'Una musica può fare' ma a Trento suonare per strada è roba da burocrati e gli spazi 'vincolati' sono tutti fuorimano


Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Il fatto. Lo chiameremmo volentieri misfatto ma conoscendo la suscettibilità di chi governa la città la prendiamo larga. Due giorni fa, in piazza Duomo, sotto il Nettuno, nel primo pomeriggio. Un sole che scalda in eccesso e che un poco, vista la stagione, inquieta. Un musicista di strada: merita applausi. Che arrivano, convinti, da chi sta seduto sugli scalini della fontana e da chi passa ma vista la bontà della proposta si ferma. Chitarrista con folta chioma, codino e simpatia. La mano corre veloce e sicura sul palissandro della chitarra: finger picking (che non è roba per principianti), un po’ di latinità, accenni pop, eccetera. Ci si diverte, mica poco: il musico ci sa fare.
Gode chi ascolta e gode lui. L’intrigante concertino però dura poco più di niente. Sbucano i vigili urbani. Tutti col maglioncino: è caldo anche per loro. Nessuna aria minacciosa. Per il musicista di strada, per il suo pubblico che ci aveva preso gusto, è probabile un “foglio di via”. Nel senso che non è quella la via, non è quella la piazza, dove a Trento si può praticare senza previo permesso quell’arte di strada che amministratori ed amministratrici della città esaltano spesso con parole che alla prova dei fatti (e dei misfatti) si dimostrano biforcute. Insomma, vietato improvvisare. L’episodio di cui si è stati testimoni con una forte voglia di polemica tenuta a bada da un impegno improrogabile ha risvegliato la pulce assopita di un orecchio. E anche dell’altro.
Una breve ricerca sul sito del Comune di una Trento che vanta la sua accoglienza ad ogni piè sospinto rinverdisce alcune contraddizioni di cui si era a conoscenza ma che si speravano superate dalla sbandierata tiritera della “città turistica”, accogliente, disponibile, eccetera. Sul sito, alla voce “esercizio dell’arte e dello spettacolo su strada” l’unica arte che emerge con preoccupante chiarezza è l’arte di ignorare le dinamiche “universali” di un fenomeno. Ignorarle per immolarle ad una burocrazia legittima ma piuttosto macchinosa. Ci sono i luoghi dove si può suonare in libertà, senza comunicazione con richiesta di autorizzazione. E ci sono luoghi da prenotare con tre giorni di anticipo. Sono quelli più centrali, più appetibili tanto a chi suona quanto a chi ascolta.
Scorrere ad esempio i luoghi che il Comune ha “deputato” (da anni, pare) alla libera espressione della creatività sonora e canora provoca una certa ilarità. La città ha un magnifico “cuore” che pulsa di movimento in una mappa ristretta: va da piazza Duomo, via Belenzani al “Giro al Sas”. E poco altro. Ebbene, questo “centro del centro”, magnifico palcoscenico potenziale per chi ha da mostrare arte e campa di monete “a cappello” è contemplato ma di sicuro non è di facile utilizzo per chi arriva a Trento da fuori (anche dall’estero). Comunicare l’esibizione con largo anticipo per loro è difficile se non impossibile. Le aree vincolate, (dedicate le chiamano quelli che indorano con un pessimo senso dell’umorismo ogni pillola amara) sono invece un vero spettacolo. È uno spettacolo logistico che meriterebbe fischi tanto sonori che al confronto i loggionisti della Scala sono silenti.
Ma sì – regolamenta il Comune – suonate in pace. Suonate nei posti più improbi, sotto cartelli che indicano una libertà artistica beffarda. Si suoni allora in via Petrarca, nei pressi dell’autosilo, che così può essere che dalle auto vi strombazzino i complimenti. E si suoni in via Dogana, laddove è noto che si concentri una folla attenta più a non perdere l’autobus dei tanti che fanno fermata. E si suoni liberamente in via Pozzo, al cavalca ferrovia di San Lorenzo, notoriamente un posto strategico. E non si facciano i capricci perché sennò nella mappa entrerà proprio il cavalca ferrovia, con i treni sottostanti a far da contrappunto di stridore a chi strimpella o canta. Mica è finita: la mappa è ampia. C’è anche la decentrata via Grazioli – ci passa il mondo, ma non si ferma nemmeno pagandolo – che è comunque meglio del concertare mentre le auto ti passano da una parte all’altra del Lavaman del Sindaco. Finita? Macchè. Per gli eroi del presente artistico musicale è contemplato anche il Ponte dei Cavalleggeri: quando si dice “centro”.
