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''Apocalisse NO!'' Il futuro del Brasile e del mondo di fronte alla deforestazione dell'Amazzonia

Quanto ci si potrebbe spingere lontano per fermare la distruzione di una risorsa vitale per l'umanità? E' la domanda che si è posto un professore di Harvard, immaginando una guerra al Brasile qualora proseguisse nelle sue folli politiche di devastazione. E mentre al G7 di Biarritz si discuterà di questa crisi internazionale, Bolsonaro cerca di far rientrare l'emergenza

Di Davide Leveghi - 24 agosto 2019 - 21:13

TRENTO. Cosa potrebbe succedere tra un lustro se la situazione dell'Amazzonia arrivasse ad un punto critico? Il presidente americano, in diretta televisiva mondiale, lancerebbe un ultimatum per la cessazione delle attività di deforestazione, che, se non rispettato, comporterebbe un intervento militare contro il Brasile, con il blocco navale ed il bombardamento aereo delle più importanti infrastrutture del Paese sudamericano.

 

È uno scenario fantapolitico quello immaginato sulla rivista Foreign Policy da Stephen M. Walt, cattedratico di relazioni internazionali presso l'Università di Harvard. Inverosimile, forse, ma plausibile nella misura in cui, si chiede il professore, quanto lontano ci si spingerebbe per prevenire un danno ambientale irreversibile?

 

Mentre il presidente brasiliano Jair Bolsonaro compie qualche passo indietro, rilasciando dichiarazioni più caute rispetto a quelle in cui incolpava dei roghi le Ong ambientaliste, responsabili a suo giudizio di una vendetta per il taglio dei fondi statali, gli organi internazionali discutono delle possibili sanzioni. Di qua – presumibilmente – il dietrofront del populista, con l'invio dell'esercito per domare le fiamme e le affermazioni in diretta televisiva sull'essenzialità della foresta amazzonica per la storia del Brasile.

 

L'Inpe, istituto che monitora coi satelliti tutta l'Amazzonia, stima che da gennaio siano stati bruciati 320mila ettari di foresta, l'80% in più rispetto allo stesso periodo del 2018- equivalente alla superficie della Val d'Aosta. Una terra bruciata a cui seguono le ruspe per pulire i campi, adibiti subito al pascolo o alla coltivazione. Un'operazione accelerata da un governo sostenuto dalla lobby agroalimentare, che copre (maldestramente) i suoi interessi sparando a zero su Ong e indios, prime vittime dell'abbattimento della foresta, e licenzia gli scienziati che pubblicano gli allarmanti dati.

 

Sono scesi a migliaia nelle piazze, i brasiliani, per gridare al mondo la tragicità della situazione nella foresta pluviale. Hanno twittato e dichiarato in tanti, presidenti e stars dello spettacolo, contro una devastazione che rischia di compromettere seriamente la vita dell'uomo sulla Terra. Solo Trump ha offerto il proprio sostegno al collega brasiliano, mentre in attesa del G7 di Biarritz, nel Paese Basco francese, si valutano le possibilità di risoluzione di questa vera e propria crisi internazionale.

 

Hanno gli Stati il diritto o l'obbligo di intervenire in un Paese straniero in modo da impedire che questo causi un danno irreversibile e catastrofico all'ambiente? C'è un paradosso crudele, continua Walt, poiché i Paesi maggiormente responsabili del cambiamento climatico sono quelli militarmente e politicamente più forti. Cina, Usa, India, Russia e Giappone producono la stragrande maggioranza delle emissioni di gas serra, ma tre di questi siedono in maniera permanente nel Consiglio di sicurezza dell'Onu con diritto di veto, quattro hanno la bomba atomica. Non sono quindi suscettibili di alcuna deterrenza militare.

 

Il Brasile, invece, è vulnerabile sia alle sanzioni economiche che alle azioni di forza laddove mantenesse un approccio distruttivo verso la foresta amazzonica, risorsa globale di decisiva importanza. Ed è forse proprio la prima strada, molto più facile e accettabile da percorrere, che si discuterà sul tavolo del G7. Ma come si può coniugare, infine, il diritto di un Paese alla crescita industriale con il rispetto dell'ambiente? Sarebbe bene immaginare, conclude Walt, che in cambio della preservazione di un bene tanto importante si cominciasse a sovvenzionare quei territori, come il Brasile, che possiedono sul proprio territorio queste risorse d'interesse globale. Prenda nota, presidente Bolsonaro. Pecunia non olet.

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