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Il 25 aprile trentino dedicato a Gino Lubich, partigiano. Negli anni bui del nazifascismo progettava la nuova Italia democratica

Dirigente del PCI, giornalista, arrestato l'8 luglio 1944 e torturato dai nazisti presso la sede della Gestapo di Bolzano. Una figura che per troppo tempo è stata "schiacciata" dalla parentela e dal rapporto molto stretto con la sorella Chiara, la fondatrice del Movimento dei focolari
DAL BLOG
Di Giuseppe Ferrandi - 25 aprile 2017

Vive da sempre in Trentino, si occupa professionalmente di storia, pratica sport di resistenza ed è appassionato (ancora) di politica...

Questo 25 aprile trentino è stato dedicato a Gino Lubich (1918-1993). Partigiano, dirigente del Partito comunista, giornalista, arrestato l'8 luglio 1944 e torturato dai nazisti presso la sede della Gestapo di Bolzano. Una figura che per troppo tempo è stata "schiacciata" dalla parentela e dal rapporto molto stretto con la sorella Chiara, la fondatrice del Movimento dei focolari.

 

Per conoscere la sua vicenda complessiva (non solo la vicenda resistenziale e la sua attività nel PCI clandestino) l'editrice Il Margine ha appena stampato un bel libro a firma di Giacomo Massarotto e Piero Lazzarin.

 

Un libro ricco di documentazione e di testimonianze, che mette in luce il profilo del Lubich giornalista: negli anni di militanza comunista con il periodo "Il Proletario", nel primo dopoguerra assumendo (insieme a Giuseppe Ferrandi e a Flaminio Piccoli) la direzione di "Liberazione nazionale".  Poi "L'Unità" dove si è occupato di politica estera. Nel periodo successivo, e per lungo tempo, con gli importanti ruoli di responsabilità nella direzione del "Messaggero di Sant'Antonio".

 

Gino Lubich proviene da una famiglia di origini slovene. Il padre, anch'egli di nome Luigi, era un socialista. Lavorava come tipografo insieme a Cesare Battisti. Furono sicuramente gli ideali di giustizia sociale e di libertà respirati in famiglia che lo conducono, in un percorso parallelo a quello di Chiara, a stare dalla parte degli ultimi. 

 

"Quello che voi state facendo qui, noi vogliamo farlo in tutto il mondo". Con queste parole Gino si rivolse alle giovani donne che avevano fondato la piccola comunità insieme a Chiara. L'azione di solidarietà e di vicinanza con chi maggiormente soffriva la povertà e la durezza di quegli anni veniva da Lubich proiettata in una dimensione più politica, di riscatto sociale ed economico.

 

Al di là del ruolo avuto da Lubich tra il 1943 e il 1944, dove egli rappresentata il Partito Comunista in seno al CLN e mantiene uno stretto rapporto con Giannantonio Manci, è evidente che il suo profilo politico e umano riesce ad arricchire il significato della Resistenza, la sua capacità di ispirare e di trasmettere valori.

 

Nello specifico caso di Gino Lubich la Resistenza va interpretata nella sua dimensione politica. La dimensione politica è più forte di quella, fondamentale, dell'azione militare. Lubich scrive, diffonde le idee, incontra persone e costruisce relazioni. Progetta negli anni bui del nazifascismo quello che dovrà essere l'Italia democratica.

 

Ma vi è anche una dimensione solidale della sua azione. Non è solo la passione di aspirante medico (Lubich studente di medicina lavora al Santa Chiara insieme al dott. Mario Pasi) che lo muove nel prestare le proprie cure ai partigiani feriti o a coloro che cercavano rifugio e la strada per espatriare e fuggire al nazifascismo. Vi è anche un'idea di umanità, una profonda visione etica.

 

Rileggere figure come quella di Gino Lubich è un buon antidoto e una confortante lettura. Specie quando sembra che la giornata della Liberazione invece che unire le forze democratiche e antifasciste divenga occasione per polemizzare e dividere

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