È sicuro che a questo punto i suscettibili amministratori di una cultura piuttosto vaga si risentiranno. Faranno presente, stizziti, che si può far musica anche nella quasi centrale via Rosmini vicino ad un distributore di benzina ed in altri luoghi geograficamente non lontani dal cuore della città. Non lontani, è vero, ma del tutto inadeguati. C’è poi da far attenzione al “permesso”. Chi vuole esibirsi si doti di stradario, Google Map e pazienza a chili. Il permesso va chiesto tre giorni prima al Comando dei Vigili urbani che a Trento non è propriamente facile da raggiugere: sta in via Maccani. L’arte di strada, è noto a tutti meno a chi dovrebbe annotarselo, è spesso appannaggio di musicisti per i quali Trento è una suggestiva tappa di chissà quali itinerari. Spesso sono pure stranieri, che si fermano un giorno e poi ripartono. È proprio questo il bello dell’arte di strada che frequentemente regala l’incontro con il talento. A volte talento vero, sorprendente.
Ebbene, questo incontro di culture casuali, non programmabili, nomadi ma ricche, andrebbe facilitato, reso più libero possibile. La programmazione di un’esibizione possono forse permettersela gli autoctoni (che rispetto a via Maccani si perdono anche loro). Ma i “foresti”? Provate a dire ad un irlandese che “sviolina” alla grande una giga o una reel nelle strade del centro con obbligo di comunicazione di prenotarsi il posto con anticipo di tre giorni. Gli ci vorrebbero un segretario o un manager. Se dovesse fare un uso improprio dell’archetto ci sarebbe da capirlo. Così come se maledisse in celtico.
Ma va così. E non va bene. Si dirà, ci diranno i permalosi che anche altrove ci sono regole. E ci mancherebbe. Allora vediamole ‘ste norme. In quella Bologna che Trento addita a mito per il coraggio dei 30 all’ora nessuno si è sognato di complicare la vita ai musicisti in Via Indipendenza o piazza XX Settembre. Piazza Maggiore, poi, è stata ribattezzata “Bologna città della musica e dell’arte di strada”. Siamo nel centro che più centro non si può della città emiliana. Certo, anche a Bologna si chiedono i permessi ma li rilasciano negli uffici che stanno a tiro di piazza Maggiore. Non a chilometri di distanza.
Lì siamo in una situazione di arte permanente, cultura tangibile e di pubblico sempre più crescente. Perché mai non si può fare addirittura meglio di Bologna assicurando permessi in giornata da fornire, magari, a palazzo Thun per suonare in piazza Duomo, in via Oriola, in via Oss Mazzurana o via Manci? Boh. Forse saprà spiegarlo in uno dei suoi video- resoconti ispirati la giovane assessora chiamata a promuovere la vitalità urbana. Nell’attesa abbiamo vanamente provato a cercare il musicista sfrattato – (con le buone ma la sostanza non cambia) - da piazza Duomo.
Niente da fare. Partito. Chissà se lo si ritroverà in qualche metropolitana di qualche capitale estera. Magari a New York, dove quando ha cantato a sorpresa Ed Sheeran nessuno gli ha chiesto il permesso. Vabbè, consoliamoci con i concertini da plateatico: i bar, i locali. Consolazione? Magari, il tema è un altro calvario: di tasse, gabelle, autorizzazioni, perizie, lungaggini e maledizioni. Un pacchetto che sta annullando la voglia anche ai più volonterosi. Ma questa è un’altra brutta storia: non si può liquidare in poche righe. Quindi, alla prossima.