La caserma, “Una cosa devi fare: obbedire". A quei ragazzi mi piacerebbe dire: pensate


Presidente del Forum Trentino per la pace e i diritti umani
Mercoledì 27 gennaio (in concomitanza con le commemorazioni della giornata della memoria), in prima serata su Rai2 è andato in onda il nuovo docu-reality “La Caserma” in cui un gruppo di ragazze e ragazzi tra i 18 e i 23 anni dovrà vivere per quattro settimane secondo regole militari in una caserma in Trentino (in realtà, grazie alla preziosa collaborazione della Trentino Film Commission, una residenza religiosa adattata a caserma nelle colline attorno a Levico Terme).
Incuriosito e intimorito da un format basato sulla bellezza dell’educazione al rigore militare ho voluto guardare la trasmissione per rendermi conto di cosa si trattasse. Purtroppo i miei timori si sono rivelati fondati. In prima serata, il servizio pubblico manda in onda un programma che prevede una narrazione basata sugli stereotipi, evidentemente ben fondati in Italia, in cui tra punizioni e rimproveri, viene presentata in chiave moderna (le reclute sono influencer) la preziosa carica educativa dell’esperienza militare nella formazione della persona. Gli addestratori militari in più occasioni riprendono i ragazzi dicendo loro che ne faranno “persone nuove” grazie al rigore militare.
Il Format è chiaro, inizialmente quasi tutti i ragazzi sono poco inclini alla disciplina e al rispetto delle regole militari ma, un po' alla volta, a suon di flessioni e di sveglie all’alba a cantare l’inno di Mameli (imparato a memoria a forza in piena notte) vengono messi in riga. Mi ha colpito molto ad un certo punto la frase di una delle ragazze presenti che, rispondendo ad altre due che si lamentavano dell’eccesso di rigore, ha detto loro: "Una cosa devi fare: obbedire". In questa frase c'è tutta la retorica e la voglia di far passare la famosa educazione al rigore e alla disciplina che solo il servizio militare (secondo lo stereotipo ritrito militarista) può dare. Ecco quindi che le reclute, ormai sanno che si devono presentare come tali, capiscono lentamente che devono piegarsi e obbedire.
E’ evidente che questo format è stato proposto con l’intento “promozionale” di riavvicinare i giovani al mondo della divisa e dare un nuovo fascino alla ricerca della disciplina militare; “La caserma” forse strizza un po' l’occhio anche alle richieste militari e politiche (anche trentine) di ripristinare la leva militare cercando quindi di affascinare i più giovani il fascino eterno della divisa e della disciplina.
E fin qui ci sarebbe anche poco da obbiettare se non ci si dimenticasse che la preparazione alle guerre passa attraverso il reclutamento e attraverso la formazione alla vita e alla cultura militare. Cultura militare che vede come unico possibile superamento dei conflitti quello attraverso la creazione di eserciti armati pronti alla guerra. Ma la guerra e la sua preparazione non possono essere un intrattenimento né tanto meno avere una finalità educativa attraverso questa tipologia di programma; la realtà della guerra è morte, sofferenza e ingiustizia.
Mi piacerebbe raccontare a quei giovani che c’è stato chi in passato in Italia (e in molte parti del Mondo tuttora) ha detto NO alla cieca obbedienza militare rifiutandosi di obbedire alla preparazione della guerra, cosa che ritenevano immorale e contraria alla stessa Costituzione Italiana (art.11: l’Italia ripudia la guerra). Giovani che hanno fatto obiezione di coscienza e per questo sono stati anche incarcerati. Anche grazie a questi giovani oggi l’obiezione di coscienza è un diritto e servire militarmente la Patria non è più un obbligo.
La volontà del mondo militare di presentarsi in modo moderno non può farci dimenticare che la preparazione della guerra non è finzione. Disciplina e rigore non sono necessariamente dei brutti concetti da imparare ma non lo sono neanche obiezione, disarmo, dialogo e risoluzione nonviolenta dei conflitti. E’ giusto sapere che potremmo avere a disposizione anche altre strade per evitare la barbarie della guerra.
A quei ragazzi mi piacerebbe dire un’ultima cosa: una cosa dobbiamo quindi fare: pensare.