Fondazione Mach, l'addio di Segrè: ''Il dilemma 'privato' o 'pubblico' andrà risolto. Questa la riforma da fare, non legare ulteriormente Fem e Pat: sarebbe la fine''
Nominato dalla Giunta Rossi, Segrè, non è stato riconfermato alla guida della Fem. E l'ormai ex numero uno affida il proprio pensiero a una lunga lettera (che pubblichiamo in forma integrale) nella quale traccia un bilancio dell'esperienza trentina: "Al mio arrivo ricadute della ricerca sull’agricoltura locale pari a zero nonostante promesse mirabolanti, una diffusa parentopoli, il blocco delle progressioni verticali e orizzontali: sembrava una mission impossible"

TRENTO. "Prima di lasciare la presidenza voglio dire una cosa: la Fondazione rimane un’incompiuta fin dalla sua costituzione", queste le parole di Andrea Segrè, ormai ex presidente del Centro di ricerca di San Michele all'Adige, che aggiungo: "Quando sono arrivato mi sembrava piuttosto strano governare un ente di diritto privato, ma 'privato' anche del patrimonio e per di più con un unico socio fondatore: la Provincia di Trento".
Nominato dalla Giunta Rossi, Segrè, non è stato riconfermato alla guida della Fem, il suo mandato scade a fine mese, mentre la Provincia a trazione leghista ha già individuato il successore Mirco Maria Franco Cattani, consulente aziendale nell’ambito del marketing, commerciale e della gestione delle risorse umane (Qui articolo).
In ballo anche una riforma della Fondazione per mettere mano in particolare alla governance e tra le ipotesi c'è quella di affiancare il neo presidente con Attilio Scienza e Riccardo Velasco, mentre non sono mancate le prime reazioni politiche, in particolare quelle degli ex assessori Luca Zeni e Sara Ferrari del Partito democratico (Qui articolo).
"Proprio per la struttura la Provincia è piuttosto invadente, legittimamente si intende. In effetti anche le nomine - dice Segré - a partire da quelle del presidente, ma in fondo anche tutte le altre, riflettono questo 'statuto speciale'. Il dilemma 'privato' o 'pubblico' andrà risolto prima o poi. L’ibrido non sempre funziona, soprattutto se si prende il peggio di entrambi i sistemi. Questa sarebbe la vera riforma da fare, non certo una governance che leghi ulteriormente la Fem alla Pat: sarebbe la sua fine".
E l'ormai ex numero uno della Fem affida il proprio pensiero a una lunga lettera (che pubblichiamo in forma integrale) indirizzata ai dipendenti nella quale traccia un bilancio dell'esperienza trentina, ricorda la situazione alla sua nomina e indica un possibile futuro. "L’eredità ricevuta dalla precedente gestione - spiega Segrè - che ha portato a oltre 60 tentativi di conciliazione e diversi ricorsi al giudice del lavoro, con sperequazioni salariali tra dipendenti di pari livello determinate da superminimi iniqui e evidenti sotto-inquadramenti, dipartimenti squilibrati tra il bulimico e l’anoressico, cospicui finanziamenti migrati altrove, ricadute della ricerca sull’agricoltura locale pari a zero nonostante promesse mirabolanti, una diffusa parentopoli, il blocco delle progressioni verticali e orizzontali: sembrava una mission impossible. O perlomeno non erano le condizioni di partenza ideali".
Arrivano le considerazioni sul ricorso al genoma e le tendenze della ricerca a livello internazionali, così come l'analisi del cambio di risorse e le stabilizzazioni del personale.
La lettera in forma integrale:
Come sapete fra qualche giorno finisce il mio mandato quinquennale, oggi ho presieduto il mio ultimo Consiglio di amministrazione. E' il momento dunque per condividere con tutti voi qualche riflessione su un’esperienza, umana e professionale, molto importante per me. Un tratto di strada che abbiamo percorso assieme. Quando mi chiesero di assumere la presidenza di questo Ente - era l’anno in cui si sarebbe svolta l’Expo di Milano dedicata al cibo - accettai l’incarico ben consapevole della sua complessità. Non solo per l’impegno e la competenza scientifica che la presidenza di un Ente così articolato richiede, ma anche perché ero conscio della portata del mandato che mi veniva conferito. Peraltro molto chiaro in chi mi aveva allora nominato: di fronte a un quadro economico difficile, con risorse calanti e in un “clima aziendale” interno molto deteriorato, l’obiettivo era riconnettere la Fondazione al suo territorio e al mondo agricolo, mantenendo la competitività a livello nazionale e internazionale.
Certo, con l’eredità ricevuta dalla precedente gestione, che ha portato a oltre 60 tentativi di conciliazione e diversi ricorsi al giudice del lavoro, con sperequazioni salariali fra dipendenti di pari livello determinate da superminimi iniqui ed evidenti sottoinquadramenti, dipartimenti squilibrati fra il bulimico e l’anoressico, cospicui finanziamenti migrati altrove, ricadute della ricerca sull’agricoltura locale pari a zero nonostante promesse mirabolanti, una diffusa parentopoli, il blocco delle progressioni verticali e orizzontali, sembrava una mission impossible. O perlomeno non erano le condizioni di partenza ideali.
Con l’aiuto di un Direttore generale, certamente con poca esperienza per il ruolo ricoperto ma seriamente dedito al lavoro, con un Consiglio di amministrazione coeso (al netto di qualche voce tanto dissonante quanto ininfluente), assieme all’impegno determinante dei Dirigenti, siamo riusciti a riportare l’Ente in un quadro di normalità e stabilità.
