Francia e Germania elaborano un Manifesto per la politica industriale europea. E l'Italia che fa?


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
di Andrea Fracasso, docente della Scuola di Studi Internazionali e del Dipartimento di Economia e Management ed Antonino Alì, docente della Scuola di Studi Internazionali e della Facoltà di Giurisprudenza
Al termine di uno dei corsi sull’integrazione europea tenuti alla Scuola di Studi Internazionali abbiamo domandato agli studenti di spiegare in che senso l’aver attribuito all’UE e, in particolare, alla Commissione Europea la competenza esclusiva sulla politica della concorrenza abbia posto dei limiti alla politiche industriali nazionali. In altri termini quanto la tutela della concorrenza abbia compromesso il perseguimento dell’interesse nazionale economico.
La risposta data dagli studenti, in estrema sintesi, è che è necessario limitare la possibilità che i singoli Stati europei, attraverso aiuti pubblici dati alle sole imprese nazionali o altre distorsioni, possano falsare il gioco della concorrenza. Gli Stati membri hanno accettato di creare un mercato unico, senza barriere e distinzioni basate sulla provenienza dei prodotti europei, a condizione che la concorrenza tra le imprese sia equa e con la garanzia che un organo terzo dell’Unione regolasse la materia e prendesse le decisioni opportune in caso di contestazioni. La domanda rivolta agli studenti si concentrava quindi sul legame tra partecipazione al mercato unico e libertà nella concessione aiuti di stato discriminatori sulla base della nazionalità alle imprese.
Solo una settimana dopo, su tutti i maggiori giornali europei è apparsa una notizia che rende il quesito all’esame più interessante. Francia e Germania, infatti, hanno proposto un manifesto (https://www.bmwi.de/Redaktion/DE/Downloads/F/franco-german-manifesto-for-a-european-industrial-policy.pdf?__blob=publicationFile&v=2 ) per una nuova politica industriale europea che prevede anche la revisione delle regole di concorrenza della UE. L’obiettivo del manifesto è favorire il rafforzamento dei «campioni» industriali e tecnologici europei attraverso l’introduzione di maggiore flessibilità nella valutazione da parte della Commissione delle fusioni di imprese europee per tenere conto del fatto che la concorrenza è globale e non va misurata solo nell’ambito del mercato europeo. Ma vi è di più, una parte del manifesto prevede di dare ai governi (riuniti in sede di Consiglio) la possibilità di non rispettare alcune decisioni Antitrust dell’Ue (senza attendere l’eventuale giudizio della Corte di Giustizia).
Questa posizione sembrava ricalcare quanto già sostenuto a partire dagli anni cinquanta/sessanta, all’indomani della creazione delle tre Comunità: l’obiettivo di creare società di dimensioni sufficienti a competere a livello globale (disinteressandosi per un periodo di tempo congruo delle questioni relative alla concorrenza europea). La proposta franco-tedesca di revisione delle norme sulla concorrenza nell’UE era attesa in quanto l'Antitrust europeo aveva bloccato la fusione nel settore ferroviario tra Altsom (Francia) e Siemens (Germania). La coincidenza temporale ha sollevato commenti critici di natura politica e anche di natura economico-giuridica. Non a caso non è mancato chi ha osservato (V. Franco Debenedetti, “Più concorrenza per più integrazione UE”, Il sole 24 ore del 27 febbraio https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-02-27/piu-concorren...) che la fusione tra due imprese concorrenti avrebbe potuto essere autorizzata se fosse stato dimostrato che serviva ad aumentare le vendite nei mercati internazionali e ricadute positive sull’occupazione (cosa che in verità non si è mai verificata).
Francia e Germania, come già accaduto in passato, sono accusati di proporre delle modifiche alle norme europee che non risultano adeguate a sostenere i loro principali interessi nazionali. In questo senso, la proposta rappresenterebbe quindi una forma di nazionalismo economico (sovranismo economico, si dice oggi) che nasce, peraltro, dai due principali sostenitori del disegno europeo. La proposta cristallizzerebbe inoltre la difficoltà dei francesi ad accettare intromissioni sovranazionali o di altri paesi nella gestione della propria strategia industriale. Difficoltà già emerse di recente in modo particolare nei confronti delle imprese italiane che si spingono a fare acquisizioni e fusioni in territorio francese. Si tratta di resistenze che esistono da sempre e che si sono acuite di recente quando alcuni esponenti del governo italiano hanno aperto un contenzioso di natura politica sostenendo la protesta di piazza in Francia, oltre che mettendo in discussione i pregressi accordi sulla TAV Torino-Lione.
