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Pd e M5S festeggiano la vittoria in Sardegna, ma il Campo Largo che cos'è? Tra divisioni, democratici e CamaleConte per sfidare Meloni serve molto di più

DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 29 febbraio 2024

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

L’entusiasmo – anche quello orgasmico, appena un attimo esagerato – è più che comprensibile. “Ajo… che botta”: mezzo dialetto e mezzo italiano. Dall’isola al continente: l’inimmaginabile. Ci sta la gioia, ci mancherebbe. In Sardegna la destra vince ai numeri ma incassa una beffa velenosa. Un candidato partorito dalle liti tra Fratelli italici e tardo-celoduristi – beghe per nulla sotto traccia - pare non abbia attirato manco il consenso dei parenti stretti. Gode dunque una sinistra che è ancora tutta da dimostrare. Gode una mini coalizione che per adesso è solida solo a colazione. Un’alleanza ha incollato (con lo sputo? Si vedrà) un Pd che può cambiare il saluto (da Hello in Elly) e gli indefinibili Cinque Stelle. I Cinque Stelle del CamaleConte.

 

Ha smentito i pronostici questa “cosa”. La vulgata politica l’ha battezzata Campo Largo: comprende anche la sedicente sinistra-sinistra e i verdi. Tuttavia il Campo Largo è ben lungi dall’essere un apparentamento nazionale. Né una nazionale di energie e talenti che sappia rimotivare la cosiddetta “società civile” progressista. Può essere però – mai cedere al pessimismo – che un universo stanco si risvegli e che cresca un’alternativa concreta alla destra. Se sarà non basterà nascondere sotto un tappeto delle labili convenienze tonnellate di differenze, visioni, strategie, invidie, miserie e quant’altro fa oggi di Pd e Cinque Stelle il contrario delle convergenze parallele coniate dal povero Aldo Moro.

 

Se qualcosa sarà, bisognerà cambiare metodo, linguaggio, interlocutori, ambiti di lavoro. Il progressismo merita di più delle respingenti, irritanti, lezioncine democratiche nei talk show. Se saranno rose oppure crisantemi da posare sulla tomba delle illusioni progressiste lo sapremo domani. O dopodomani. Oggi si festeggia. E’ una festa di legittima che con poco senso della misura qualcuno ha definito di liberazione. O meglio, un primo ed esaltate passo verso la liberazione dall’incubo di un futuro segnato dall’arroganza ridanciana dei Donzelli, dalla vuota solennità dei Foti e della sicumera di un esercito di parentele di scarso profilo catapultate nel governo meloniano. Ma un conto è festeggiare ed un altro conto è vagheggiare, termine troppo simile e troppo confondibile con vaneggiare.

 

Nella sbornia delle dichiarazioni è capitato di sentire un Cinque Stelle di punta paragonare il trionfo sardo della coalizione pro Todde ad un trionfo in Champions League. Urge una correzione, almeno una correzione calcistica. Può capitare che il Cagliari batta l’Inter ma una sorpresa, un gol rifilato a chi in Sardegna si è scoperto eroe degli autogol, non fa campionato. Il simpatico Cagliari di Ranieri annaspa a fondo classifica. Insomma è meglio andarci piano, anche con i sogni. Citando il pallone – anche a titolo di esempio – è bene evitare di andare nel pallone. Portare a casa un successo inaspettato è un colpaccio di indubbia soddisfazione. Questa volta il Maalox che i leghisti consigliavano a sinistri sinistrati se lo dovranno prendere Salvini e Meloni. Forse calerà di un grammo le arie e l’ironia da peggior Bagaglino.

 

Se si vuole immaginare una vittoria parziale, parzialissima, come una svolta è obbligatorio tenere non due ma quattro piedi saldamente in terra. Allo stato il Campo Largo è un mezzo: uno strumento, un espediente, per liberarsi dall’angoscia sondaggistica. Serve a sgambettare una destra che prima della Sardegna credeva di poter maramaldeggiare da qui all’eternità. Ma ci vuole un bel coraggio – almeno per ora - per ipotizzare il Campo Largo come un fine. Allo stato il Pd è una babele di posizioni e posizionamenti che non solo dietro le quinte se ne dicono di ogni. La seraficità sorridente di una segretaria che oggi è solo un poco più solida di ieri non garantisce dagli spifferi. I soffioni non permettono di distinguere tra contenuti e malmostosità.

