Elezioni in Germania, vince la Merkel e vola l'ultradestra, ma aumentano deputati e finisce l’era di tranquillità e stabilità


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Dell’esito delle elezioni tedesche si parlerà martedì 3 ottobre alle 17.30 alla Biblioteca Comunale di Trento in occasione di un incontro pubblico organizzato dalla Scuola di Studi Internazionali in cui interverranno i professori Jens Woelk, Gustavo Corni e Stefani Scherer. L’incontro è aperto a tutta la cittadinanza (Qui maggiori info).
Elezioni tedesche: un’esplosione dopo una campagna elettorale considerata noiosa e segno di 'normalizzazione' della Germania.
Jens Woelk, professore associato di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Scuola di Studi internazionali dellUniversità di Trento:
Angela Merkel ha 'vinto' le elezioni federali tedesche del 24 settembre 2017 garantendosi il quarto mandato consecutivo da cancelliera tedesca (prima di lei soltanto il suo mentore, Helmut Kohl, fu così longevo in tale carica); tuttavia, tale successo potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro dato che si tratta del peggior risultato dal 1949: infatti, il suo partito cristiano-democratico (CDU), assieme al gemello bavarese (CSU), ha raggiunto soltanto il 33% dei voti, un calo vertiginoso dal 41% raggiunto nel 2013 (-8,5%).
Anche il suo partner nella 'Grande Coalizione', il partito socialdemocratico (SPD), il quale ha governato la Germania insieme alla CDU/CSU per gli ultimi quattro anni, con il candidato cancelliere Martin Schulz, è stato punito dagli elettori con la perdita del 5,2% dei consensi raggiungendo soltanto il 21%, peggior risultato nella storia del secondo dopoguerra.
Con sorpresa annunciata, il partito di estrema destra, Alternative für Deutschland (AfD), fondato solo nel 2013 e entrato, negli ultimi quattro anni, in 10 su 16 Parlamenti dei Länder, ha invece facilmente superato la clausola di sbarramento entrando nel Bundestag con il 12,6% (+ 7,9%) dei voti e vincendo così la 'gara' per il terzo partito in termini di voti.
I liberali del partito FDP sono tornati dopo quattro anni di assenza dal Parlamento federale con un rispettabile 10,5% (+ 5,9%), mentre gli altri due partiti sono riusciti soltanto a guadagnare qualche voto in più affermandosi rispettivamente al 9,2% (Die Linke, + 0,6%), e al 8,9% (i Verdi, + 0,5%).
Le particolarità del sistema elettorale tedesco, che 'corregge' un sistema sostanzialmente proporzionale basato su liste regionali dei partiti (determinanti per la composizione del Parlamento) con una componente maggioritaria che permette agli elettori nelle 299 circoscrizioni di votare anche per una persona (i cosiddetti 'mandati diretti'), hanno prodotto un aumento forte dei seggi nel nuovo Parlamento per 709 deputati e quindi 111 in più rispetto alla composizione ordinaria.
Tale fenomeno si spiega con i cosiddetti 'mandati in eccedenza' – un partito raggiunge più 'mandati diretti' rispetto alla quota per la propria lista nel calcolo proporzionale – che devono a loro volta essere compensati con ulteriori seggi per gli altri partiti fino a raggiungere nuovamente le proporzioni secondo il risultato elettorale delle varie liste.
Non essendo previsto nessun limite massimo, tale meccanismo di compensazione fa lievitare il numero dei deputati portando ad un numero molto alto e criticato per i conseguenti costi e gli effetti negativi sul lavoro parlamentare.
Dopo la riunificazione la 'normalizzazione' del sistema politico tedesco?
Con questo risultato, le elezioni federali del 2017 segnano la fine definitiva dell’era di tranquillità e stabilità che aveva caratterizzato il sistema politico tedesco del secondo dopoguerra, con pochi partiti moderati e maggioranze stabili. Lo dimostrano i principali elementi del risultato elettorale fra cui la significativa erosione della base elettorale dei due 'grandi' partiti di raccolta, l’aumento del numero complessivo dei partiti nel Parlamento tedesco e l’affermazione di una pluralità di partiti 'medi' (per ora quattro) e soprattutto l’ingresso di un partito populista di destra, l’AfD, finora considerato un tabù nella Germania del secondo dopoguerra, almeno a livello federale.
La caduta di questo tabù assieme agli altri dati possono essere letti come la conferma di un processo di 'normalizzazione' della Germania, processo in atto dalla riunificazione e che avrà delle ripercussioni sul futuro del paese ma anche su quello dell’integrazione europea.
