Accordi e disaccordi internazionali: passi in avanti verso la riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio?


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
di Andrea Fracasso, docente di politica economica e Direttore della Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento
Stati Uniti, Cina e Unione Europea continuano a confrontarsi, scontrarsi e a collaborare tra loro e con altri paesi in materia di commercio e business internazionale. E lo fanno attraverso una sempre più complessa rete di accordi (e disaccordi) bilaterali. Questo approccio al commercio globale dimostra chiaramente lo stato di crisi del multilateralismo del dopo guerra e introduce un approccio basato, come cercherò di mostrare con qualche esempio in quanto segue, su numerose negoziazioni parallele, ciascuna concentrata su pochi elementi controversi tra pochi paesi interessati. Emerge quindi il ricorso ad una sorta di multilateralismo flessibile, secondo alcuni.
Questo approccio flessibile sembra più efficace delle lunghe negoziazioni multilaterali in cui tutto viene discusso e approvato congiuntamente e in cui tutti i Paesi devono esprimersi favorevolmente sull’intero pacchetto. Più efficace perché limitato a pochi interessi facilmente rappresentati da pochi attori (seppur foriero di risultati anche contraddittori nel complesso). Più efficace perché caldeggiato dal peso massimo internazionale in materia di commercio, gli Stati Uniti, capace di far valere la grandezza del proprio mercato interno e capace di applicare con estrema disinvoltura restrizioni e concessioni commerciali, come si fa con bastone e carota, verso i partner.
Si è già discusso in passato su questo blog (qui, qui e qui) il ricorso degli Stati Uniti a misure restrittive verso la Cina e verso l’Ue. Nel tempo, l’uso di questi strumenti è andato ampliandosi, toccando più Paesi e più settori. È continuato anche il blocco da parte dell’Amministrazione americana dell’elezione dei nuovi membri della Corte di Appello dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc): l’impossibilità di ricorrere a giudici riconosciuti per dirimere in appello le controversie tra Stati membri ha sminuito l’importanza dell’intero meccanismo multilaterale, a favore di meno trasparenti negoziazioni e di prove di forza tra le autorità nazionali interessate.
Il commercio è divenuto così via via più “managed”, controllato e gestito politicamente. Un processo che rende il commercio sempre meno conveniente per i consumatori e anche più incerto perché dominato da motivazioni non economiche che possono variare rapidamente, anche a seconda del risultato del sondaggio politico o dell’elezione di turno. Un esempio di questo è il recente accordo tra Stati Uniti e Cina (la cosiddetta fase uno dell’accordo) che non risolve i temi più scottanti sul piatto (tra cui gli aiuti pubblici alle imprese cinesi, la protezione della tecnologia estera, la reciprocità nell’allargamento dell’accesso al mercato domestico), ma che suggella la disponibilità della Cina a orientare per via amministrativa i propri acquisti di prodotti agricoli, e non solo, verso gli Stati Uniti (link). L’importanza dell’incertezza politica non va sottostimata. Gli studi condotti dagli economisti Baker, Bloom, Davis e Sammon mostrano come l’incertezza politica relativa al commercio internazionale sia cresciuta enormemente negli ultimi anni: a partire dal 2017 ben il 40% degli articoli sul Wall Street Journal che commentano l’andamento erratico dei titoli azionari individuano come causa l’incertezza politica relativa al commercio internazionale, contro una media del 3% registrata nei dieci anni precedenti (link).
L’Ue ha finora dichiarato una sostanziale fedeltà al sistema multilaterale, utilizzando negoziazioni bilaterali soltanto nella misura in cui ciò è consentito dalle regole dell’Omc, per esempio stringendo accordi profondi e comprensivi di liberalizzazione con Giappone, Canada e Corea. Nel tentativo di tenere in vita il meccanismo per la risoluzione delle controversie commerciali tra Stati dell'Omc dopo lo stallo causato dagli Stati Uniti, l'Ue ha concluso di recente un accordo con altri grandi Paesi (tra cui la Cina, ma ovviamente non gli Stati Uniti) al fine di costituire un meccanismo parallelo, basato sulla forma di arbitrato prevista dall’Omc, capace di salvare il cuore del sistema (link). La presenza di questo meccanismo consentirebbe all’Omc di continuare nei fatti a svolgere alcune delle sue funzioni fino a quando i membri non si accorderanno su una revisione delle norme approvata anche dagli Stati Uniti. Il fatto stesso di aver reso meno efficace l’ostruzionismo americano dovrebbe, in teoria, facilitare la ripresa della discussione per la riforma dell’Omc; una riforma che ormai tutti i paesi e non solo gli Stati Uniti, va detto, trovano necessaria.
