Impacciato con le donne ma con una Pallina in più: grazie a lei non mi resta che dire ''Miao''


Ribelle quanto basta amo gli animali e in particolare i gatti. Inseguo sempre i miei sogni come quello di scrivere e da sempre racconto storie spesso e volentieri di mici e micie.
Partiamo da questo presupposto, io con le donne non ci so proprio fare. Ahimé sono arrivato a questa conclusione dopo delusioni cocenti, passioni non corrisposte e una serie ininterrotta di cose dette al momento sbagliato, nel modo sbagliato e il più delle volte alla persona sbagliata. Mi innamoro pazzamente e sempre di chi non sa nemmeno che esisto. Sembra una maledizione. Rammento ancora la prima volta dei miei vent'anni, bei tempi. Ho avuto una passionaccia per Fernanda bionda, adorabile, inimitabile cassiera del supermercato.
Pur di poterti vedere fingevo di aver sempre bisogno di qualcosa. Una volta la frutta, una la verdura, il latte, il formaggio. Ho speso tanti di quei soldi, che avrebbero potuto darmi una compartecipazione agli utili. Finché, quel fatidico giorno in cui avevo deciso, molto coraggiosamente, di palesare il mio amore , mi scoppiò all’improvviso un terribile attacco di varicella (tardivo alquanto). Tutta la gente del quartiere, informata dal mio piccolo e pestifero fratello, ben presto ne venne a conoscenza, e divenni lo zimbello di tutti. Quando finalmente le terribili pustole se ne andarono e pieno di amore e di speranza scesi le scale a rompicollo per correre da lei scoprii con raccapriccio che era stata sostituita da un essere piccolo, peloso e scostante che mi guardava torvo.
Smisi di fare la spesa. E poi fu la volta di Valentina, dolce, tenera bruna fata che ha turbato i miei sogni per lungo tempo. Quando veniva a prendere lezioni di tedesco da papà aspettavo ansiosamente e il mio cuore quasi si fermava al suono del campanello. Quel maledetto giorno avevo deciso di lanciarmi con qualcosa come un ciao o buongiorno oppure non so: la mia vita sei tu; una cosa simile. Quando mai. Valentina si presentò accompagnata da un armadio a quattro ante, con un torace che travalicava di gran lunga le mie misure, una chioma lussureggiante che si confrontava ahimé con la mia prematura dolorosa chierica, occhi color del cielo d’Irlanda contrapposti ai miei grigio topo, coperti da lenti spesse e spaventose visto che sono allergico a qualsiasi tipo di lente a contatto. Ovvio. Uno sfacelo. Abbandonai lo studio del tedesco.
Papà non capì mai perché. Poi arrivò Franca. Ammiravo in silenzio la sua chioma riccia e selvaggia che tormentava con le dita, china su uno spaventoso tomo di diritto pubblico. Gli occhiali sulla punta del naso lentigginoso la rendevano a dir poco irresistibile. Quando, in biblioteca, azzardai un timido tentativo di accerchiamento lo sguardo di lei non aveva nulla di poetico e mi bloccò all’istante. Odio il diritto pubblico. E pensare che il mio animo è tenero, ed il mio cuore trabocca di passione. Ed ora sono qui, e per la prima volta devo rendere conto a me stesso della mia vita. “Hai quasi trentasei anni ed è ora e tempo che abiti da solo che abbia una vita tua". Mia madre praticamente mi ha lasciato le valigie sulle scale. Chi vuole un tipo cicciottello, goffo, con gli occhiali, al quale è stato imposto in un momento di lucida follia il nome di Ridge? Nessuna.
