E' tempo di ‘agrigiani’, contadini a metà tra la zappa e il mouse votati alla ricerca della qualità
Sostenibilità e filiera corta. Queste le ricette per il futuro della nostra agricoltura. Gli studiosi dello sviluppo del mercato agricolo evidenziano un rinnovato rapporto tra città e campagna, che genera fenomeni di vera e propria ‘rurbanizzazione’

TRENTO. Coltivare le Dolomiti per conservare l’ambiente, ma pure per produrre alimenti in sintonia con la specificità alpina. In grado di mantenere vive le aziende montanare, soddisfare il palato di noi consumatori con prodotti altrettanto salubri. E al giusto prezzo.
L’evoluzione dolomitica del comparto agroalimentare – come spiega nella sua inchiesta il ‘nostro’ Sergio Ferrari – è una lotta continua tra quanti hanno inizialmente puntato a produzioni per battere la fame e coloro che miravano a coinvolgere le varie ‘Comunità del Cibo’ in precise strategie socio-economiche. A beneficio di tutti. Investendo non solo in colture, ma pure il cultura. Intuizioni e fatiche. Dei pionieri della difesa fitosanitaria e di schiere di contadini, coinvolti e tutelati da organizzazioni basate sulla solidarietà della cooperazione. Con risultati sicuramente positivi, per gli agricoltori e pure per la bellezza del paesaggio. Ma questo non basta.
Tutte le categorie del comparto primario puntano a coinvolgere i consumatori in campagne promozionali per mettere in connessione (internet docet) con i centri di produzione, i siti, i campi dove maturano o si raccolgono determinate produzioni.
Proprio per tutelare ‘fidelizzare’ il consumo, nel rispetto della tradizione, prodotti certificati attraverso loghi o marchi d’origine, che consentono al consumatore la possibilità di identificare il cibo con la particolarità della zona di produzione e dunque con il paesaggio, la sua storia culturale e dunque scoprire – gustandola – la sua identità territoriale.
Un rapporto fondamentale nell’abbinamento tra agricoltura e turismo. Specialmente di quanti scelgono la campagna per scelte di eco-turismo, rispettando l’equilibrio ambientale del luogo dove soggiornano, per conoscere stili di vita delle comunità rurali. Flussi di consumatori attenti, per un turismo leggero. Che suggeriscono progetti altrettanto sostenibili, con produzioni in grado di salvaguardare la biodiversità e le consuetudini locali. Dunque, comunicare il paesaggio.
Un modo nuovo di consumare e che supera il concetto stesso di ‘qualità’. Perché cambia l’approccio al cibo. Il rapporto tra produzione agroalimentare e quanto (e come) mangiamo. Non a caso le proposte di ‘vendita diretta’ dei mercati contadini e le azioni della cosiddetta ‘filiera corta’ sono in crescita esponenziale. Gli studiosi dello sviluppo del mercato agricolo evidenziano un rinnovato rapporto tra città e campagna, che genera fenomeni di vera e propria ‘rurbanizzazione’. Scardina concezioni del passato e genera nuove forme di filiera agroalimentare, esterne o alternative ai circuiti della distribuzione moderna.
Cambia il consumo, l’approccio al cibo, ma cambia anche la figura del contadino. Che sceglie di convertire i suoi poderi a forme di coltivazioni mirate all’ecologia. Diventando una sorta di ‘agrigiano’, curioso neologismo per indicare i giovani che scelgono la terra per dimostrare - decisamente sul campo – la loro preparazione e la voglia di conciliare saperi lontani con le loro competenze maturate in percorsi di studio spesso diametralmente opposti alla formazione agronomica. Come dire: dalla zappa al mouse.
Giovani che puntano sul biologico, pure biodinamico, senza tralasciare precise azioni di comunicazione, per un marketing altrettanto sostenibile, il design, tra etica ed estetica.
E decisi a cambiare pure certi modi di consumare. Modificare anzitutto superare le logiche del ‘tutto a minor prezzo’, per ribadire come sia più opportuno ‘consumare meglio e pagare il giusto’. Contro scriteriate offerte low cost e puntare a un consumo alimentare socialmente responsabile’.