Il Pd dà battaglia (con Sara Ferrari firmataria) per aggiungere ''Deputate'' alla ''Camera dei Deputati'': come offrire un destro a una destra sempre più forte


Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
E’ la sua prima legislatura romana. Prima aveva messo radici nel consiglio provinciale (e regionale) trentino: “se 14 anni vi sembran pochi”… Neofita a Montecitorio con un curriculum politico più lungo di quei “rotoloni” che almeno in pubblicità “non finiscono mai”. Per i debuttanti il catino capitolino, lo sparlatoio, è però un luogo infido. Facile, anzi facilissimo smarrirsi nell’anonimato: scarsamente edificante ma lautamente ricompensato. E’ un amen.
Se tuttavia hai l’occhio attento alla logistica, può essere che “Chi l’ha visto?” non avvii (per cercarti) una delle sue inchieste non sempre richieste.
Se ti piazzi nel posto a tiro di telecamera, quella che inquadra la segretaria di un partito sempre più senza spartito – nella fattispecie l’Elly ridente (anche per niente) – beh un pizzico di notorietà video/fotografica la porti comunque a casa. Ma è poco. Anzi è quasi nulla rispetto alle legittime ambizioni di ripagare i tuoi elettori con iniziative minimamente degne di nota, capaci di guadagnarti una luce (nella cronaca) che non sia riflessa. Che fai allora? Che t’inventi? Roba grossa, roba grassa. Butti lì una proposta che per diventare realtà (legislativa) richiede una modifica costituzionale con annessa doppia lettura e doppio voto (Camera e Senato). Tempi lunghi dunque. Tempi probabilmente eterni per giungere quasi sicuramente al nulla. Un percorso tra distinguo (se va bene) e ludibrio (già iniziato e di sicuro sviluppo).
Andiamo dunque alla proposta con la P maiuscola: cambiare nome alla Camera dei Deputati. Chiamarla cioè “Camera delle Deputate e dei Deputati”. Perché mai? Perché bisogna stare al passo con i tempi della parità di genere. Bisogna farlo nonostante un quotidiano sempre più degenere quanto a diritti solennemente dichiarati ma biecamente s/praticati. Ma davvero? Davvero la promessa di un’opposizione decisa a fare a fette chi governa può ridursi ad una barzelletta? Ad una barzelletta che non farebbe ridere nemmeno se la raccontasse quell’irraggiungibile maestro del “genere” (occhio, parliamo del genere comico) che fu Gino Bramieri? “Camera delle Deputate e dei Deputati” (prima le donne, of course): così si zittiscono i trogloditi che negano (senza mai dirlo, però) l’uguaglianza tra i sessi. Così si santifica – anche formalmente - il progresso femminile.
Sembrerebbe vedere lungo l’onorevole Sara Ferrari che insieme ad un collega del Pd perora una rivoluzione linguistica. A dire dei due firmatari il cambio di nome di Montecitorio sarebbe una scelta di contemporaneità dentro un contesto nato quando le donne rincorrevano anziché, così come quasi sempre accade oggi, devono essere rincorse per la loro consapevolezza e qualità. Sembrerebbe vedere lungo Sara Ferrari. Eppure qui pare ipovedente: non vede quel che anche da disillusi ci aspetta dall’opposizione. L’opposizione cioè alla Presidente (maschile per scelta e per una convinzione un po’ pubblicitaria) del Consiglio. L’opposizione ai suoi sodali inadeguati e imparentati: quelli che quando fanno i pappagalli storpiano malamente ogni contenuto originale. L’opposizione al cabaret pericoloso del Capitano verde che essendo al verde di voti ne spara ogni giorno una più di Bertoldo.
Dall’opposizione del Pd non ci si può certo aspettare un Vietnam perché il partito è talmente imbolsito (e stralunato) che se dovesse seminare mine sul percorso fin qui senza ostacoli della Meloni ci pesterebbe goffamente sopra. Ma un conto è non aspettarsi fuochi d’artificio capaci di riaccendere almeno la curiosità dormiente di chi non disdegnerebbe un’alternativa. Un altro conto, disarmante conto, è dover subire “palate di insipido”. Ecco, l’insipido è il termine che forse c’azzecca quando si approccia la proposta del cambio di nome nella Camera. C’è l’idea con l’idea che la linguistica possa miracolosamente farsi sostanza, diventare “esempio” e in definitiva cambiare davvero le cose, dando finalmente a Cesara (il femminile forzato di Cesare) quel che le si deve da secoli.
Semmai la proposta rivoluzionaria di Ferrari dovesse tagliare il traguardo (si risenta il Ron di “Vorrei incontrarti tra cent’anni..'') Montecitorio avrà cambiato il nome ma difficilmente cambierà andazzo. L’andazzo che inquieta, irrita e alza la nausea non è la “disparità di genere” - (provate a definirla così in una riunione con persone che la politica non la fanno e che, purtroppo, sempre in di meno votano, e vedete l’effetto che fa) - ma la drammatica disparità qualitativa. Una disparità dove troppo spesso l’incultura ed il trionfo del vuoto accomunano tanto i maschi quanto le femmine. E viceversa. Si astenga ora, per pietà, chi a difesa della prode Ferrari sta già armando la doppietta. Si fermi un attimo prima di liquidarci con la sbrigativa accusa di qualunquismo o, peggio, di mercenario al soldo del nemico.
Chi scrive insiste a considerarsi parte di una sinistra che tuttavia vorrebbe meno sinistra/ta, meno concentrata sul proprio ombelico delle battaglie idealmente nobili ma materialmente incomprensibili. Dirompenti sì, ma per masochismo. È puro masochismo, la strategia del nichilismo, offrire il destro ad una destra oggi così forte da non averne alcun bisogno. È masochismo (che se inconsapevole è anche peggio) regalare alla destra la possibilità di ridacchiarti in faccia al motto “Eccole le priorità del Pd, cambiare il nome alla Camera mentre l’Italia ha altri problemi”. Ovvio che sui problemi veri il Pd, l’opposizione, ha da dire. Ma basta un niente - anche il niente di una proposta che visti gli ultimi anni della Ferrari promette delusioni e un certo assuefatto disinteresse – per trasformarsi in eroi della “non puntualità” dei temi, dei tempi e dei modi dell’opposizione. In un concetto antico ma sempre utile: “essere sul pezzo”. Quello che il Pd, purtroppo, non pare.
Quanto all’iniziativa della Ferrari e del collega Girelli (che a tanto Pd che non si espone non è parsa una genialata) ci sarebbe molto altro da dire. Ne diciamo, però, ancora solo una. Metti che l’idea, (la legge) passi. Metti che nella prossima legislatura la Camera sia di Deputate e Deputati con la Ferrari proiettata nella storia. Metti che in quella Camera ci siano ancora tante donne (le Sorelle d’Italia ma non solo loro) che sono inguaribilmente maschili in una cultura che nemmeno lontanamente rifiutano. E metti che ci siano uomini, di tutti i partiti, che non hanno alcuna intenzione di cedere il passo ad un’effettiva parità, spostandosi almeno di lato per far passare i diritti, anche i più banali. Beh, nella Camera delle Deputate e dei Deputati non sarà cambiato granché. Ah sì, il nome. Che suonerà di beffa.