Il successo dell’Alternative für Deutschland
Con la sua campagna di alternativa autentica ad una politica bloccata e tutta uguale degli altri partiti, sostenuta da slogan populistici, anti-europei e xenofobi, l’AfD non solo ha vinto più di 90 seggi nel nuovo Bundestag (e con questo ha il diritto a più di 300 dipendenti e assistenti nonché a finanziamenti pubblici), ma è arrivata ad essere secondo partito nella Germania orientale, con il 21%.
Tale risultato è stato possibile perché il partito di destra ha raccolto circa un milione di voti dalla CDU/CSU, mezzo milione dai socialdemocratici e 430.000 da Die Linke e, nel suo primo commento dei risultati, il leader dell’AfD Alexander Gauland ha promesso di voler 'andare a caccia' di Merkel e degli altri partiti.
Tuttavia, l’AfD è tutt’altro che un partito compatto per cui vari commentatori prevedono delle forti controversie interne e perfino delle scissioni. Queste ultime sono già iniziate: a livello regionale, nel Land Meckleburgo-Pomerania occidentale, quattro deputati del Parlamento regionale hanno fondato un proprio gruppo lasciando quello dell’AfD e, il giorno successivo alle elezioni federali, Frauke Petry, membro del direttivo del partito, ha annunciato a sorpresa di tutti la sua uscita dal costituendo gruppo parlamentare dell’AfD nel Bundestag (assieme a suo marito, anche lui eletto neo-deputato per l’AfD).
Quale governo federale uscirà dalle elezioni?
Il devastante risultato elettorale per i socialdemocratici ha portato Martin Schulz a dichiarare la sera stessa delle elezioni di escludere la continuazione della 'Grande Coalizione' preferendo ad essa una ricostituzione del partito nell’opposizione e non lasciando il posto del partito di opposizione più grande all’AfD.
Tale scelta riduce le possibili opzioni di coalizione per Angela Merkel alla sola combinazione CDU/CSU, Verdi e liberali, combinazione conosciuta in Germania come coalizione 'Giamaica' e sperimentata finora solo ad Amburgo e, con successo, nel Baden-Württemberg (dove governa un ministro-presidente dei Verdi, Werner Kretschmann).
Un accordo non sarà facile, sia per le differenze fra Verdi e liberali su vari temi (sono entrambi, ad esempio, favorevoli a rafforzare le politiche sulla tutela del clima nonché a favore dell’integrazione europea, ma si distinguono nelle posizioni sul ruolo dell’intervento pubblico nell’economia) sia per il partner bavarese di Angela Merkel che ha incassato una sonora sconfitta a soltanto un anno dalle prossime elezioni regionali facendo vacillare il presidente del partito e Ministro-presidente della Baviera, Seehofer, e rendendo probabile una svolta a destra del partito bavarese per riconquistare voti persi all’AfD, che tuttavia lo allontanerebbe dai potenziali alleati nella coalizione Giamaica.
È dunque probabile che le trattative saranno lunghi e difficili, a differenza del passato, quando spesso era bastato un solo mese per arrivare ad un accordo; già per l’ultima 'Grande Coalizione' erano stati necessari tre mesi. Considerando che le trattative vere e proprie non inizieranno prima delle elezioni regionali anticipate nella Bassa Sassonia ci vorrà probabilmente molto tempo per la formazione di un governo e questo è un’altra novità per il sistema politico tedesco.
Quali conseguenze per l’Europa?
Trovandosi più debole politicamente e più condizionata dai partner di una futura coalizione, Angela Merkel sarà costretta a difendere la posizione dominante in Europa occupata dal 2009: il presidente francese Macron, solo due giorni dopo le elezioni ha presentato un suo disegno per il futuro dell’integrazione europea (e che potrebbe contrastare, sul piano interno e per motivi diversi, sia con le idee dei liberali sia con quelle del partner bavarese), il premier ungherese Viktor Orbán contesta apertamente la sua politica sui profughi (e la loro distribuzione su tutti gli Stati dell’UE) e la Commissione europea cerca di riguadagnare la guida intellettuale del processo di integrazione.
Nonostante in Germania prevalga ancora un clima complessivamente favorevole all’integrazione europea, la crisi economica-finanziaria ha reso evidente la sua posizione dominante in Europa, sia sotto il profilo economico sia sotto quello politico.
Come conseguenza delle elezioni federali, una 'normalizzazione' privilegiando gli interessi nazionali nei rapporti sia con l’Europa che con gli altri Stati potrebbe essere una forte tentazione per la Germania.
Tale orientamento starebbe in contrasto con il passato, quando l’integrazione europea era allo stesso tempo necessità e legittimazione della Germania democratica. Il prossimo futuro dimostrerà dunque se il nuovo governo tedesco, nonostante il maggiore pluralismo fra i partner di coalizione, avrà la forza e il coraggio per iniziative significative a livello europeo oppure si limiterà a tutelare gli interessi tedeschi come espressione della tendenza generale che vede una Germania sempre più 'normale'.