È infatti importante ricordare come Ue e Stati Uniti, pur avendo interessi divergenti su alcuni punti specifici e sui metodi da adottare per affrontare le controversie internazionali, siano invece d’accordo nel criticare il comportamento della Cina e l’inadeguatezza degli strumenti oggi a disposizione per affrontarlo. Il 14 gennaio 2020, ad esempio, Stati Uniti, Ue e Giappone hanno raggiunto un’intesa per rafforzare le regole internazionali dell’Omc contro i sussidi statali che interferiscono con il mercato e con il commercio (link). Negli anni 90, quando l’Omc è stata creata, ci si era concentrati prevalentemente sui sussidi finanziari dati direttamente alle imprese, capaci di alterare la competitività delle imprese nel commercio internazionale e notificati dai Paesi stessi all’Omc.
Queste disposizioni appaiono ora inadeguate a fronte della crescita dell’economia della Cina, le cui imprese sono ancora fortemente condizionate dalle autorità politiche e sostenute in modi molto diversi (e raramente notificati) che vanno oltre la concessione di sussidi diretti (per esempio con accesso facilitato al credito, all’energia o ad altri input nella produzione). Stati Uniti, Ue e Giappone concordano inoltre sulla necessità di adattare le misure esistenti nell’Omc per evitare i trasferimenti forzati di tecnologia dalle imprese estere che realizzano investimenti diretti esteri. Si sta quindi assistendo allo sviluppo di una serie di accordi e di contrasti che, oltre a riguardare questioni specifiche di interesse nazionale per pochi Paesi, rientrano anche nel complesso insieme di mosse negoziali volte a riformare l’Omc. Dall’esito di tutte queste mosse, complesse e in parte contraddittorie se prese singolarmente, dipenderà il giudizio storico sull’Amministrazione Trump in tema di economia globale.
L’Amministrazione ha deciso fin dal principio di far saltare il banco dell’Omc e di far valere il peso relativo degli Stati Uniti, utilizzando sia strumenti leciti in modo opportunista (come il ricorso a questioni di sicurezza nazionale per imporre dazi arbitrari su certi prodotti importati), sia strumenti controversi nel diritto internazionale (come le sanzioni unilaterali con effetti extraterritoriali), sia negoziazioni bilaterali volte a ottenere un commercio “managed”, come illustrato in precedenza. Questo approccio strategico ha creato molta incertezza, ha imposto costose revisioni nei piani aziendali delle imprese internazionalizzate, ha bloccato l’Omc e ha intensificato lo scontro degli Stati Uniti con la Cina e l’Ue. Se, alla fine, tutto questo fosse utile a realizzare la necessaria revisione del funzionamento dell’Omc e a favorire un maggior rispetto delle norme da parte dei paesi emergenti, il giudizio sul controverso piano americano potrebbe non essere interamente negativo. Se questo approccio si rivelasse invece solo un metodo per alterare gravemente il commercio globale al fine di favorire specifici interessi americani, magari legati politicamente all’Amministrazione in carica, non solo il giudizio della storia sarebbe meno clemente, ma vi sarebbe persino il rischio di aver smontato un meccanismo che ha accompagnato la crescita dell’economia globale per (legittimi, ma miopi) interessi elettorali.
Nonostante questi temi non appassionino come le vicende della famiglia reale inglese, è di cruciale importanza che le forze produttive del Paese e dell’Ue siano consapevoli di quanto sta accadendo. È in questi tornanti della storia, infatti, che si decidono le regole del gioco, pesando gli interessi, gli argomenti e le competenze che le autorità riescono a metter in campo. L’attivismo di molte categorie nel fare pressioni per prevenire l’applicazione di pesanti dazi americani sui prodotti agroalimentari italiani dimostra un’apprezzabile attenzione. Ma non basta. Serve uno sguardo più ampio, almeno sullo scenario di medio termine.