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Emergenza rifiuti, la soluzione è un termovalorizzatore o un inceneritore? No, per Fbk è il gassificatore: ecco come funziona (e perché ha il minor impatto sull'ambiente)

La Provincia attende i responsi degli esperti e il Dolomiti ha chiesto a che punto è il loro studio: l'impianto ottimale per la chiusura del ciclo dei rifiuti in Trentino sarebbe un gassificatore. Il direttore del centro Sustainable Energy della Fondazione Bruno Kessler Luigi Crema ci spiega il funzionamento dell'impianto (ed il suo impatto sul territorio)

Di Filippo Schwachtje - 24 ottobre 2022 - 06:01

TRENTO. “Il nostro studio, realizzato insieme all'Università di Trento, analizza la questione da un punto di vista scientifico-tecnologico, prendendo in considerazione ovviamente anche l'impatto ambientale e gli aspetti economici: in definitiva, secondo quanto emerso l'impianto ottimale per il Trentino sarebbe il gassificatore. Noi, da tecnici, ci limitiamo a una valutazione di natura tecnica, mentre la decisione finale è ovviamente di natura politica”. Al netto però delle necessarie discussioni con i territori, è proprio sulla base dello studio di cui parla il direttore del centro Sustainable Energy della Fondazione Bruno Kessler, Luigi Crema, che la politica trentina deciderà (“entro l'anno”, ha specificato il vicepresidente Tonina) quale strada seguire per risolvere quella che in Provincia è diventata una vera e propria emergenza: lo smaltimento delle circa 60mila tonnellate di rifiuto secco residuo che ogni anno vengono prodotte in Trentino. Un'emergenza che, secondo gli addetti ai lavori, a lungo termine non può che essere risolta proprio attraverso la realizzazione di un impianto per la chiusura del ciclo dei rifiuti sul territorio provinciale: un termovalorizzatore o, appunto, un gassificatore. Ma come funzionano queste tecnologie? E qual è il loro impatto sul territorio?

 

Per quanto riguarda il termovalorizzatore, negli ultimi mesi il Dolomiti ha approfondito in diverse occasioni il funzionamento dell'impianto di Bolzano (Qui e Qui Articolo), dalle operazioni di scarico alla produzione di energia fino al trattamento dei fumi. La grande differenza con un gassificatore, dice però Crema, sta propria nell'assenza di combustione. “I due impianti – precisa il direttore del centro Sustainable Energy di Fbk – vengono spesso confusi, ma si tratta di due tecnologie di conversione dei rifiuti completamente diverse. Un gassificatore infatti prevede un processo ad alte temperature che converte chimicamente i rifiuti in un syngas, un gas di sintesi ricco di composti semplici come, ad esempio, il monossido di carbonio e l'idrogeno, che vengono poi ricombinati, attraverso diversi processi chimici, per formare biocarburanti o idrogeno stesso”. Grazie alla carenza di ossigeno all'interno dell'impianto però, nonostante temperature in alcuni casi anche superiori ai 2mila gradi centigradi, i rifiuti non vengono bruciati, ma piuttosto 'scomposti': “Si tratta di una sorta di effetto 'sauna' – precisa infatti Crema – tutte le molecole all'interno dei vari materiali vengono progressivamente divise in molecole sempre più piccole, andando a formare, per l'appunto, un gas”.

 

Gas che, come detto, nello stesso impianto viene poi ricombinato chimicamente per ottenere i biocarburanti: “Il syngas – spiega l'esperto – deve poi essere pulito e purificato, passando attraverso una serie di filtri prima di venire ricombinato in idrogeno o biocarburanti. La risulta dai processi di filtrazione è un fango, che in sostanza è l'unico elemento che deve poi essere smaltito, ma in termini di volume si tratta di circa l'1,5% del materiale che entra nell'impianto”. Viste le alte temperature alle quali l'impianto stesso opera infatti, le 'ceneri' prodotte realizzano un composto vetrificato, completamente inerte, che può essere utilizzato ad esempio all'interno di materiali da costruzione come il cemento o nel gres porcellanato. “All'uscita dell'impianto, nel secondo stadio di conversione – continua Crema – la maggior quota di gas di 'scarto' è Co2 (anidride carbonica) in forma ad elevata purezza, che a sua volta può trovare valorizzazione nel mercato, vista anche la carenza di materia prima più volte denunciata negli ultimi mesi”. In poche parole: la quantità di residuo non riutilizzabile, che deve quindi essere smaltito al termine del processo, è estremamente limitata

 

Il secondo stadio, a valle per così dire del processo di gassificazione, è la conversione di syngas 'pulito' in biocarburante o idrogeno: “Qui – dice Crema – a seconda delle reazioni si possono produrre diversi composti, dall'etanolo al metanolo fino all'idrogeno, con varie possibilità, anche in combinazione una rispetto all'altra. In generale, i biocarburanti entreranno sempre di più nel mercato come additivi (fino al 10% del volume totale) di benzina e gasolio: di fatto c'è quindi un beneficio diretto nell'uso energetico dei biocarburanti”. Stesso discorso vale per l'idrogeno che diventerà, spiega l'esperto: “Sempre più uno dei vettori energetici principali con la transizione energetica, come specificato anche dalle direttive sul tema, come nel recente piano del Repower Eu”. Anche in questo secondo stadio, l'impianto non presenterebbe camini ad emissione principale né emissioni. “I gassificatori – spiega Crema – sono meno diffusi rispetto ai termovalorizzatori, ma al mondo sono già in funzione impianti su grande scala negli Stati Uniti, in Giappone, nel Regno Unito”.

 

In Italia la stessa Fbk è impegnata nel supporto all'ingegnerizzazione di un grande impianto da 200mila tonnellate all'anno poco a nord di Roma: “Al giorno d'oggi gli impianti utilizzano tecnologia matura – sottolinea Crema – e dalle nostre stime la realizzazione di un gassificatore in Trentino dovrebbe mantenere il costo per lo smaltimento dei rifiuti sul livello attuale, se non in prospettiva addirittura abbassarlo, anche se queste dinamiche devono essere ovviamente inserite nel contesto della gestione a livello dell'intera filiera territoriale”. Tra le alternative per la chiusura del ciclo dei rifiuti sul territorio il gassificatore è quindi quella ad impatto minore, mentre a livello generale i costi per l'esportazione dei rifiuti fuori Provincia continuano a salire, raggiungendo nelle ultime gare i 300 euro a tonnellata (in Alto Adige il costo è un terzo, 100 euro a tonnellata) con prospettive future tutt'altro che incoraggianti. “Il materiale di risulta dei filtri – conclude Crema – è poco in termini di peso e ipoteticamente potremmo essere in grado di ridurre i volumi attualmente utilizzati nelle discariche, conferendo i pochi scarti dell'impianto e recuperando un quantitativo maggiore del residuo stoccato. A nostro avviso, come detto, questo sarebbe l'impianto ottimale per il territorio mentre nel contesto europeo sono già diversi i progetti che verranno realizzati nei prossimi anni”.

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