Elezioni non solo a stelle e strisce: il voto in Georgia e Moldavia


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Alessandra Russo, docente di relazioni internazionali presso la Scuola di Studi Internazionali e il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale.
Nelle ultime settimane, mentre in moltissimi, alle più diverse latitudini, tenevano gli occhi puntati sulle elezioni presidenziali statunitensi, in altri due Paesi alle porte (orientali) dell’Unione Europea altri cittadini erano chiamati al voto. Quelli georgiani, nelle due tornate del 31 ottobre e 21 novembre, hanno infatti rinnovato il proprio Parlamento, inaugurando peraltro una nuova legge elettorale che sposta il piccolo paese del Caucaso meridionale verso un sistema di rappresentanza proporzionale. I cittadini moldavi, invece, in occasione del primo turno il 1 novembre e poi di un secondo turno di ballottaggio il 15 novembre, hanno votato per l’elezione diretta del proprio presidente, per la quarta volta dall’indipendenza del 1991 e per la prima volta indicando il nome di una donna alla guida del Paese.
Georgia e Moldavia non possono certamente considerarsi contesti frequentemente alla ribalta delle cronache italiane. Eppure, è necessario ricordarsi che per esempio i cittadini moldavi che risiedono e lavorano regolarmente nel nostro Paese rappresentano una comunità di quasi 125mila persone (dati Istat riferiti al 2019); e che il voto della diaspora moldava ha avuto un ruolo significativo (e contestato dal presidente uscente, che non si è visto riconfermato per un secondo mandato) sull’esito delle elezioni. Mentre la presenza dei cittadini georgiani in Italia è meno quantitativamente visibile in Italia, diversi analisti hanno ribadito quanto queste elezioni abbiano rappresentato una tappa cruciale nella traiettoria di transizione post-sovietica del Paese e nell’articolazione di un percorso di riforme promosso anche dall’Unione Europea nel quadro del Partenariato Orientale.
Entrambi gli appuntamenti elettorali si sono svolti in un quadro socio-politico di crescente complessità a livello regionale: basti ricordare, negli ultimi mesi, le proteste in Bielorussia e il rinfocolamento del conflitto in Nagorno-Karabakh (che oltretutto ha reso problematico il voto nella regione georgiana di Samtskhe-Javakheti). A ciò si aggiunge l’impatto che l’attuale emergenza sanitaria ha avuto sullo svolgimento delle elezioni (dalle misure precauzionali adottate per evitare che i seggi diventassero veri e propri focolai di trasmissione, all’effetto deterrente che tali misure restrittive possono avere avuto sulla partecipazione al voto, alla diminuita presenza di osservatori internazionali a monitorare la trasparenza e la legittimità sia delle campagne elettorali che delle pratiche stesse di voto e di conteggio delle schede). Sia in Georgia che in Moldavia, inoltre, il momento elettorale ha costituito un’ulteriore occasione di riflessione sull’integrazione delle minoranze etniche e sulla partecipazione delle popolazioni residenti nelle rispettive regioni separatiste (Transnistria, nel caso moldavo, Ossezia del Sud e Abkhazia, nel caso georgiano) nella vita politica dei rispettivi Paesi.
In Moldavia, le elezioni sono state da più esperti interpretate come un ennesimo confronto tra l’identità europeista del Paese e una inclinazione filo-russa: la prima impersonata da Maja Sandu e la seconda da Igor Dodon. Sandu, come già menzionato, è risultata vincitrice sulla base di un programma elettorale che ha messo al centro la lotta alla corruzione, misure di contrasto alla disoccupazione (da ricordare qua il peso delle rimesse dall’estero sull’economia dl Paese) e una promessa di riforme del sistema giudiziario - soprattutto per quanto riguarda l’ordinamento penale; tutto ciò accanto, certamente, alla riconferma degli impegni del Paese rispetto al processo di avvicinamento all’Unione Europea. All’indomani della vittoria, Sandu non ha comunque tardato a rassicurare i diversi interlocutori internazionali rispetto alla sua futura ricerca di un dialogo equilibrato con l’immediato vicinato (Romania, Ucraina), con l’Europa, con gli Stati Uniti e con la Russia, nell’interesse dei cittadini moldavi. Nel concreto, la neo-presidente lavorerà per la riapertura del mercato russo ai prodotti agricoli moldavi, la finalizzazione di accordi sullo status legale e il riconoscimento di diritti sociali per i lavoratori moldavi in Russia, senza perdere di vista il nodo cruciale della Transnistria.