Queste considerazioni sono legittime e in parte plausibili. La lettura dell’intera proposta franco-tedesca costringe però a fare considerazioni più elaborate, cui poco spazio ha dato la stampa italiana, prima di esprimere un giudizio sul documento. La proposta sicuramente mostra che francesi e tedeschi fanno sul serio nel rimettere il loro rapporto bilaterale al centro delle relazioni europee, alla luce della crescente marginalità del Regno Unito, delle difficoltà politiche in Spagna, dell’ostilità al progetto europeo di molti paesi dell’Est e dell’antagonismo sovranista italiano del nuovo governo. Il rischio che l’ulteriore riduzione di potere della Commissione a favore del Consiglio (composto dai ministri dei paesi membri) sia l’inizio della fine dell’approccio comunitario e quindi del progetto di integrazione è reale e non deve essere sminuito. Potrebbe forse osservarsi che gli effetti di questo spostamento verso la logica intergovernativa sono ormai una costante a partire quanto meno dalla crisi finanziaria iniziata dieci anni fa.
Il dato interessante è che quello che viene in gioco adesso è, da un lato, l’interesse “nazionale” europeo nel suo complesso e la necessità che questo possa essere difeso in un contesto internazionale sempre più competitivo. In questo senso il manifesto è indirizzato alla strategia di politica industriale dell’UE, non dei due paesi. Fin dalle prime righe il manifesto dice che questo deve essere un invito alla prossima Commissione europea a mettere la politica industriale come priorità dell’azione Europea. Inutile dire che si tratta di un tema delicato in cui si tratta di comprendere fino a che punto è necessario rispettare le regole sulla concorrenza “interne” facendo politica industriale a livello globale senza seguire alla lettera le stesse regole.
Il manifesto franco-tedesco mostra che i due paesi pongono grande attenzione al problema della competizione su scala planetaria. Il mercato europeo è cruciale, ma non più sufficiente. Imprese che sono grandi in Europa possono non essere sufficientemente grandi per competere nei più importanti mercati internazionali. Questo ricorda solo lontanamente la retorica globalista del Regno Unito post-Brexit, secondo la quale la perdita di accesso preferenziale all’UE sarebbe compensata dall’accesso al resto del mondo. Al contrario, mostra come la promessa fatta da alcuni politici agli inglesi di sostituire l’UE con altri paesi nel mondo sia probabilmente velleitaria se Francia e Germania sono preoccupate di non farcela nemmeno mettendosi insieme.
Il Manifesto ricorda che per competere è necessario impegnare i paesi e le imprese in maggiori investimenti nell'innovazione e nella formazione di lavoratori. Già di recente è stato introdotto uno Forum Strategico per “Important Projects of Common European Interest” (IPCEI, https://www.clustercollaboration.eu/tags/ipcei) come parte della Strategia di Politica Industriale Industrial del 13 Settembre 2017. A fine 2018 la Commissione europea ha già dato il via libera al progetto integrato di Francia, Germania, Italia e Regno Unito a favore della ricerca e dell'innovazione nel settore della microelettronica in quanto “tecnologia abilitante fondamentale”. Questo mostra come una dimensione europea sia possibile e auspicabile nella proposta franco-tedesca: la riduzione della cooperazione al solo asse franco-tedesco o a quattro (come nel caso del progetto di cui sopra) è il frutto dei problemi europei e non la causa. I settori e i temi interessati sono tanti: idrogeno, processi industriali a basso contenuto di carbonio, sicurezza informatica, intelligenza artificiale, robotica, sanità.
Peraltro, non è solo l’interesse dell’UE in un quadro globale ad essere preso in considerazione, la proposta prevede anche il coinvolgimento temporaneo di soggetti statali in settori specifici. Questa può essere letta come l’avvertita necessità di creare le condizioni per consentire alle imprese europee di chiudere il gap tecnologico con quelle americane e cinesi nei settori dell’alta tecnologia (nel documento in particolare si sottolinea la grande importanza dell’importanza dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie di punta). Non solo perché questi settori sono quelli con le migliori prospettive di crescita, ma anche perché sono quelli strategicamente più importanti in materia di sicurezza. Questa lettura è avvalorata dalla presenza di un terzo capitolo del manifesto franco-tedesco, quello sul controllo degli investimenti esteri nella Ue. Il manifesto ribadisce come l’UE debba attuare pienamente l’accordo sui maggiori controlli sugli investimenti diretti esteri nell’UE. A tale riguardo, a breve verrà pubblicato il testo del regolamento sul controllo degli investimenti diretti stranieri per motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico.
