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Il trilinguismo iniziava a funzionare e ora è bloccato, mentre in Italia tutti guardano con interesse alla sperimentazione trentina

Questo è il vuoto – formativo, scientifico e politico – in cui sta per iniziare il nuovo anno scolastico: ognuno faccia quel che vuole, e lo faccia con ciò che ha a disposizione. Con il rischio che, senza una direzione comune, prevalgano l’indulgenza e l’approssimazione. Sta dunque ai singoli docenti e dirigenti mantenere alto il livello di responsabilità verso un progetto educativo interrotto sul più bello
DAL BLOG
Di Il Lanternino - 05 settembre 2019

di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore

Manca poco all’inizio dell’anno scolastico trentino e qualche giorno fa, mentre mi accingevo a rientrare in servizio dopo un periodo fuori dalla scuola, mi domandavo: che fine avrà fatto il Clil? Avevo assistito alla sua demolizione propagandistica, durante la campagna elettorale leghista di un anno fa, dalla specola di un anno sabbatico in cui il mondo della scuola non era precisamente in cima ai miei pensieri.

 

Il fatto è che nel 2013/2014 avevo fatto parte del primo, sparuto gruppo di docenti della scuola trentina coinvolti in un corso di perfezionamento sulla metodologia Clil organizzato dall’Università di Trento, e negli anni successivi ero poi stato fra i pochi in organico a svolgere moduli Clil in classe. Ma adesso? Mi sarebbe ancora servita quella formazione?

 

La prima conferma mi è giunta dalla mia dirigente: il Clil si fa ancora, quindi il gran lavoro che avevo speso a preparare lezioni di storia in inglese o in tedesco non è da buttare. Bene. Del resto non è soltanto una questione personale: negli anni della giunta Rossi le risorse utilizzate per formare docenti che facessero lezione in Clil, in gran parte provenienti da fondi europei, sono state ingenti: soggiorni all’estero, corsi di varia entità, personale a contratto assunto ad hoc e una mole di lavoro non indifferente per i burocrati di piazza Dante.

 

Il problema è che a quel cimento istituzionale non corrispondevano una reale disponibilità di risorse umane e un dialogo fecondo con la comunità scientifica. Vale a dire: troppo pochi insegnanti, fra quelli non deputati alle lingue straniere, conoscevano (e conoscono) almeno una lingua straniera a un livello sufficiente per formarsi in Clil; e nella fretta lo si è implementato male, cioè partendo dagli ultimi anni delle superiori, mentre un Clil sensato, stando agli studi sull’argomento, è un percorso che parte dalla prima età scolare.

 

Da quel mio primo corso sono stati fatti vari passi, il Clil si è iniziato a utilizzare anche alle scuole elementari e medie, ma il problema delle risorse deboli è rimasto, e non solo: il malumore diffuso all’interno delle scuole, che procedeva da un certo conservatorismo del corpo insegnante, cresceva anziché diminuire, propagandosi anche tra discenti e genitori.

 

A ragione, in parte, poiché il Clil continuava a non essere fatto a regola d’arte, per così dire, e veniva ancora troppo spesso confuso con la vecchia lezione veicolare in lingua straniera – mentre il Clil è una metodologia che prevede una riduzione al minimo della lezione frontale, un gran lavoro preparatorio prima di entrare in classe e la netta prevalenza, durante la lezione, dell’attività degli studenti sull’intervento del docente, che diventa poco più di un regista.

 

Il percorso di implementazione è tuttavia proseguito, e i buoni risultati iniziavano finalmente ad arrivare. Peccato che siano arrivate anche le elezioni provinciali, e con esse un partito populista pronto a cavalcare quei malumori e a trarne poi le conseguenze in fase di governo.

 

Ho chiesto un ragguaglio in proposito a Federica Ricci Garotti, professoressa all’Università di Trento e coordinatrice dei corsi di perfezionamento Clil per gli insegnanti trentini. “La nuova giunta ha per ora espresso esplicitamente la volontà di azzerare il Piano Trentino Trilingue - spiega la docente - ma non si è mai espressa su una eventuale sostituzione dello stesso con altri progetti”. Praticamente il Clil prosegue, ma “su base volontaria delle scuole”.

 

E intanto il dialogo con l’università si è interrotto, proprio mentre a sud di Borghetto iniziavano considerare un modello la sperimentazione trentina: “Girando per l’Italia - aggiunge Ricci Garotti - tutti guardano con interesse al progetto trilingue, che purtroppo è destituito. Per carità, il progetto era migliorabile e io non ho mai nascosto le mie perplessità sul metodo, ma Rossi mi ha sempre ascoltata, me ed altri esperti con interesse. Dopo di lui, il nulla".

 

Questo è il vuoto – formativo, scientifico e politico – in cui sta per iniziare il nuovo anno scolastico: ognuno faccia quel che vuole, e lo faccia con ciò che ha a disposizione. Con il rischio che, senza una direzione comune, prevalgano l’indulgenza e l’approssimazione. Sta dunque ai singoli docenti e dirigenti mantenere alto il livello di responsabilità verso un progetto educativo interrotto sul più bello.

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