Cambiamenti climatici: nel 2050 quasi 200 milioni di persone all'anno avranno bisogno di aiuti umanitari, 5 miliardi saranno senz'acqua
Questi i numeri del rapporto "Il costo del non far nulla" presentato durante i vertici Onu sul clima a New York. A farne le spese soprattutto poveri e Paesi in via di sviluppo. Il cambiamento climatico è, in buona parte, un problema umanitario: negli ultimi 60 anni il 40% delle guerre civili pare dovuto al deperimento ambientale. Fare qualcosa per arginare i cambiamenti climatici, insomma, ci costerà (anche in termini economici) meno che non far nulla

TRENTO. "The cost of doing nothing" - "Il costo del non far nulla" - così la Federazione internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna rossa (Ifrc) ha intitolato il proprio rapporto diffuso il 19 settembre a New York durante i vertici Onu sul clima. "Dobbiamo - e dovremo - pagare un prezzo altissimo se non facciamo subito qualcosa", spiega Francesco Rocca, presidente Ifrc.
"Il costo del non far nulla " è un rapporto che, numeri e dati alla mano, delinea uno scenario allarmante (QUI REPORT).
Ifrc ha stimato che, nel 2050, circa 200 milioni di persone ogni anno potrebbero aver bisogno di aiuti umanitari internazionali. Oggi sono circa 108 milioni i diseredati del cambiamento climatico: sono poveri e vivono per lo più in Paesi in via di sviluppo. I cambiamenti climatici, insomma, impattano (e lo faranno sempre di più) sulle popolazioni più vulnerabili del pianeta. Secondo il report entro il 2030 il loro numero potrebbe aumentare del 66% e quasi raddoppiare (+85%) entro il 2050.
Il grafico mostra l'incremento della popolazione che avrà bisogno di assistenza umanitaria in seguito a calamità climatiche dal 2018 al 2050.
Lo studio di Ifrc va nella stessa direzione di altre analoghe ricerche. Secondo un'analisi pubblicata dalla Global Commision on Adaption (Gca) (QUI REPORT) - organismo guidato dall'ex segretario Onu, Ban Ki-Moon - il cambiamento climatico, nei prossimi anni, potrebbe ridurre del 30% i raccolti in tutto il mondo. Contemporaneamente, però, il fabbisogno di cibo aumenterà del 50%. Questa discrepanza tra offerta e domanda porterà, sempre secondo Gca, oltre 100 milioni di abitanti dei Paesi in via di sviluppo sotto la soglia di povertà. Entro il 2050 - continua il report - il numero di persone che non avranno accesso adeguato all'acqua salirà dai circa 3,6 miliardi attuali a 5 miliardi.
Il cambiamento climatico, inoltre, secondo Michelle Bachelet - commissario Onu per i diritti umani - ha conseguenze geopolitiche importanti: il 40% delle guerre civili degli ultimi 60 anni sarebbe causato dal degrado delle condizioni ambientali. Nel Sahel, ad esempio, la perdita di terreni coltivabili (che, secondo Ifcr, è destinata ad aumentare drasticamente nei prossimi anni) "sta intensificando la competizione per il controllo di risorse alimentari già scarse", ha detto Bachelet. Il cambiamento climatico esaspera tensioni etniche già latenti e alimenta l'instabilità politica.
Oggi le risorse sono insufficienti per far fronte ai disastri ambientali. Il sistema di assistenza legata ai cambiamenti climatici costa, ogni anno, dai 3,4 ai 12 miliardi di dollari. Dal 2020 questa cifra potrebbe arrivare a 20 miliardi. Aumentando il numero delle persone colpite infatti aumenta, inevitabilmente, anche l'investimento finanziario necessario per garantir loro assistenza. Il cambiamento climatico, insomma, costa: in termini di vite ma anche, più banalmente, in termini economici. Necessaria una precisazione. Queste considerazioni, in realtà, sottostimano il problema. Molti fattori che contribuiranno ai futuri bisogni umanitari e i costi a loro connessi sono stati omessi. I dati sono generali e generalizzanti. Non si tiene conto, ad esempio, delle aree già segnate da conflitti. Il conto reale del non far nulla, quindi, potrebbe essere molto più alto di quello stimato.
Quello che emerge dall'indagine della Federazione internazionale della Croce rossa è sostanzialmente questo: fare qualcosa per arginare i cambiamenti climatici ci costerà meno che non far nulla. Paradossale certo ma, cifre alla mano, inconfutabile. Secondo Rocca, quindi, abbiamo ancora la possibilità di far qualcosa. "Non possiamo prevenire tempeste, cicloni, ondate di calore (sempre più forti e devastanti). Possiamo, però, fare qualcosa sull'impatto che questi eventi hanno".
È cruciale, insomma, investire nel cosiddetto climate adaption (investire, cioè, nella nostra capacità di adattarci ai cambiamenti climatici) e provare a coltivare la resilienza nelle comunità, nei paesi e nelle regioni a rischio.
"Mitigare, in modo significativo, il cambiamento climatico - continua Francesco Rocca - riducendo le emissioni è complesso. Anche se riuscissimo a portare il tasso d'inquinamento a zero dall'oggi al domani, il mondo continuerebbe a scaldarsi per decadi e i livelli di mare e oceani continuerebbero a crescere per secoli. Per questo, assieme all'indispensabile sforzo che tutti dobbiamo compiere per fronteggiare i cambiamenti climatici, è altrettanto necessario adattarvisi".
Bisogna investire, insomma, in quelle che vengono definite "perdite evitate". I sistemi di allerta, oltre a salvare vite, possono ridurre del 30% i danni economici causati da una tempesta (con un preavviso di appena 24 ore). Così - continua il rapporto - investire 800 milioni di dollari in questi sistemi nei Paesi in via di sviluppo permetterebbe di risparmiare dai 3 ai 16 miliardi annui. Allo stesso modo, costruire infrastrutture contro le catastrofi climatiche, farebbe aumentare i costi del 3% ma porterebbe, in un secondo momento, a benefici del 400%. La logica, dunque, è questa: investire per risparmiare (vite e soldi).
(Forse) non tutto è perduto, dunque. Sempre secondo quanto riportato dal report di Ifrc, con azioni concrete e mirate in tale direzione, il numero di persone in attesa di aiuti umanitari (legati a disastri climatici) potrebbe passare da 68 milioni nel 2030 fino ad appena 10 milioni nel 2050. Insomma, se si comincia subito ad agire, si potrebbe assistere ad una decrescita del 90% circa dei cosiddetti diseredati climatici.
Il cambiamento climatico è, quindi, (innanzitutto e, forse, soprattutto) un problema umanitario.