Pallina, la mia piccola gattina, che mi guarda con i suoi dolci occhi verdi, traboccanti di quell'amore che cerco invano, si struscia sinuosa sui miei jeans e io intanto sogno. Non costa nulla no? Francesca l'ho conosciuta in maniera poco romantica in verità, tamponandola in maniera clamorosa con la mia scassatissima Panda mentre si era fermata per far passare sulle strisce una signora anziana. (Che animo gentile) Mentre ci scambiavamo i dati per l’assicurazione, io la guardavo inebetito dalla sua bellezza, riuscendo a stento a pronunciare qualche monosillabo. La tenera curva della sua guancia, le lunghe ciglia che ombreggiavano gli occhi nocciola, i lunghi capelli color dell’oro antico. Una dea. La coca cola è ormai calda, la pizza surgelata è fredda, la mia giornata sta per concludersi e l’unica cosa che mi viene in mente è il suicidio.
Suona il telefono. Sarà la mamma. Sto svenendo. È lei. Francesca. Sarà qui a momenti. Visto che passava di qua vuole concludere le pratiche dell’assicurazione. Non posso crederci. Non credo che reggerò all’emozione. Suonano alla porta. “Ciao Ridge come stai?”. La sua voce è una musica irresistibile. I suoi occhi brillano come diamanti. È a me che sta parlando? Si. Incredibile. Si è seduta mollemente sul divano e mi guarda sorniona. Sorridendo. Pallina esce guardinga da sotto il divano e le si avvicina speranzosa, in cerca di coccole. Lo sguardo della mia bella si indurisce di colpo, guarda con aria schifata la mia gattina e sbotta furiosamente. “E questo mostriciattolo chi è? Pussa via..non sopporto gli animali, odio i gatti..vanno bene solo per le pellicce”.
Il suo sguardo è duro. Gli occhi gelidi. Pallina è scappata come un fulmine. La voce irosa è senz'altro simile a quella della persona che la maltrattava, prima che io la trovassi pesta e malridotta vicino al cassonetto della spazzatura dietro casa. Francesca è tornata sorridente. Mi guarda di nuovo sorniona. Chi è poi questa tizia? Chi la conosce? Pallina è la mia compagna di sventura, mi ama per quello che sono, senza riserve. Io questa stupida donna la butto fuori. E così ho fatto. Senza pentimenti. E mi sento un leone. Pagherò i danni alla macchina. Amen. Risuonano alla porta. Sarà il postino. È solo Cristina. Cristina è la mia vicina, se così si può dire, di gatto. Spesso Pantagruel, il suo rosso e grassissimo micio sconfina sul mio terrazzo oppure lei, molto distratta si dimentica le pappe e me le chiede in prestito.
“Ciao come stai?”. Santo paradiso. È diversa dal solito. I jeans sdruciti hanno lasciato il posto ad un morbido vestito di velluto cangiante. Accidenti chi se lo immaginava che fosse così sinuosa. Sembra Pallina. Gli occhiali sono spariti e gli occhi (non me ne ero mai accorto) grigio azzurri sono incredibili e le labbra appena appena coperte di rossetto color corallo sono piene ed eleganti. Che dico? È solo Cristina. È molto carina, però, davvero tanto. Pallina le è salita in grembo e si è accoccolata come una ciambella. “Ridge ti sei addormentato?” La voce di Cristina mi scuote dal mio torpore. La sua mano si posa timida sul mio braccio. Le lunghe ciglia sbattono sugli occhi luminosi. Le poche nozioni sullo studio delle relazioni non verbali mi saltano improvvisamente alla mente.
Quando le pupille di una donna si dilatano vuol dire che è attirata dall’uomo col quale parla se sbatte le ciglia ed arrossisce poi non ne parliamo. Non è possibile. La frequento da più di un anno da quando mi ha aiutato a soccorrere Pallina e non l’avevo mai considerata altro che una simpatica e scialba ragazzina. E adesso è qui che mi guarda ammaliata e ammaliatrice. Non posso crederci. Cristina appoggia con delicatezza Pallina sul divano e mi si avvicina lentamente, si alza sulla punta dei piedi e, per tutti i diavoli. Mi pizzico il braccio. Non cambia niente. Sono sempre io. Lei mi guarda dolcemente. E sai che ti dico? Che io la bacio. E ti dico di più. Le mani sudano, il cuore fa strane capriole. Non so. Una cosa sola so. Che la speranza è l’ultima a morire. Ed un'altra cosa. L’amore è cieco. Miao.