 

I Cinque Stelle del CamaleConte poi. Al nord sono un ricordo (anzi, alzi la mano chi se li ricorda). Un disincanto più che motivato dal zigzagare continuo tra destra e sinistra degli orfani di Grillo li ha trasformati rapidamente in inconsistenza. I partiti di destra e di sinistra, forse più i primi che i secondi, si sono accaparrati parte dei loro voti. Una parte, perché il grosso del boom di consensi ha ingrossato l’esercito dei chissenefrega (di tutto). Quell’esercito che era predominante prima che i Cinque Stelle fornissero una insperata rappresentanza istituzionale al “vaffa” del comico. Al centro dello stivale i fans del CamaleConte non sono certo in crescita. Al sud reggono senza più fare bingo: numeri da sorriso a denti più che stretti. Si dirà, ci diranno, che le alleanze non sono un fatto matematico. Ci diranno che uno più uno può – nelle urne – fare quattro.

 

Ne prendiamo atto (ma lo sapevamo anche prima) ma è proprio qui che casca l’asino. Se Pd e Cinque Stelle si affidassero alla sola matematica sarebbero dolori. E i “contenuti”? Grigio tendente al buio. Ci sono ancora troppi argomenti che distano tra loro sideralmente. Che si scontrano. E il CamaleConte è tale perché è impossibile inchiodarlo a qualcosa di chiaro, di comprensibile, di prospettico, di vincolante. A quello, cioè, che renderebbe visibile, magari credibile ed attraente un’alleanza che possa finalmente calare assi e non scartini nella partita elettorale per l’Italia. Un’alleanza che possa compiere il miracolo di riattivare i delusi e forse intrigare chi si invaghisce, inesorabilmente, di chi la spara più grossa. Nessuno vuol rovinare la festa a nessuno. Si chiede solo – sì, senza umiltà - che si vada di corsa oltre la festa per imboccare un percorso verso la chiarezza.

 

Ecco, la chiarezza tra Pd, Cinque Stelle: oggi è una scalata al Bianco con le scarpe da ginnastica. Se non ci sarà presto chiarezza di programmi, intenti e coerenza Pd, Cinque Stelle and friends la Meloni che in Sardegna ha perso di brutto una mano potrà calare carte per fare Scopa, Primiera e Settebello. Se tuttavia il Pd della pasionaria che ancora stenta ad appassionare (anche dentro il Pd) avesse la forza di inchiodare il CamaleConte, se lo obbligasse a non smentire domani quello che dice oggi, beh forse vacillerebbe tra gli elettori una disillusione che rischia di diventare cronica. Perché ciò accada bisogna che il Pd la smetta di cincischiare e allo sfuggente alleato imponga di non essere più ondivago e furbetto su quasi tutti i temi. Chi potrebbe gasarsi all’idea di disarcionare la destra ha diritto a non doversi districare nell’ambiguità.

 

Il CamaleConte non può continuare a svicolare dal futuro prossimo, festeggiando il Sardegna ma tenendosi le mani libere altrove. Certo, un conto (anzi un Conte) è dire e un altro è fare. Ma tra il dire e il fare – magari di sbieco se lo ricordi la Schlein – c’è un mondo che per Meloni ha sì un innamoramento forte ma che è potenzialmente in bilico vista la fluidità del voto e soprattutto del “non voto”. Se l’alternativa dovesse essere il giochetto già visto e patito delle sommatorie il risultato dirà sempre destra. Una destra lche per evitare di manganellarsi al suo interno, dove il cagnesco è quotidianità sotto banco, manganella all’esterno. Con durezza, ipocrisia e pericolosa stupidità. Ben venga allora il Campo Largo ma solo se sarà un campo di semina. C’è da far crescere (o ricrescere) la fiducia nel progressismo. Se come fertilizzante si useranno ancora una volta le alchimie politiche altro che fiori e frutti. Verrà su solo erbaccia.

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