Lotta al poligono giapponese, la Pat stanzia 440mila euro. L'esperto: "E' un grosso problema estirparla"
La consistente cifra è stata messa a disposizione di enti pubblici del territorio per salvaguardare la biodiversità e contenere la diffusione di specie alloctone invasive, tra cui il poligono giapponese, che infesta le sponde dei corsi d'acqua. Le misure sono ancora sperimentali e il contenimento complesso. Ci sono alcuni accorgimenti, però, che possono limitarne la diffusione

TRENTO. Sulle sponde dei fiumi trentini c'è un nemico difficilmente estirpabile. È il poligono giapponese (Reynoutria japonica), pianta proveniente, come dice il nome, dall'Oriente, e diffusa in maniera capillare sul territorio provinciale a partire dalla seconda metà del '900.
“Erradicarla è un lavoro infame, è una pianta che ritorna continuamente”, spiega Filippo Prosser, responsabile della sezione botanica del Museo civico di Rovereto. “Pianta erbacea perenne non appartenente alla flora storica trentina”, essa giunge in realtà sul nostro territorio a inizio '900, dove arricchisce i giardini a scopo ornamentale.
Piano piano la sua diffusione infesta una parte consistente del Trentino, seguendo i corsi i fiumi. Prosser, protagonista della mappatura della sua distribuzione, ne delinea un quadro a tinte scure: “Il Trentino occidentale è pieno di questa specie. La Val di Sole, la Val Rendena, la Valle del Chiese sono le aree più colpite. Il poligono scende a valle perché le piene dei corsi d'acqua trasportano i frammenti, aumentandone la diffusione. Predilige le zone montane rispetto a quelle calde e perciò lungo l'Adige o la Valle dei Laghi ci sono insediamenti ridotti. Così come nel Trentino orientale, dove la situazione è ancora recuperabile”.

“La diffusione di questa specie è esplosiva - spiega Costantino Bonomi, botanico del Muse – anche perché non si riproduce per seme ma attraverso i rizomi o dei frammenti di fusto, che vengono spostati spesso nella pulizia delle sponde dei fiumi, movimentando il terreno”.
Inclusa tra le 100 specie più invasive in Europa e nel mondo, la Reynoutria japonica impoverisce la biodiversità di corsi d'acqua e foreste facendo “terra bruciata” di tutte le altre piante, diffondendosi su vaste superfici ed impedendo la crescita della flora ed il rinnovamento delle piante legnose. Per questo la Provincia ha deciso di stanziare, in un piano che comprende quindici progetti presentati da Comuni, Comunità, Parchi e Reti di riserve, 440mila euro per contenerla, difendendo così la biodiversità degli habitat locali.
Gli interventi per eliminarla sono però sperimentali. “Sono illusori – afferma Bonomi – perché fattibili in via teorica ma meno in via pratica. È un grosso problema, manca letteratura a riguardo, i trattamenti sono estremamente costosi perché bisogna agire su aree vaste e l'erradicazione funziona poco”. A questo problema si aggiunge lo smaltimento, che paradossalmente finisce per essere la causa principale della sua diffusione.
Anche in ambito urbano, peraltro, la sua diffusione causa non pochi problemi. “Nelle strutture della strade, delle ferrovie, delle piste ciclabili le radici fratturano il cemento e creano un ostacolo fisico, risultando dannose”, spiega Prosser.
Il contenimento, non a caso, interesserà in particolare i nuclei isolati, più facilmente estirpabili rispetto alle vaste superfici di diffusione che impediscono l'accesso alle rive dei corsi d'acqua. “La cosa diventa più complessa per le case private – dice il botanico del Museo civico – specie nelle case di montagna, visto che si dovrebbe dire ai proprietari, laddove si individuano, di eliminarle correttamente”.
L'attività di informazione diventa a questo punto necessaria, diffondendo così buone pratiche che contengono la proliferazione di questa specie invasiva. Innanzitutto individuandola: i germogli sono rossastri, in estate i ceppi densi, con fusti cavi alti fino a 3 metri, dalla fioritura abbondante e biancastra. In autunno le foglie ingialliscono prima di cadere, mentre in inverno seccano completamente.

Poi prevenendo: non usandola per scopi ornamentali, facendo attenzione a non movimentare il terreno, utilizzando specie locali per rinverdire il suolo scoperto. Ed infine intervenendo: con metodi alternativi e complementari tra loro, tagliando manualmente la pianta almeno una volta al mese da primavera ad autunno – indebolendo così le radici – coprendo con teli l'area da cui si è rimossa la pianta invasiva, facendo pascolare, laddove si ha del bestiame, ovini e caprini. Ma soprattutto, smaltendo in maniera corretta, radunando gli arbusti tagliati fino al disseccamento.