Dai No-Vax al programma Co-Vax che mira a vaccinare anche i paesi a basso reddito ma che viaggia molto a rilento


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Di Stefano Schiavo, professore di politica economica dell’Università di Trento, Direttore della Scuola di Studi Internazionali
Mentre nel nostro paese assistiamo a sfilate No-Vax e qualche sedicente intellettuale si premura di spiegare come indossare la mascherina e vaccinarsi rappresentino attentati alla libertà individuale, in Africa poco più del 10% della popolazione ha ottenuto una dose di vaccino.
Per far fronte al problema dell'accesso ai vaccini, nel 2020 le Nazioni Unite hanno lanciato il programma Co-Vax, una collaborazione internazionale che mira ad accelerare la disponibilità di test diagnostici, terapie e vaccini contro il virus SARS-CoV-2 nei paesi a basso reddito.
L'Unione Europea ed altri paesi avanzati si sono impegnati a fornire ai paesi più poveri circa 2 miliardi di dosi di vaccino, ma al momento le effettive consegne sono molto al di sotto di quanto promesso. A metà ottobre, Gina Gopinath, la capo economista del Fondo Monetario Internazionale, ha segnalato come Stati Uniti e Unione Europea abbiano consegnato solo il 10-12% delle dosi promesse.
Questo non è solo un problema etico o ideale, ma ha risvolti pratici molto attuali. Contribuire a vaccinare la popolazione mondiale, e non solo i cittadini dei propri paesi, non è infatti una questione di buon cuore, ma serve a ridurre drasticamente la circolazione del virus e la possibilità che emergano nuove varianti, come Delta e Omicron, che ci costringono ad alzare la soglia di attenzione e correre ai ripari.
Se vogliamo usare un paragone con cui tutti abbiamo dimestichezza, la pandemia è come una perdita d'acqua. Finora abbiamo tamponato con secchi e stracci, ma se non chiudiamo il rubinetto generale e non individuiamo l'origine del guasto, l'acqua non cesserà di scorrere. Solo quando avremo vaccinato tutta la popolazione mondiale il virus smetterà di diffondersi, mutare e mettere a rischio le nostre vite. E' necessario fare di più per raggiungere questo obiettivo, in Italia e in tutto il mondo.