Anche la rappresentazione mediatica delle elezioni in Georgia sembra aver rinnovato un discorso che vedrebbe il Paese esitare tra Europa e Russia - anche se questa definizione geopolitica del voto è stata proposta in una misura molto più limitata nel caso georgiano rispetto a quello moldavo. E del resto, non poteva essere altrimenti. Se è vero che lo spettro di un assecondamento degli interessi russi è stato agitato dalle opposizioni al partito di governo Sogno Georgiano (il partito che si è poi assicurato la maggioranza assoluta in parlamento), è anche vero che il processo di integrazione euro-atlantica della Georgia non sembra essere stato messo in discussione dai protagonisti dell’attuale scena politica. Proprio nelle fasi finali della campagna elettorale, il primo ministro Giorgi Gakharia ha visitato Bruxelles ed incontrato diversi rappresentati delle istituzioni europee (tra cui il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli). In quel frangente Gakharia non si è risparmiato di esternare l’ambizione della Georgia rispetto ad una piena partecipazione all’Unione Europea (tradotto: come membro).
Un messaggio simile era stato espresso dallo stesso Gakharia in occasione del suo discorso per il 75esimo anniversario delle Nazioni Unite: in quella circostanza, aveva ribadito l’appartenenza della Georgia alla civiltà europea e l’impegno rispetto all’integrazione nella comunità euro-atlantica. Tuttavia, anche per quanto riguarda il voto in Georgia, chi scrive si domanda se l’orientamento della Georgia rispetto all’Unione Europea abbia pesato sui comportamenti di voto in modo così pronunciato, come ci si potrebbe aspettare appunto dalla raffigurazione del voto in chiave geopolitica. Alcuni dati ci vengono in aiuto: secondo un sondaggio condotto durante i mesi estivi congiuntamente dal National Democratic Institute for International Affairs e del Caucasus Research Resource Center - Georgia, i principali problemi identificati dai cittadini georgiani rispetto al proprio Paese sono la disoccupazione (49% degli intervistati) e l’integrità territoriale (28%); mentre i fattori che avrebbero influenzato maggiormente il comportamento di voto sarebbero stati la politica economica espressa nelle piattaforme programmatiche di un partito o dell’altro (36% degli intervistati), la posizione rispetto alle questioni sanitarie (12%), la posizione rispetto alla certezza del diritto e alla legalità (12%).
Solo per il 5% degli intervistati l’orientamento di politica estera dei partiti avrebbe rappresentato un aspetto dirimente per la decisione di voto. All’indomani del voto, inoltre, l’aspetto che desta preoccupazione è quello legato alle proteste di alcuni settori della società civile rispetto alle ipotesi di brogli elettorali e alle pratiche repressive adottate per contenerle. Che spunti possiamo trarre da ciò? Forse, il superamento della narrazione dicotomica Est-Ovest, Russia-Europa, che fa ancora eco ad una retorica da Guerra Fredda, e che sembra essere dispiegata ogni volta il nostro sguardo volge verso l’area ex-sovietica. Il posizionamento internazionale dei Paesi del vicinato orientale si è rivelato tutt’altro che pacifico e lineare; e la Federazione Russa ha strumenti sia coercitivi che di soft power da mettere in campo per continuare ad esercitare una certa influenza sui Paesi dell’Europa orientale, del Caucaso e dell’Asia centrale. Tuttavia, l’invito è quello di considerare gli interessi, le identità e le percezioni anche e soprattutto degli attori locali, nella loro pluralità, ogni qualvolta si cerchi di analizzare le traiettorie socio-politiche, i conflitti, le mobilitazioni di questi Paesi.