezioni per il Parlamento europeo (Pe) che si terranno tra meno di due settimane (in Italia l’8-9 giugno) sanciranno l’avvio di una nuova legislatura. Si tratta di un passaggio importantissimo nell’ambito della politica democratica della Ue, dal quale dovrà scaturire il rinnovo (o la conferma) delle cariche apicali nelle maggiori istituzioni – Consiglio, Commissione e Parlamento - in parallelo all’adozione di un nuovo programma politico, che sembra includere ambiziosi progetti di integrazione.

 

Tuttavia, le elezioni per il Pe rappresentano, per così dire, il secondo turno delle elezioni Ue. A giocare un ruolo cruciale nella scelta del presidente della Commissione, della maggioranza partitica che lo sosterrà e, di conseguenza, del programma che verrà adottato è anche il Consiglio Europeo: l’istituzione che raccoglie tutti i capi di governo (che in alcuni casi sono anche capi di stato)1 degli stati-membri.


Il Consiglio Europeo trae, infatti, la sua composizione dalle elezioni nazionali negli stati-membri, che sono di fatto elezioni dirette (se presidenziali) o indirette (se parlamentari).2 Come noto, le elezioni nazionali seguono un calendario autonomo e si distribuiscono lungo tutto l’arco della (precedente) legislatura Ue (tabella 1). In altre parole, il ciclo di elezioni nazionali che produce il Consiglio europeo di inizio legislatura può essere considerato come il primo turno delle elezioni della Ue. 

 

Con le presidenziali lituane, tenutesi il 12 maggio, i risultati di questo primo turno di elezioni sono sostanzialmente completi e permettono di tracciare un profilo del Consiglio europeo che dia qualche indicazione di massima sulle possibili maggioranze partitiche. La tabella 2, riporta l’attuale composizione del Consiglio europeo, distinguendo i membri delle tre famiglie partitiche che hanno portato avanti il processo di integrazione e che costituiscono la tradizionale maggioranza politica nella Ue - Popolari, Socialisti e Liberali – dagli altri membri.


I Popolari, come di norma, hanno una importante maggioranza relativa, superiore alla somma dei Liberali e dei Socialisti. Tuttavia, per la prima volta da molto tempo, nessun capo di governo dei quattro paesi più grandi – Germania, Francia, Italia e Spagna – appartiene al più grande partito europeo. Occorre arrivare al quinto paese più popoloso (la Polonia) per trovarne uno, Donald Tusk, che sarà probabilmente uno dei leader della nutrita pattuglia popolare in Consiglio, insieme al romeno Klaus Iohannis (dato come potenziale candidato di riserva per la presidenza della Commissione) e al greco Kyriakos Mitsotakis.

 

Il dato più rilevante resta quello dei rapporti di forza tra la coalizione storica e i capi di governo appartenenti ad altre forze politiche. In questo caso, la maggioranza storica (tendenzialmente pro-integrazione) sembra avere ampi margini: 21 contro 6. In realtà, tra i cinque capi di governo, per così dire, ‘non allineati’, uno - il presidente indipendente di Cipro (Nikos Christodoulides) - proviene dall’area popolare; portando il conto, di fatto, a 22 contro 5.

 

I restanti cinque capi di governo condividono, seppur con diverse sfumature, una visione inter-governativa dell’Unione europea, volta alla ricerca di meccanismi di co-operazione tra gli stati-membri, anziché di ulteriore integrazione.

 

Tuttavia, essi provengono da partiti diversi. I premier di Italia (Giorgia Meloni) e Repubblica Ceca (Pter Fiala) appartengono ai Conservatori, mentre i premier di Ungheria (Viktor Orban) e Slovacchia (Robert Fico) non hanno un partito o un gruppo di riferimento a livello europeo, essendo stato il primo espulso dai Popolari (nel marzo 2021) e il secondo sospeso dai Socialisti (subito dopo essere tornato al governo nell’ottobre 2023).

 

Anche il presidente lituano, Gitanas Nauseda, in quanto indipendente, non ha un partito europeo di riferimento. Tuttavia, considerati gli ottimi rapporti intrattenuti con il presidente della Polonia Andrzej Duda (del partito Legge e Giustizia) – può essere considerato non troppo distante dai Conservatori della Meloni e di Fiala.

 

Soprattutto, nell’attuale contesto geo-politico, i cinque ‘non allineati’ (o ‘intergovernativi’) sono chiaramente divisi sulla guerra in Ucraina; con Meloni-Fiala-Nauseda fortemente schierati a favore di un supporto Ue (e Nato) all’Ucraina e a favore delle sanzioni alla Russia; mentre Orban e Fico sono in totale contrapposizione. Il recente attentato alla vita del premier slovacco potrebbe indebolire la componente più oltranzista dell’opposizione al governo Ue, ma questo dipenderà dalla sorte di Fico, dai suoi eventuali tempi di recupero e, in caso, da chi lo sostituirà nelle sedute cruciali del Consiglio europeo.

 

In ogni caso, la divisione all’interno del gruppo ‘intergovernativo’ potrebbe essere sfruttata dalla maggioranza storica per tentare di includere Giorgia Meloni; vale a dire per evitare di formare una maggioranza Ue che escluda il capo di governo di uno dei tre maggiori stati-membri. A ben vedere, le esperienze del recente passato - quando il premier del Regno Unito, David Cameron, si è trovato all’opposizione, in particolare nel periodo della Commissione Junker (2014-2019) – non hanno portato bene all’Unione europea.

 

Ovviamente, restano anche altre incognite, a partire dai condizionamenti che i membri del Consiglio europeo potrebbero subire dai rispettivi alleati nei governi nazionali. Non va dimenticato che alcuni capi di governo, soprattutto dei popolari, hanno patti di maggioranza o coalizioni di governo con partiti che fanno parte dei Conservatori europei (es. in Svezia e Finlandia). Senza dimenticare che l’Olanda, in cui il partito identitario di Geert Wilders è risultato il più votato nelle elezioni del novembre 2023, potrebbe formare un nuovo governo nelle prossime settimane.

 

Gli osservatori tendono ad escludere un premierato Wilders ma l’eventuale nuovo primo ministro olandese potrebbe essere pesantemente vincolato agli orientamenti identitari, anch’essi fortemente anti-integrazione.

 

È in questo scenario che, molto presto, saremo chiamati ad esprimerci nel secondo turno delle elezioni Ue: quello per il Parlamento Europeo. Il responso delle urne contribuirà in modo significativo a determinare gli equilibri politici nella Ue per i prossimi anni.

 

di Emanuele Massetti

Professore Associato di Scienza Politica

Scuola di Studi Internazionali – Università di Trento

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