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Ambiente, in Italia le regioni fanno poco perché deresponsabilizzate. Ohlhorst: “È necessario un approccio multilivello coordinato e sovrastatale''

Durante il convegno che si è tenuto all’Eurac Research sono stati presentati discussi alcuni aspetti riguardanti le situazioni di Italia e Germania a livello politico e amministrativo sul tema della lotta ai cambiamenti climatici. Tematiche sempre più attuali, che anche in questi giorni sono protagoniste di Cop25, la conferenza mondiale sul clima, dove molte nazioni presenteranno nuovi piani d’azione per il 2020

Di Lucia Brunello - 04 dicembre 2019 - 20:03

BOLZANO. Il cambiamento climatico procede più velocemente della capacità umana di adattarvisi e l’ultima decade si avvia ad essere la più calda della storia, con l’anno ancora in corso che potrebbe essere tra i primi nell’epoca post industriale per l’aumento della temperatura. Sono record che hanno conseguenze evidenti: fenomeni estremi, un tempo rari, si fanno sempre più frequenti, come gli incendi che hanno devastato le foreste della Siberia e dell’Australia, o come i tifoni che hanno flagellato luoghi come Giappone e Mozambico.

 

Secondo gli studiosi, dal 2015 in poi, ogni anno ha visto aumentare le temperature e il 2019 ha finora registrato un aumento di 1,1° sopra i livelli pre industriali. Gli scienziati hanno ribadito che le emissioni di gas provocate dall’uomo sono legate a fenomeni ormai in atto, come il ritiro dei ghiacciai e l’innalzamento del livello del mare, inoltre le concentrazioni medie globali di anidride carbonica hanno continuato a salire, raggiungendo lo scorso anno la percentuale di 407,8 parti per milione, rispetto alle 405,5 del 2017. Questo significa che l’oceano che assorbe anidride carbonica e calore, ha acque sempre più calde e acide, a danno degli ecosistemi marini.

 

Sono questi i dati e tematiche che proprio in questi giorni sono protagoniste di Cop25, la conferenza mondiale sul clima, a Madrid. La Cop25 precede l’anno decisivo, il 2020, quando molte nazioni dovranno presentare nuovi piani d’azione per il clima. Tra le tante questioni ancora aperte c’è il finanziamento delle azioni in favore del clima a livello mondiale.

 

L’aspetto chiave ad essere emerso è che al momento non si sta facendo abbastanza per raggiungere i tre obiettivi climatici: ridurre le emissioni del 45% entro il 2030; raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (cioè emissioni di anidride carbonica pari a zero) e stabilizzare l’aumento della temperatura globale a 1,5° C gradi entro la fine del secolo. In tema di cambiamento climatico, è necessario agire subito e in modo efficace, ed è per questo che è necessario un impegno ambizioso e determinante da parte di tutte le nazioni.

 

Durante la conferenza che si è tenuta il 2 dicembre all’Eurac Research di Bolzano, sono state esposte quelle che in Germania e in Italia sono le principali problematiche a livello politico e amministrativo che si interpongono ad una lotta efficace e multilivello contro il cambiamento climatico.

 

Attualmente, in Italia, si subiscono le conseguenze della riforma costituzionale del 2001, che ha creato un nuovo modello normativo che attribuisce allo stato una podestà legislativa in tesi esclusiva della materia ambiente, togliendola quindi alle singole regioni. Questa novità giurisprudenziale è oggi fonte di numerosi problemi ordinamentali. “Le leggi regionali anteriori al 2007 non potevano essere modificate né da legislatori regionali, né statali – ha detto Marcello Cecchetti, professore dell’Università di Sassari. “In questi anni si è vista sempre meno conflittualità tra stato e materia, visto che le regioni italiane sapevano di non poter fare politica ambientale. Questo ha irrigidito il modello rendendolo poco adeguato rispetto a quello precedente poiché assolutamente deresponsabilizzante”.

 

La tematica ambientale tocca aspetti sociali ed economici, ed è sempre più caratterizzata da una profonda trasversalità. L’unico modo attraverso il quale le regioni italiane oggi possono incidere su decisioni di carattere ambientale, anche se indirettamente, è quello di fare leva sulla trasversalità della materia e di agire sulle più svariate politiche pubbliche, come quelle che riguardano il territorio, la salute, il trasporto e la ricerca scientifica.

 

“Il nostro è un sistema di competenze rigido. Manca nella visione dell’assetto giuridico delle competenze ambientali un coinvolgimento dei livelli periferici. In Italia si fa politica ambientale dall’alto e si fanno richieste alle regioni e ai comuni senza dare le risorse necessarie. Essendo questo modello fondamentalmente sbagliato, ciò che ne è conseguito è la formazione di un diritto estremamente casistico e variegato. Abbiamo il paradosso di un modello troppo rigido ma al tempo stesso che ha una serie di varietà ed incertezze”, conclude il prof Cecchetto.