La preoccupazione è che possano esservi seri rischi nell’hardware e software delle tecnologie 5G, che venga lesa la tutela dei dati personali, che diventino vulnerabili le reti dei servizi energetici o di trasporto, solo per fare alcuni esempi. Questo suggerisce come alcune posizioni estreme dell’Amministrazione Trump in materia di restrizioni al commercio mondiale siano tutt’altro che estemporanee e comincino a trovare riscontro anche nell’UE. Il manifesto conclude dicendo “dobbiamo monitorare e adattare costantemente, se necessario, la nostra politica commerciale per difendere la nostra autonomia strategica: questo include l'essenziale e urgente modernizzazione dell'OMC”.
Si noti come questa questione toccherà rapidamente anche il tema della collaborazione tra singoli stati europei e la Cina per il completamento della Belt and Road Initiative (anche nota come nuova via della seta). Solo pochi paesi dell’UE (Bulgaria, Croazia, Grecia, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Repubblica Ceca) hanno sottoscritto un memorandum of understanding con la Cina, legati spesso a progetti imponenti come l’acquisizione del porto del Pireo. Sono proprio questi episodi ad aver accelerato la riflessione verso un più stretto screening degli investimenti esteri in UE (si veda http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=1982 per il più recente – 14 febbraio 2019 - atto politico di un rapidissimo processo iniziato a fine 2017 e in corso di conclusione).
Il documento franco-tedesco mostra quindi una riflessione tutt’altro che sovranista e apre affermando che “l'Europa deve unificare le sue forze ed essere più unita che mai”. La battaglia per la conquista dei mercati internazionali del futuro e per il controllo della sicurezza (specie nel comparto delle telecomunicazioni e dell’informatica applicata all’industria) è già in corso. Francia e Germania richiamano i paesi europei a giocare insieme.
Quale giudizio dare allora al nuovo corso della politica industriale italiana? Quali i vantaggi e i rischi di spostare risorse via dai progetti pubblici e privati di Industria 4.0? Quale i vantaggi e i rischi di una più spinta promozione del classico “Made in Italy” e delle produzioni di nicchia (ad esempio attraverso meno partecipazioni a fiere ma con più uffici permanenti di rappresentanza delle imprese più rilevanti nelle piazze delle maggiori città del mondo)? Non si tratta di domande retoriche. Se si sceglie di rimanere un paese a vocazione manifatturiera e di “aggiornare” i propri settori di specializzazione verso l’alto, infatti, è necessario iniziare a muoversi insieme a tedeschi e francesi, chiudendo il ritardo che il Paese ha su tanti fronti.
Se si intende promuovere invece i prodotti di nicchia delle piccole-medie imprese italiane, allora si deve capire come competere, prima di tutto, proprio con alcuni partner europei, come proteggere le imprese da acquisizioni di altri paesi europei e come promuovere delle relazioni speciali con alcuni paesi “critici”( Russia, Iran, ecc). Non tutte le scelte si riveleranno ugualmente vincenti, ma tutte sono politicamente lecite e difendibili. Una discussione di alto livello e con un orizzonte di lungo termine è tuttavia necessaria. Si tratta di questioni più importanti delle schermaglie via twitter tra esponenti politici di paesi diversi o dei suggestivi viaggi di ambasciatori tra paesi amici. E’ un richiamo quindi per giornalisti, professionisti, rappresentanze, e ricercatori. Occuparsi oggi di UE richiede anche di occuparsi del futuro della manifattura e dell’industria europea e dei singoli stati.
Quasi scontato osservare che l’economia di uno Stato e la sua sicurezza economica è difficilmente tutelabile, o lo è con grandi sforzi, per chi, come l’Italia, ha un debito pubblico enorme. Il risultato è una politica industriale con pochi margini di manovra e giocata prevalentemente in difesa in area di rigore.