Più produttività ma tempi di lavoro allungati fino al 20%, meno stress ma nessun limite tra vita lavorativa e privata. Quali sono le prospettive dello smart working?
Al centro di un webinar organizzato dalla Fondazione Fbk nell'ambito di "Lavorare smart. Buone pratiche e strumenti per guidare insieme il cambiamento", il ricercatore Bruno Lepri ha illustrato i risultati di diversi studi condotti da team di università e aziende sugli effetti del lavoro da casa. Maggiore produttività, eliminare i tempi per andare e tornare dall'ufficio e maggiore flessibilità con la famiglia contrastano con tempi di lavoro in media più lunghi, perdita della creatività e caduta dei confini fra vita privata e lavorativa

TRENTO. Lo smart-working è stato uno delle grandi novità che ha interessato il mondo del lavoro ai tempi della pandemia. Quella che era una modalità di lavoro ristretta ad un manipolo di persone si è infatti trasformata in una pratica diffusa, specie nei momenti di massima chiusura decisi dalle autorità per contenere la diffusione del contagio.
Il dibattito sui vantaggi e gli svantaggi del lavoro da casa sta impegnando gli esperti, che in studi e analisi statistiche e psicologiche tentano di spiegare quali siano gli effetti del non recarsi più all'ufficio e di lavorare non uscendo mai dal proprio domicilio. È stato questo l'argomento di un webinar tenuto dal responsabile dell'Unità Ict-MobS della Fondazione Bruno Kessler Bruno Lepri, che nell'ambito del percorso “Lavorare smart. Buone pratiche e strumenti per guidare insieme il cambiamento” ha illustrato diversi studi sul tema.
“Gli studi pre-pandemia avevano quasi sempre dimostrato che il lavoro da casa faceva decrescere la performance e la medesima previsione era stata fatta da moti leader negli ambiti lavorativi, i quali in generale si aspettavano un calo nel rendimento – ha specificato Lepri – in realtà, il lavoro da casa ha mostrato ottime performance tanto che grandi aziende come Twitter hanno dichiarato di voler far proseguire i propri dipendenti in questo modo per sempre, anche oltre l'emergenza della pandemia, e uno studio di Manpower dice che in generale 8 lavoratori su 10 sarebbero d'accordo a continuare così”.
La diffusione su larga scala di un fenomeno prima abbastanza limitato – e l'importante avanzamento tecnologico degli ultimi anni - ha così aperto uno squarcio su una modalità di lavoro che aumenta la produttività, migliora il livello d'efficienza, d'attenzione e di concentrazione rispetto a quando si lavora in sede, riduce i livelli di stress e la conflittualità d'ambito lavorativo. Almeno questi sono i risultati di uno studio condotto dalla Harvard school, dalla Austin business school e dall'azienda Humanyze, pubblicato sulla Harvard business review.
Condotto su 680 lavoratori, lo studio, firmato tra gli altri da Ben Waber, ha riguardato il periodo marzo-maggio, ma tuttora prosegue per valutare gli sviluppi nell'attuale momento di seconda ondata. Possibilità di evitare lunghi e inutili viaggi di lavoro, meeting più brevi e più focalizzati, maggiore flessibilità per gestire la famiglia, eliminazione del tempo impiegato per andare e tornare dal lavoro e abbattimento dell'inquinamento vengono indicati come ulteriori aspetti positivi.
Ma si tratta solo di “rose e fiori”? Dallo studio emergono delle sfumature. Innanzitutto lo smart working non è vissuto ugualmente da tutti. Lo stress è gestito molto meglio dalle persone che vivono in coppia e da chi non ha figli, da chi ha maggiore capacità di adattamento e più capacità di mantenere relazioni positive e empatiche con gli altri. I confini fra la vita lavorativa e quella privata vengono poi indicati come sfumati un po' da tutti i partecipanti dello studio. Secondo la ricerca, infine, i dati dicono che lavorare da casa abbia esteso il tempo lavorativo del 10-20% in media.
“Fra gli aspetti negativi c'è la perdita delle interazioni faccia a faccia informali e non pianificate – ha sottolineato Lepri – inoltre si comunica sempre più con i collaboratori stretti mentre decrescono le occasioni per comunicare con altri team, come invece può succedere sul luogo di lavoro quando ci si incontra casualmente e si chiacchiera. Secondo uno studio della Stanford e della Columbia University questo porta a minor collaborazione e minor creatività nel lavoro”.
“Esiste inoltre la difficoltà ad accogliere i nuovi colleghi che arrivano mentre si lavora da remoto e a costruire o mantenere i cosiddetti legami deboli in grado di permettere flussi di conoscenza tra parti di organizzazione che formalmente non sarebbero connessi – ha aggiunto – più difficile anche costruire relazioni a lungo termine o di vera e propria amicizia. È molto importante che in caso di lavoro da remoto nella azienda venga potenziata la comunicazione interna”.
Quali sono dunque le prospettive? “La mia impressione è che a lungo termine si potrebbe perdere in creatività – ha concluso Lepri – tuttavia questa al momento è un'opinione basata su alcune analisi che si stanno conducendo e gli studi sull'argomento devono ancora essere conclusi”.