 

Nonostante queste problematiche, negli ultimi anni, in Italia la produzione di energia da fonti rinnovabili è salita al 18,3%, conquistando quasi un intero punto percentuale di crescita rispetto al 2016 (17,4%). Sul fronte elettrico la produzione lorda complessiva da fonti rinnovabili ha raggiunto il 35%. Per il fotovoltaico si è trattato addirittura di un anno record (+10,3% rispetto al 2016) mentre le condizioni siccitose hanno fatto arretrare l’idroelettrico determinando una riduzione complessiva su produzione effettiva di elettricità verde. Per quanto riguarda il settore termico, invece, circa il 20% dei consumi energetici del 2017 è stato coperto da fonti rinnovabili, con la biomassa solida che da sola ha coperto il 67% dei consumi verdi, cui segue il contributo fornito dalle pompe di calore (24%).

 

La situazione in Germania, invece, presenta una condizione più rosea rispetto a quella italiana in termini di dati. La strategia adottata per il clima comprende agevolazioni e incentivi di vario tipo per favorire gli interventi di efficienza energetica negli edifici, come l’isolamento termico, la sostituzione degli infissi e dei vecchi generatori di calore con impianti più moderni, e per promuovere la diffusione delle auto elettriche. Per quanto riguarda le rinnovabili si punta al 65% nel 2030 dal 38% circa raggiunto nel 2018, ma come arrivare a un simile traguardo è ancora oggetto di discussione, alla luce soprattutto delle difficoltà politiche e amministrative presenti nel paese.

 

Serve maggiore coordinamento a livello statale e regionale”, dice il professor Philip Schelpmann. “Quando si parla di ambiente si sollevano tante questioni, ed è per questo che è necessaria una politica multilivello. È certamente una sfida per tutto lo stato. La Germania deve cambiare il suo modo di abitare e la sua vivibilità, aspetti che riguardano diverse politiche. Dobbiamo cominciare a pensare a dei progetti di tipo incrementale in un sistema a più livelli”.

 

Uno dei punti di forza e di debolezza della Germania, è stato presentato chiaramente dalla dottoressa Ohlhorst: “La crescita di percentuale di produzione di energia da fonti rinnovabili, sarebbe fortemente incrementata da un più deciso utilizzo dell’eolico. La realizzazione di nuovi impianti a terra, però, è in questo momento decisamente frenata dai limiti di potenza introdotti nelle aree e da vari ostacoli non solo burocratici, ma anche legati alla scarsa accettazione delle pale eoliche da parte di molte comunità locali“. Come esempio si potrebbe portare quello della Baviera, che si è prefissata l’ambizioso obiettivo di giungere, entro il 2021, ad un livello di energia rinnovabile del 50%.

 

In questa regione, però, vige una legge che permette l’installazione di rotori elettrici ad una distanza minima dalle abitazioni di 10 volte la loro altezza e, avendo la Baviera una densità di popolazione molto elevata, il numero di opere installabili si è ridotta drasticamente. “In alcuni ambiti c’è la sensazione che la mano destra non sappia cosa fa la sinistra”, continua la professoressa Ohlhorst. “Ultimamente il calo delle tariffe energetiche ha frenato la diffusione di rotori eolici. Secondi gli esperti è principalmente causa delle poche superfici che possono essere utilizzate, per questo causa di ricorsi e del blocco di numerosi progetti. Tutti i consumatori pagano per questi impianti eolici che poi sono spenti, mentre ci sono deroghe su impianti a carbone che andrebbero chiusi”. 

 

Uno degli obiettivi della Germania è quello di uscire dal nucleare entro il 2022 e ridurre in generale il consumo energetico del 20% entro il 2020 e del 30% entro il 2050. C’è premura nel riuscire a limitare sempre più l’utilizzo di carbone come combustibile fossile, ma le tempistiche si stanno continuamente dilatando, e questo per via del timore da parte dei cittadini che i posti di lavoro non si possano riottenere con le nuove fonti rinnovabili.

 

“Quando si parla di cambiamenti climatici, va sempre tenuta presente la profondità spaziale e temporale del problema. Oggi il pianeta subisce gli effetti di politiche che sono state poco attente nel passato, e ogni scelta che viene fatta oggi, avrà una ripercussione più o meno positiva in luoghi che producono un minimo impatto ambientale ma ne subiscono le conseguenze, e le nuove generazioni non ancora nate. Sia in Italia che in Germania è chiaro come affrontare il tema dei cambiamenti climatici non possa essere fatto soltanto a livello sovranazionale o a livello globale, ma a questo debba essere integrata la dimensione locale e più vicina ai territori”, ha concluso la Ohlhorst.

 

 

 

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