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Dall'Ue nuovi obblighi per le imprese sul rispetto dei diritti umani e dell'ambiente con sanzioni per chi non le rispetta

L’impresa dovrà anche effettuare una verifica dei fornitori e dei partner commerciali, compresi quelli ubicati al di fuori dell’Unione Europea, e garantire attraverso specifici strumenti contrattuali che questi siano rispettosi della strategia. È indubbio che la bozza di direttiva debba essere accolta positivamente come un importante passo verso la diffusione di un modello di impresa sostenibile; tuttavia, è opportuno chiedersi quali saranno i costi legati all’adozione di questo modello soprattutto per l’impresa e per il consumatore
DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 28 maggio 2021

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

Sondra Faccio è assegnista di ricerca presso la Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento

 

 

L’11 febbraio 2021 il Parlamento Europeo ha formulato una proposta di direttiva in materia di «Corporate due diligence and corporate liability». La proposta ha l’obiettivo di stabilire un quadro normativo uniforme che assicuri il rispetto dei diritti umani, dell’ambiente e del buon governo da parte di tutte le imprese operanti sul mercato dell’Unione Europea e misure di mitigazione in caso di impatti negativi. In concreto, la bozza di direttiva prevede che gli Stati membri adottino norme volte ad introdurre alcuni obblighi di due diligence a carico delle imprese; le quali dovranno attuare processi interni di verifica, capaci di individuare gli impatti negativi (attuali e potenziali) prodotti dall’attività di impresa sui diritti umani, l’ambiente e il buon governo, e implementare apposite strategie aziendali per farvi fronte.

 

La proposta formulata dal Parlamento Europeo si ispira alle linee guida del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite in materia di “business e diritti umani” del 2011; ma a differenza di queste ultime, che sono adottate su base volontaria, è volta ad imporre degli obblighi vincolanti e specifiche sanzioni a carico delle imprese, e misure di mitigazione a favore delle vittime. Ad opinione di chi scrive, tre sono gli aspetti di maggior interesse della proposta.

Primo aspetto. L’impresa dovrà fare in modo che le sue attività, lungo tutta la catena del valore (value chain), siano in linea con la strategia di due diligence. Ciò significa che l’impresa dovrà effettuare una verifica dei fornitori e dei partner commerciali, compresi quelli ubicati al di fuori dell’Unione Europea, e garantire attraverso specifici strumenti contrattuali che questi siano rispettosi della strategia.

 

A tal proposito, la proposta di direttiva menziona l’adozione da parte delle aziende di accordi quadro, clausole contrattuali, codici di condotta e certificati. È evidente che questo potrebbe comportare un cambiamento nel processo di selezione dei fornitori e dei partner, conducendo a “scartare” coloro che non siano in grado di allinearsi con la strategia d’impresa in materia di diritti umani e ambiente. Indirettamente, questo potrebbe spingere verso l’adozione generalizzata di buone prassi da parte di tutte le imprese (anche straniere) che vogliano far affari con partner commerciali collocati nell’Unione, e influenzare anche le politiche normative degli Stati stranieri. Questo risponde in parte agli obiettivi dichiarati della nuova Commissione che, attraverso la sua politica commerciale, si è fatta promotrice nel mondo dei valori dell’Unione, tra i quali lo sviluppo sostenibile, i diritti umani, l‘equo commercio e la lotta alla corruzione.

 

Secondo aspetto. La proposta di direttiva prevede che siano coinvolti gli stakeholders - cioè i soggetti portatori di uno specifico interesse, per esempio i sindacati e i rappresentanti della società civile - nell’elaborazione dalla strategia di due diligence dell’impresa e dei meccanismi di reclamo e mitigazione. Questo aspetto è particolarmente interessante in quanto tiene conto del fatto che lo sviluppo sostenibile è un obiettivo “globale”, che non può essere raggiunto individualmente dal singolo soggetto, ma che richiede uno sforzo collettivo e una sinergia tra tutti gli operatori collocati sul territorio (impresa, ente territoriale, società civile, cittadini in genere).

 

Terzo aspetto. La proposta di direttiva prevede che gli Stati stabiliscano adeguate sanzioni a carico delle imprese inadempienti, in particolare multe e/o l’esclusione dalla partecipazione a bandi pubblici nell’Unione. Inoltre, laddove l’impresa cagioni un danno irreparabile, gli Stati potranno prevedere la temporanea sospensione delle attività e, in caso di impresa straniera (extra-UE), il bando dal mercato dell’Unione Europea. Sono previsti, infine, meccanismi di rimedio che prevedono il coinvolgimento degli stakeholders. L’efficacia in concreto dell’impianto sanzionatorio e rimediale, e della direttiva più in generale, dipenderà in ogni caso dalla capacità di ciascuno Stato di tradurre le linee guida stabilite a livello europeo in una serie di prescrizioni sufficientemente precise e attuabili da parte delle imprese.

 

È indubbio che la bozza di direttiva, che pare diverrà presto un atto vincolante dell’Unione, debba essere accolta positivamente come un importante passo verso la diffusione di un modello di impresa sostenibile; tuttavia, è opportuno chiedersi quali saranno i costi legati all’adozione di questo modello soprattutto per l’impresa e per il consumatore. Gli obblighi previsti, infatti, sembrano imporre alle imprese una vera e propria riorganizzazione interna. Ciò significa un investimento di risorse economiche ed umane e anche un “appesantimento” dei processi (per esempio, la verifica dei fornitori e dei partner, la modifica dei contratti, l’ascolto degli stakeholders…). Le nuove tecnologie potrebbero rivelarsi molto importati ai fini della riorganizzazione d’impresa, per esempio la tecnologia blockchain potrebbe facilitare la gestione della filiera produttiva e distributiva del bene e il controllo rispetto agli adempimenti di due diligence in ciascun passaggio.

 

Tuttavia, l’impiego di queste tecnologie richiede un impegno significativo di risorse, che non tutte le imprese sono in grado di investire senza che ciò abbia un impatto sui prezzi finali dei beni e dei servizi offerti ai consumatori. A tal proposito, la proposta di direttiva prevede, da un lato, che in sede di attuazione gli Stati possano escludere le “micro imprese” dall’ambito di applicazione degli obblighi di due diligence; e dall’altro lato, che le piccole e medie imprese siano sostenute finanziariamente dall’Unione nello sforzo di allinearsi ai nuovi obblighi.

 

Inoltre, ciascuno Stato potrà declinare il quadro generale dettato dalla direttiva secondo le esigenze del proprio territorio nazionale, prevedendo strumenti aggiuntivi a sostengo delle piccole e medie imprese laddove necessario. Per esempio, uno Stato potrebbe decidere di destinare parte dei fondi derivanti dal Next Generation Europe per aiutare gli operatori più deboli a transitare verso modelli di impresa sostenibile. L’auspicio è che questa transizione verso la sostenibilità si realizzi in modo equo e con un impegno concreto dello Stato e delle istituzioni europee; perché, come detto, lo sviluppo sostenibile è un obiettivo “globale” e necessario che richiede uno sforzo collettivo, i cui costi non possono essere posti a carico delle sole (piccole-medie) imprese e dei consumatori.

 

 

*Il contributo è stato scritto nel contesto del progetto “Il Trentino dopo l’emergenza. Come promuovere una nuova economia sostenibile attraverso l'attrazione e la regolazione degli investimenti diretti esteri”, finanziato da Fondazione Caritro e dalla Scuola di Studi Internazionali dell’Università degli Studi di Trento.

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