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Gli Usa lasciano l'Afghanistan: una mossa strategica, forse necessaria, per destabilizzare la Cina e i suoi alleati?

Se i Talebani riuscissero a diventare attori non controllati da Pechino, non solo renderebbero l’Afghanistan instabile, ma potrebbero contribuire a scatenare rivolte interne nei territori degli alleati già solidamente filo- cinesi quali l’Iran e il Pakistan. In Iran potrebbero fomentare gruppi ribelli nella provincia del Belucistan, mentre nel Pakistan potrebbero agire nella zona del Punjab. Inoltre, la Cina si trova con una delle sue regioni più problematiche, quella a maggioranza islamica dello Xinjiang, che confina con l’Afghanistan
DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 17 settembre 2021

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

di Pejman Abdolmohammadi, docente di storia e relazioni internazionali del Medio Oriente alla Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento

 

E’ passato ormai un mese dalla fuga dell’ex Presidente afgano Ashraf Ghani e dalla conseguente caduta di Kabul, provocata dall’assalto dei Talebani. Il mondo ha assistito, in streaming, a una resa veloce e incondizionata dell’esercito nazionale afgano e dei numerosi governatori locali, i cosiddetti Vali. Da Herat a Ghandehar, si è notata una debolezza strutturale del sistema politico-amministrativo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, mentre, sul fronte opposto, i Talebani hanno mostrato compattezza, determinazione e soprattutto organizzazione.

 

Il cambio di regime in Afghanistan segna un evento rilevante all’interno dello scacchiere geopolitico mondiale e, in particolare, in quello asiatico e mediorientale. Sul piano della politica interna, il neonato Emirato Islamico dei Talebani, sebbene si sia costituito rapidamente, rappresenta un elemento di destabilizzazione per l’intera regione. I Talebani riportano un Islam politico radicale al vertice del potere politico afgano e hanno l’ambizione di creare un Emirato, in cui l’Islam politico, nella sua interpretazione radicale, diventa l’ideologia dominante. Questo fatto limiterà, in modo considerevole, le libertà politiche e i diritti civili dei cittadini afgani. Inoltre, dalle dichiarazioni dei Talebani e, considerando la loro dottrina politica, vi sarà da aspettarci tentativi di supporto, da parte del nuovo Emirato islamico, nei confronti di realtà politico-sociali presenti nei paesi vicini quali l’Iran, il Pakistan, il Tajikistan, l’Uzbekistan e la Cina. Pertanto, il nuovo Afghanistan dei Talebani ha tutte le potenzialità per diventare un punto di instabilità in Asia.

 

Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan ha così provocato uno shock esogeno all’equilibrio di potenza presente nella regione. Ora Pechino dovrà spendere tempo e risorse al fine di garantirsi Kabul come nuovo alleato al fine di realizzare l’ambizioso progetto della nuova via della seta. La Repubblica Popolare Cinese ha già dalla sua parte il Pakistan e la Repubblica Islamica dell’Iran e qualora potesse avere anche l’alleanza dell’Afghanistan, diventerebbe un blocco compatto a oriente della Mesopotamia. Un fronte questo, in grado di competere ulteriormente, sul piano geopolitico ed economico, con gli Stati Uniti e l’Europa, da un lato, e con la Russia e l’India dall’altro. Per questo motivo la partita dell’Afghanistan diventa molto rilevante: se i cinesi riuscissero a compiere l’impresa di addomesticare i Talebani, sarebbero in grado di aggiungere un tassello importante al loro nuovo impero globale in via di costruzione.

 

Se invece l’Afghanistan, come successe per i sovietici negli anni settanta e ottanta, si trasformasse in una trappola per Pechino, allora il progetto della nuova via della seta potrebbe essere seriamente danneggiato. Infatti se i Talebani riuscissero a diventare attori non controllati da Pechino, non solo renderebbero l’Afghanistan instabile, ma potrebbero, come spiegato prima, contribuire a scatenare rivolte interne nei territori degli alleati già solidamente filo- cinesi quali l’Iran e il Pakistan. Per esempio, in Iran i Talebani potrebbero fomentare gruppi ribelli nella provincia del Belucistan, mentre nel Pakistan potrebbero agire nella zona del Punjab. Inoltre, la Cina si trova con una delle sue regioni più problematiche, quella a maggioranza islamica dello Xinjiang, che confina con l’Afghanistan. I Talebani potrebbero benissimo diventare un luogo di appoggio per le proteste della minoranza mussulmana degli Uyghguri, spesso perseguitata e pertanto ostile allo stato centrale cinese.

 

Si potrebbe concludere sottolineando che gli Stati Uniti, ritirandosi dall’Afghanistan, hanno compiuto una mossa strategica, sicuramente rischiosa, ma probabilmente per loro necessaria. Togliendo una pedina dallo scacchiere, provano a fomentare, tramite i Talebani, l’Islam politico radicale allo scopo di destabilizzare la Cina e i suoi alleati. La possibilità che si crei un’asse di ferro tra Cina- Pakistan – Iran e Afghanistan potrebbe provocare la reazione dei russi e degli indiani in una direzione di alleanza tattica con Washington e Brussels al fine di fermare questa ulteriore ascesa di Pechino. Inoltre, Washington riduce lo spreco di risorse causate dalla sua presenza fisica in un’area difficilmente controllabile, incrementando invece la sua presenza nel pacifico.

 

La crisi afgana è legata alla crescente sfida tra Washington e Pechino e i prossimi anni ci daranno modo di capire quanto questa mossa statunitense abbia avuto successo a lungo termine o quanto si sia rivelata sbagliata sul piano strategico. Di certo, i veri perdenti sono quei cittadini afgani che sono e saranno sottoposti a un nuovo autoritarismo di matrice islamica radicale.

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