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Brexit, Regno Unito e Europa mostrano i muscoli: sul tavolo anche le questioni Irlanda e Gibilterra

Il recesso del Regno Unito creerà un precedente che influenzerà eventuali casi futuri di richiesta di uscita dall’Ue. L’Unione ha quindi un fortissimo interesse a dare un’immagine di compattezza e solidità. Tensioni potrebbero verificarsi tra Irlanda del Nord - Irlanda e Gibilterra - Spagna
DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 09 maggio 2017

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

Il 29 aprile il Consiglio europeo ha approvato le linee-guida per le negoziazioni del recesso del Regno Unito dall’Unione europea, esattamente un mese dopo la notifica da parte del governo britannico dell’avvio della procedura, secondo quanto previsto dall’art. 50 del Trattato di Lisbona. Poche settimane prima, il 5 aprile, il Parlamento europeo aveva a sua volta votato una Risoluzione, i cui contenuti sono sostanzialmente in linea con quanto successivamente stabilito dal Consiglio europeo, sottolineando che qualsiasi accordo con il Regno Unito richiede il suo consenso, consenso che sarà condizionato ad un suo pieno coinvolgimento nelle trattative.

 

Si tratta di un evento epocale, il primo caso di recesso dalla Comunità/Unione europea negli oltre sessanta anni della sua storia. Per lungo tempo il processo è stato unidirezionale, con una lunga sequenza di Stati europei che bussavano alle porte della Comunità/Unione per chiedere di farvi parte. Così, dai 6 Stati membri fondatori si è passato oggi a 28, con una lista di attesa non piccola (7 Stati, anche se per alcuni di essi, come la Turchia, le prospettive di completamento del negoziato sono assai lontane). Già durante la campagna elettorale britannica per il referendum era apparso chiaro che un’eventuale negoziazione sarebbe stata estremamente difficile, sia per la complessità dei nodi da sciogliere, che per la grande lontananza delle posizioni politiche delle parti.

 

Non va inoltre dimenticato che per l’Unione europea la gestione della Brexit è una questione di vitale importanza, perché creerà un precedente che influenzerà eventuali casi futuri di richiesta di recesso dall’Unione europea, evenienza che è stata ventilata da alcune parti politiche in più di uno Stato membro. L’Unione ha quindi un fortissimo interesse a dare un’immagine di compattezza e solidità. Perciò, le linee-guida del Consiglio europeo (approvate all’unanimità e in modo assai rapido) fissano nettamente dei paletti inderogabili: l’Unione dovrà agire in maniera unitaria, negoziando complessivamente tutti i temi, senza aprire trattative separate per singoli aspetti; dovrà essere garantita l’integrità del mercato interno, evitando una partecipazione selettiva del Regno Unito ad alcuni settori (soprattutto quello finanziario); la Corte di giustizia dovrà avere competenza giurisdizionale sull’accordo di recesso dall’UE e sul successivo accordo di cooperazione. Inoltre, secondo il Consiglio europeo un accordo futuro che regoli i rapporti fra Unione e Regno Unito potrà essere concluso solo dopo la chiusura dell’accordo di uscita dall’UE, anche se i negoziati potranno già iniziare una volta definiti i principali aspetti del primo trattato.

 

Fra i temi considerati prioritari nel negoziato, il principale riguarda la situazione dei cittadini UE che vivono nel Regno Unito e, reciprocamente, dei cittadini britannici che vivono negli Stati dell’UE. In questo la posizione dell’UE è allineata con quella britannica, dato che il governo May si è esplicitamente impegnato a tutelare i diritti dei cittadini UE. Tuttavia, il diavolo sta nei dettagli, e non è detto che vi sia univocità di posizioni su quali siano i diritti che devono essere garantiti (libera circolazione, residenza, ricongiungimento familiare, diritto di voto, ecc.). Altri temi considerati strategici riguardano il regime delle imprese, la partecipazione agli accordi internazionali già conclusi, la cooperazione giudiziaria, la sicurezza, la lotta al terrorismo e la criminalità internazionale, la difesa e la politica estera.

 

Il quadro temporale per la conclusione di un accordo è piuttosto stretto, vista la complessità e conflittualità dei temi: il termine di due anni scadrà il 29 marzo 2019, dopo di che, qualora non venga negoziata una proroga, l’uscita avverrà in modo automatico e non regolamentato, con conseguenti incertezze e controversie. Sul fronte britannico, le reazioni di Londra alle posizioni europee sono state negative, evidenziando un atteggiamento ostile dell’UE verso il Regno Unito. Per parte sua, il governo inglese punta a ricompattare la propria nazione e consolidarne la posizione nel contesto internazionale, serrando le fila in vista dell’avvio dei negoziati. Il 18 aprile il Primo Ministro May ha annunciato che l’8 giugno verranno indette nuove elezioni per il Parlamento di Westminster. In tal modo il governo conservatore (che ritiene di poter vincere agevolmente le elezioni, anche grazie alla grande debolezza del partito laburista) mira ad avere il pieno controllo durante i negoziati con l’Unione, avendo un mandato elettorale forte da parte degli elettori, ed evitando un passaggio elettorale delicato nel corso di questo periodo.

 

Peraltro, il Regno Unito dovrà far fronte a una molteplicità di sfide, non solo sul fronte europeo, ma anche interno. La Brexit ha aperto un vero e proprio vaso di Pandora, che rischia di mettere a repentaglio l’unità del Paese: il Parlamento scozzese ha votato a favore di un nuovo referendum per la secessione dalla Gran Bretagna per potere continuare a rimanere nell’Unione europea (la Scozia aveva infatti votato a favore della permanenza nell’UE nel referendum del 23 giugno 2016). Una prospettiva ancora più incerta e potenzialmente pericolosa riguarda l’Irlanda del Nord, dove l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 ha garantito una fragile pace fra Irlanda e Irlanda del Nord, che rischia di venire destabilizzato dall’uscita del Regno Unito. Infine, resta aperta la questione di Gibilterra, su cui si profilano forti tensioni fra Regno Unito e Spagna.

 

Il braccio di ferro fra Unione europea e Regno Unito è appena iniziato, ed è naturale che entrambe le parti mostrino i muscoli nell’intento di intimidire l’avversario. Tuttavia, è bene tenere a mente che un eventuale fallimento dei negoziati avrebbe costi elevati e pesanti ripercussioni per tutti, e che è quindi nell’interesse comune trovare delle soluzioni condivise. I prossimi mesi diranno se, dopo le prime schermaglie, sarà possibile individuare un percorso di collaborazione. Inoltre, come ha sottolineato il Parlamento europeo nella Risoluzione di aprile, il negoziato con il Regno Unito rappresenta un passaggio cruciale per l’Unione non solo per stabilire un assetto futuro equilibrato con il Regno Unito, ma anche per riflettere sul proprio futuro e per rendere il progetto europeo più democratico ed efficace.

 

(di Luisa Antoniolli)

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