Sui grandi carnivori tante fake news e notizie sensazionalistiche. Il Muse: “Dati allarmanti”
La ricerca dimostra come attraverso i social media (con la complicità di alcune testate giornalistiche) vengano veicolate notizie che alimentano una visione dei predatori quali animali violenti, capace di orientare il pubblico amplificando le paure e talvolta creandone di ingiustificate. Gli esperti del Muse: “Così si ostacolando gli sforzi fatti fino ad ora per la conservazione di queste specie”

TRENTO. Da sempre i grandi carnivori ricoprono uno spazio importante nell’immaginario collettivo, forse perché la loro forza, talvolta, ricorda all’uomo che non sempre è stato al vertice della catena alimentare. Social media e quotidiani però, spesso e volentieri, tendono a diffondere notizie sensazionalistiche, che contribuiscono ad alterare la percezione delle persone su questo tema.
“Purtroppo, non tutto quello che circola sui social, e sul web in generale, è veritiero e la crescente diffusione delle cosiddette fake news ne è la prova – sottolineano i ricercatori che poi aggiungono – in altre circostanze invece, l’informazione, pur basandosi su fatti reali, viene enfatizzata, spettacolarizzata, condita con toni sensazionalistici”. Questo almeno quanto emerso dal lavoro pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Ecology and Evolution. Lo studio (QUI la versione integrale)al quale ha contribuito un team di ricercatori composto da Veronica Nanni, Enrico Caprio, Giulia Bombieri (Muse), Stefano Schiaparelli, Carlo Chiorri, Stefano Mammola, Paolo Pedrini (Muse) e Vincenzo Penteriani, si è concentrato sulle modalità con cui notizie relative ai grandi carnivori pubblicate dai giornali venissero poi riprese e condivise attraverso i social media
I ricercatori hanno preso in esame cari articoli pubblicati online da varie testate riguardanti casi di attacchi di grandi carnivori all’uomo “i dati raccolti si sono rivelati estremamente interessanti ma allo stesso tempo allarmanti”, spiegano. Da quello che è stato osservato, sui social, le notizie che sono caratterizzate da un tipo di informazione violenta e sensazionalistica sono anche quelle maggiormente condivise. Nella GRAFICO (realizzato dallo stesso team di ricercatori) alcuni esempi. In seconda battuta sono state prese in considerazione le immagini: in linea generale la presenza di una o più immagini nell’articolo, ne facilita la condivisione ma, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare la visibilità del giornale non influenza il numero di condivisioni sui social. “Ovvero – afferma il team di ricerca – anche un evento estremamente localizzato può essere proiettato su scala globale grazie all’utilizzo dei social media”.

I ricercatori hanno scoperto che fra testate internazionali-nazionali e locali esiste una differenza: le prime tendono a rilanciare maggiormente gli articoli sensazionalistici, mentre le seconde si concentrano sui racconti di attacco all’uomo, condivisi a prescindere dallo stile adottato. Nella GRAFICO qui sotto (realizzato dallo stesso team di ricercatori), questa differenza è ben visibile: “Si nota come gli articoli sensazionalistici siano significativamente più condivisi sui social, è evidente anche una differenza nel numero di condivisioni tra articoli sensazionalistici (in rosso) e articoli non sensazionalistici (in bianco) per: tipologia di testata giornalistica e specie”. Le vittime più illustri di questa “classifica” sono leoni e tigri ma nemmeno orsi e lupi (presenti anche in Trentino) se la passano troppo bene. Mentre squali e alligatori ottengono sempre una grande risonanza, a prescindere dal modo in cui la notizia veniva riportata, forse perché, l’ipotesi formulata sono capaci di smuoverci emotivamente e risvegliare le nostre paure più ancestrali.

Secondo gli esperti è probabile che la vicinanza al luogo in cui si è verificato l’incontro, colpisca il lettore indipendentemente dal sensazionalismo o meno della notizia, mentre un evento lontano richieda un contenuto “forte” per essere condiviso. In ultima analisi: “L’uomo ha una paura istintiva dei predatori, ma questa paura può essere alimentata dal tipo di informazioni veicolate dai giornali e dalla loro diffusione sui social media. La ricerca – proseguono – mostra come i social media stiano contribuendo alla diffusione di un’informazione fortemente sbilanciata verso una visione dei predatori quali animali violenti, capace di condurre il pubblico a paure ingiustificate ed amplificate, diminuendo di conseguenza la tolleranza verso i grandi carnivori e ostacolando gli sforzi fatti fino ad ora per la conservazione di queste specie”.