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Il Consorzio Vini elegge presidente Lutterotti e intanto i Vignaioli, ad Aldeno, scavano il solco stilando il loro Manifesto

Giornata cruciale per il mondo vitivinicolo trentino. Mentre il Consorzio elegge il nuovo presidente i vignaioli prendono le distanze ribadendo di voler marchiare le loro bottiglie solo con il simbolo della FIVI – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti – di privilegiare l’IGT Dolomiti e di vietare ai loro soci l’eventuale uso della neo DOC Venezia o l’altra nuova IGT Venezie

Di Nereo Pederzolli - 24 febbraio 2017 - 18:03

TRENTO. C’è fermento tra le botti del vino trentino, ma – parafrasando Mao Tse Tung – la situazione è davvero eccellente? Se i riscontri sono legati ai dati dell’imbottigliamento (77 milioni di bottiglie, un 7% in più del 2015) l’ottimismo dilaga. Diverso il tenore dei rapporti tra i produttori. Con nette contrapposizioni. Che oggi si sono ulteriormente acuite dalla contemporanea presa di posizione del Consorzio di Tutela Vini del Trentino e dal Consorzio Vignaioli del Trentino. Per ora, uno contro l’altro. Entrambi – è il caso di dire – ancorati alle rispettive barriques e dunque sulle barricate.

 

Così mentre il Consorzio Vini si riuniva a Palazzo Trautmanndorf per eleggere (finalmente) il nuovo presidente, ad Aldeno la compagine dei vignerons delle Dolomiti – una settantina d’iscritti - compilava il suo Manifesto. Editto senza se e senza ma. Contro proprio la politica del Consorzio Vini. Con il neo presidente Bruno Lutterotti – al comando pure di Cavit e della ‘sua sociale’, la Cantina Toblino – che subito dovrà tentare una (ostica) mediazione, tra le due anime enologiche del settore: le grosse cantine e la singolarità dei vignaioli agricoli, gli artigiani del vino dolomitico.

 

Andiamo per ordine. La mattinata inizia con la seduta elettiva per l’organismo più autorevole, appunto il Consorzio Vini. Convenevoli, ottimismo tra enomanager. Tredici le cantine nel nuovo CdA, due in più del solito. Ma nessun vignaiolo indipendente. New entry per Lavis e Mori, che affiancano Ala, Avio, Cavit, Mezzacorona, Nosio, Roverè della Luna nonché la sociale di Trento, quella di Riva del Garda, poi lo spumantista Revì, il colosso Ferrari e lo storico imprenditore Paolo Endrici della Endrizzi. Prosit!

 

La cooperazione e i rappresentanti dei ‘brand’tra i più conosciuti del bere trentino stappano subito le prime bottiglie di Trentodoc. Neppure il tempo per ammirare nei calici la leggerezza del perlagé che da Aldeno il sito www.vignaiolideltrentino.it lancia il suo Manifesto. Polemico, di rottura, proprio come il barricadero quotidiano nazionale. Parla di valori, di principi, di come coltivare non solo la vigna, ma rilanciare il concetto di sostenibilità. E farlo da artigiani di territorio, caparbi, identitari. Senza tanti compromessi, ma sempre e comunque – come si legge nel Manifesto in questione – ‘alla luce di alcuni recenti fatti di cronaca – e nello specifico il tentativo da parte del Consorzio di Tutela vini del Trentino di offrire un posto nel proprio CdA a un Vignaiolo in maniera non concertata ha deciso che tutti i soci del Consorzio Vignaioli del Trentino recedono da Soci del Consorzio di Tutela Vini del Trentino.’

 

Ribadiscono di voler marchiare le loro bottiglie solo con il simbolo della FIVI – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti – di privilegiare l’IGT Dolomiti e di vietare ai loro soci l’eventuale uso della neo DOC Venezia o l’altra nuova IGT Venezie. Immediate le prese di posizione. Il neo presidente del Consorzio di Tutela, Lutterotti, con il direttore Graziano Molon insistono però sulla necessità di creare una rete di dialogo tra le varie componenti. "Bisogna sedersi ad un tavolo ed cercare punti di convergenza. E confrontarsi, magari informalmente, in modo paritetico. E farlo quanto prima". Non solo. Secondo il presidente Lutterotti alcune cantine sociali potrebbero puntare ad aderire allo stesso Manifesto dei Vignaioli riguardo l’ecosostenibilità, le pratiche di campagna, la drastica riduzione delle rese per ettaro.

 

Lorenzo Cesconi, il tenace leader dei Vignaioli autoctoni, conferma quanto da tempo ribadisce. “Nessun intento polemico; si tratta di fatto di una scelta compiuta. Vogliamo partecipare alle decisioni strategiche sulla tutela, la valorizzazione e la promozione dei vini trentini, ma farlo in modo legittimato e rappresentativo, non occupando posti in organi nei quali non possiamo avere nessun peso e che da decenni assumono decisioni contrarie all’interesse della viticoltura di montagna, artigianale e di qualità. C’è l’idea che i piccoli, nonostante producano vini che danno valore al marchio territoriale, siano inutili. Al momento, date le circostanze e nostro malgrado, crediamo che questo sia l’unico modo per tutelarci come Vignaioli. Spero che possa riprendere presto il dialogo e che nasca un Consorzio di Tutela - o almeno un luogo di confronto - paritetico ed interprofessionale in cui tutti, anche i piccoli produttori, possano dire la loro".

 

E ancora, sempre Cesconi: "Credo che un metodo di lavoro più collegiale non possa che fare bene alla vitivinicoltura trentina e alla reputazione del nostro marchio territoriale”. Contrapposizioni per ora insanabili, comunque ostiche. Qualche vignaiolo forse continuerà a mantenere rapporti (travasi, enologicamente parlando) con i due Consorzi – per questioni fiscali, norme sulle DOC e altre pratiche burocratiche. Di sicuro l’immagine del Trentino enologico rischia di essere velata. Divisa. Spazi separati ad esempio nelle fiere, alla Prowein come all’imminente Vinitaly, con stand distanti e scoordinati. Tanta confusione nella promozione commerciale, soprattutto per l’export.

 

Fermento, si diceva. Confusione? O peggio. Vedremo. La situazione rischia d’inacidire i rapporti. E l’aceto, al vino, gioca brutti scherzi.

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