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Coronavirus, ecco perché non basta comunicare l'esito del tampone: in molti sottostimano il risultato se è positivo e lo sovrastimano se è negativo

Uno studio condotto da una professoressa e una ricercatrice del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) dell’Università di Trento ha rivelato le difficoltà che ha il grosso della popolazione a interpretare in modo corretto l’esito del test molecolari ribandendo l'importanza cruciale che hanno corretta informazione e trasparenza nella gestione della pandemia

Di L.P. - 28 gennaio 2021 - 11:45

TRENTO. Le persone sovrastimano la possibilità di un errore diagnostico quando ricevono il risultato positivo di un tampone al Covid, ma la sottostimano se il risultato è negativo. E' questa una delle conclusioni alle quali sono giunte Katya Tentori e Stefania Pighin, rispettivamente professoressa e ricercatrice del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) dell’Università di Trento, nel loro studio pubblicato dalla rivista scientifica “British Medical Journal (BMJ) Open”. E ancora: le persone pensano sia più utile ripetere il test a breve termine se si è ricevuto un esito positivo piuttosto che uno negativo, quando invece i dati scientifici suggerirebbero il contrario

Una ricerca dell’Università di Trento ha rivelato le difficoltà che ha il grosso della popolazione a interpretare in modo corretto l’esito del test molecolare su tampone nasofaringeo, lo strumento più impiegato per diagnosticare l’infezione da SARS-CoV-2. Le autrici dello studio sono partite dalla domanda ''in che misura sono considerati accurati ed esercitano un’influenza sui ragionamenti e sui comportamenti delle persone?'' questi test per arrivare a chiarire quanto trasparenza, informazione e corretta comunicazione siano cruciali per affrontare in maniera efficace la pandemia.

 

Lo studio condotto da Trento ha coinvolto quali partecipanti 566 persone, ben distribuite sul territorio nazionale, residenti dall’Alto Adige alla Sicilia, e bilanciate per genere e livello di istruzione. Alla luce di quanto emerso, le studiose dell’Università di Trento auspicano un’azione di educazione rivolta alla popolazione in modo da aiutarla a meglio comprendere i risultati dei test e a metterli in relazione in modo corretto con i loro comportamenti. Osservano, infatti, come alla capillare diffusione dei tamponi non sia per ora corrisposta un’adeguata informazione su come interpretarne i risultati. Anche perché la mente umana tende a rimuovere e a proteggere sempre sé stessa (e lo vediamo tutti i giorni sui social dove la realtà tende ad essere rimossa in favore, invece, di quelle che sono le aspettative e così chi scriveva del ritorno del virus era additato come ''terrorista'' e già adesso che la curva del contagio torna ad abbassarsi il sentimento di rimozione del problema, ancora presentissimo e drammatico, torna ad affermarsi).

 

Tra le varie cose che si è provato nello studio c'è che malgrado le persone siano consapevoli della rilevanza di informazioni quali la localizzazione geografica e l’eventuale presenza di sintomi compatibili con Covid-19, non riescono a tenerle in considerazione quando interpretano i risultati del test. Ciò significa che, di fronte a un certo esito, la stima della probabilità di avere l’infezione non viene aggiornata a seconda che la persona sottoposta al test provenga o meno da una
zona ad alto rischio o presenti o meno dei sintomi compatibili con il virus.

''Crediamo sia fondamentale aiutare la popolazione a comprendere appieno il significato e le implicazioni comportamentali dei risultati dei test a cui si sottopongono, per facilitare un utilizzo più corretto e, in ultima analisi, consapevole di questi importantissimi strumenti diagnostici, anche per evitare spiacevoli conseguenze sul piano personale e nel rapporto con le istituzioni'', affermano Stefania Pighin e Katya Tentori.

''I test di massa svolgono senza alcun dubbio un ruolo importante nella raccolta di informazioni epidemiologiche - aggiungono - e nella gestione delle pandemie, ma non va dimenticato che hanno anche effetti a livello individuale, influenzando i comportamenti e le decisioni di chi si sottopone a tali test. Non è difficile immaginare come un fraintendimento sostanziale dei loro risultati possa avere delle conseguenze rilevanti in termini di salute pubblica e benessere dei cittadini. Ad esempio, la sistematica sottostima dei falsi negativi potrebbe portare a trascurare le precauzioni e, in caso di sviluppo successivo di sintomi, potrebbe diminuire la fiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie. Analogamente, la confusione sull'utilità di una ripetizione a breve termine del test dopo un risultato positivo potrebbe dar luogo a un eccessivo ricorso ai test anche quando non necessario, con tutte le gravi conseguenze che questo comporterebbe sul piano organizzativo''.

L’articolo, dal titolo “Public’s understanding of swab test results for SARS-CoV-2: An online behavioural experiment during the April 2020 lockdown”, è stato scritto da Stefania Pighin e Katya Tentori del Centro interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento (CIMeC) e pubblicato dalla rivista scientifica “British Medical Journal (BMJ) Open” è disponibile in Open access dal 17 gennaio 2021 su: http://dx.doi.org/10.1136/bmjopen-2020-043925

 

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