Il candidato sindaco per Trento, faccia il ''Salvini al contrario'': apra ai racconti del bello dei ''delatori del buono'' (e spieghi come si può fare meglio)


Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
E adesso? Adesso, ancor più di prima, umiltà. Certo, un po’ di festa è legittima. Perfino sacrosanta. Ma se festa s’ha da fare sarà bene che sia una “festa del lavoro”. Quello che c’è da fare: tanto, tantissimo. Checché ne dica la Lucia che Salvini ha s/candidato nella terra valoriale dei Tonino Guerra e dei Guccini, l’Emilia Romagna non confina con il Trentino. È giusto entusiasmarsi per come e per “quanto” gli emiliano-romagnoli hanno saputo ricordare alla Bestia un vecchio proverbio: “Can che abbaia non morde”. Ma guai gasarsi. Di cani che abbaiano e poi mordono, purtroppo, ce ne sono.
Guai crogiolarsi dunque più di un minuto nel godere di un Salvini trasfigurato, pur tuttavia ancora borioso. Si è trasfigurato il suo ghigno da infallibile. Si brindi, dunque. Ma forse è meglio brindare con l’acqua o col succo. Per non rischiare la perdita di lucidità. Sarebbe fatale. La partita di Trento non è quella di Bologna. Seppure non manchino le similitudini con tutti i dovuti distinguo: di storia, storie e culture. In Emilia Romagna, così come a Trento e in Trentino, si sta “meglio” che altrove. Ma da noi lo “star bene” è considerato un dato acquisito. Lo “star bene” è considerato normalità. Ovvietà. Quando si sta meglio degli altri - nel portafoglio e nella dotazione di servizi - non ci si chiede “Come mai?”. E qui sta il punto, anzi il guaio. Star bene è una fortuna oppure è una conquista? Ovvio che la risposta giusta è la seconda. Ma una conquista va riconosciuta, difesa, consolidata, migliorata.
Il benessere di Trento e del Trentino non è il prodotto automatico dell’Autonomia: se così fosse la Sicilia sarebbe la California. Al benessere concorre la “buona mentalità”: base del buon governo della cosa pubblica. La buona mentalità è la responsabilità personale e collettiva, E’ anche la capacità di cogliere il meglio di quel che fanno altri – senza chiusure campanilistiche - per adattarlo alla propria realtà. La buona mentalità è il “Noi”. Non è mai l’Io. Il noi del volontariato. Il noi di una socialità intesa come bene comune. Il noi di una solidarietà che deriva dalla memoria di passato di sofferenza e migrazioni. Il “noi” delle competenze che non devono cedere il passo ai tuttologi del nulla. Purtroppo è proprio questa “buona mentalità” che s’è andata affievolendo negli anni più recenti.
La “buona mentalità” ha lasciato spazio ad un brontolio indistinto e interclassista. Gli spacciatori di frottole e paure lo hanno semplicemente saputo amplificare. Lo hanno fatto diventare una disarmonica ma efficace sinfonia del “sentito dire”. E del “dir male”. L’amplificazione e la drammatizzazione del brontolio deforma. Trasforma. Dipinge di soli colori cupi la realtà. Stravolge la verità. Diventa però “senso comune”: negativo, egoistico, respingente. Diventa pericoloso virus. Obnubilante.
Semplificazione dopo semplificazione Trento ha cambiato la sua narrazione: da città invidiabile e invidiata la si è raccontata come città “in balia”.
Città in balia dell’insicurezza. In balia dei potentati. In balia di un “peggio” che non ha alcuna sostanza se non il passaparola dell’approssimazione e della superficialità. Chi “sta bene” trova più utile pretendere che darsi una mossa. In un ufficio tergiversano? Ecco, non c’è niente che funziona. Ti asportano la spazzatura con un’ora di ritardo? Ecco, diventiamo come Napoli. Un disperato venuto dall’Africa gira per città senza saper che fare perché quando anche volesse fare qualcosa – (studiare, lavorare) - gli viene impedito da Fugatti & C? Eccola l’invasione. Un altro straniero prega rivolto alla Mecca? Ecco che non c’è più religione (la nostra e solo la nostra).
Trento si appresta a votare. In maggio. La campagna elettorale? Può essere il solito “promettificio”, o giù di lì. Sarà anche un urticante “urlificio”. Un Bestiario. Ma se invece la campagna elettorale di un ritrovato centrosinistra-autonomista diventasse il modo per far riemergere la “buona mentalità” sopita? Se gli esempi si facessero contare più dei programmi ben scritti e di sicuro anche ben spiegati? Se a Salvini e ai salvinisti togliessimo oltre al megafono dell’ego anche il citofono? Sì, proprio il citofono: la pistola che il Capitano si è puntato alla testa schiacciando un campanello come fosse un grilletto.
L’aspirante sindaco del centrosinistra eccetera, potrebbe fare il “Salvini al contrario”. In ogni quartiere potrebbe farsi orientare dai “delatori del buono”. In quel condominio ci abita un insegnante che si fa un mazzo tanto per educare i ragazzi al rispetto e alla convivenza? Squillo e invito: signora, si racconti a tutti. In quella casa c’è un signore che dopo otto ore di lavoro ne fa un sacco di altre da volontario tra i disabili? Squillo e invito: signore, si racconti a tutti. E lì accanto una badante di colore porta assistenza e affetto ad un anziano? Squillo e invito: si racconti a tutti.
Oppure un appartamento dove uno studente crede ancora nello studio anche se non può credere in un futuro di lavoro? Squillo e invito: raccontaci. Gli esempi, la vita, la vita vera. Il sociale invece che i social. La buona mentalità è fatta di buoni esempi che facciano venire qualche dubbio ai brontoloni. Scommettiamo che “citofonando” si raccoglieranno più idee che improperi? Scommettiamo che il buonsenso prevarrà sulla rabbia? Esempio dopo esempio chi vuole fare il sindaco progressista di una città che non regredisce potrebbe ridare protagonismo e orgoglio a quella “buona mentalità”. Che è carburante del buon governo.
Se poi, nel dialogo - con o senza citofono - si fosse anche capaci di abolire i “ni” per rivalutare l’onestà dei sì ma anche quella dei “no”, beh la campagna elettorale sarebbe finalmente uno strumento di crescita: culturale e sociale. È ora di una città che torni a dialogare in modo Franco, (Ianeselli si chiama così, mica è colpa nostra). Una città che si confronti su quello che funziona e su ciò che occorre cambiare. Lasciando all’angolo tutti i pasdaran delle ideologie. È l’ora della concretezza ma è anche l’ora delle prospettive. Anche dei sogni, perché no? Una città deve sapere dove vuole andare. Ma deve sapere soprattutto con chi vuole andarci. L’occasione è ghiotta.