Non elencherò tutte le cose fatte, anche perché sono gli atti che parlano, per chi avesse la voglia di leggerli. Riassumere qui quelle principali mi consente tuttavia di rispondere ad alcune critiche riportate su qualche giornale locale. Beninteso, la critica non solo è un diritto ma, se costruttiva, aiuta a migliorare. Sarebbe meglio farla nelle sedi opportune, mi rendo tuttavia conto che spesso gli obiettivi sono altri.
Del resto in questi anni mi sono sempre chiesto dove erano gli amministratori precedenti (tanto in Fem, quanto in Pat), proprio quelli così facondi nel riempire pagine di giornali o i chiacchiericci nei corridoi rivangando i bei tempi andati. A tutti questi, che forse ora si stanno godendo la pensione, suggerisco una salutare passeggiata con i nipotini nel campus di San Michele. Arrivate fino al convitto e leggete il motto sotto la meridiana: “Il sole torna, il tempo no”. E magari fatevi anche un esame di coscienza su quanto avete fatto e cosa avete lasciato in eredità.
Quando sono arrivato, nel febbraio del 2015, ho cercato subito di capire come stavano realmente le cose sulla tanto decantata genomica studiando la documentazione disponibile. Non entro nel merito della legittimità delle procedure, perché a questo sono preposte altre figure, ma vi invito ad una riflessione.
Partiamo dal genoma della vite: costo totale che supera i 10 milioni di euro. Non fatevi ingannare dalle mille citazioni della sua pubblicazione su PLoS ONE, che citano correttamente questo lavoro nell’introduzione. Andate invece a vedere quante pubblicazioni scientifiche sono state prodotte utilizzando il sequenziamento del genoma fatto da San Michele. Farete fatica a trovarle, visto che sono qualche decina, fatte tutte nei primi anni. Poi più nulla. E questo perché il mondo scientifico usa il sequenziamento fatto dal consorzio italo-francese, che invece è oggetto di un numero di lavori venti volte maggiore. Ma se anche voleste usare il genoma della vite sequenziato da San Michele, non vi sarà facile visto che il server che lo ospitava è defunto da diversi anni e ben prima del mio arrivo. Non vi resta che cercare i dati grezzi che da qualche parte forse ci sono ancora.
Ho cercato anche di capire se il genoma del melo, che per inciso è gestito da un genome browser dell’Inra francese, venisse utilizzato nel marker assisted breeding per selezionare varietà resistenti di melo. Neanche qui gli ulteriori più di 10 milioni pagati ad una ditta esterna per il sequenziamento del melo sono stati utili. Nella selezione dei materiali vegetali da incrocio, si procede infatti con le infezioni con i patogeni, proprio come nel passato, perché i marcatori non funzionano bene.
Qualcuno dirà che ora c’è il genome editing: su questo lascio ogni valutazione a chi mi succederà. Abbiamo smantellato la genomica? Il coordinatore del dipartimento, il dottor Velasco, ha lasciato Fem, ma volontariamente per un ruolo di maggior prestigio e responsabilità. Comunque i “suoi” ricercatori di levatura internazionale sono tutti qui: Malnoy, Si Ammour, Goremykin, ecc., incluso il personale tecnico e tecnologo stabilizzato.
Non vado oltre, è tutto passato (anche se qualche volta il passato ritorna). Veniamo piuttosto a ciò che abbiamo fatto noi.
Parto dalla vision, un esercizio che ci ha impegnati per oltre un anno. Assieme, e con più di 300 partecipazioni ai gruppi di lavoro, abbiamo fatto un’accurata analisi del contesto Trentino e focalizzato criticità e soluzioni. La ‘Visione Fem’ è, e sarà per i prossimi anni, un importante documento scientifico di riferimento per aiutarvi a focalizzare la ricerca verso i temi più importanti per il territorio.
La predisposizione del documento è stata anche un utile esercizio per allenarsi al lavoro di team. Le problematiche complesse e globali necessitano di interazione ed integrazione di competenze e conoscenze. Lavorare in squadra sarà un punto chiave per la ricerca futura e le sue ricadute. Pur continuando a puntare al miglioramento della qualità scientifica, bisogna fare un passo oltre l’impact factor e le citazioni. E' necessario fare anche una ricerca che promuova il benessere sociale, ambientale ed economico e la necessaria sostenibilità del sistema nel suo complesso.
Un altro passo importante è la struttura che abbiamo dato al nostro corso di dottorato. Siamo tra i primi in Italia ad aver strutturato il finanziamento delle borse con il meccanismo del cofinanziamento esterno. Questo vi permetterà di stimolare le attività di ricerca soprattutto da parte dell’impresa privata che potrà avere, con questo approccio, sia un sostegno alla ricerca, sia un’opportunità per accedere a personale formato nell’ambito della ricerca e sviluppo. Questa modalità vi aiuterà anche a conoscere meglio le necessità di ricerca del settore privato e a capirne le dinamiche. Le aziende avranno anche modo di comprendere ciò che si fa in Fondazione e cogliere nuove opportunità di innovazione perché sarete voi a spiegarlo direttamente. Il meccanismo di cofinanziamento permetterà anche di raddoppiare le risorse, che, inutile che lo ripeta, saranno in costante calo nel prossimo futuro, non solo in Trentino.
Proprio su questo ultimo tema, qualcuno sui giornali mi ha attaccato per la riduzione delle risorse per la ricerca, come se questa scelta dipendesse da me. Dal 2015 quando sono arrivato al 2020 i trasferimenti dalla Pat per l’AdP sono passati da 41,1 a 37,1 milioni di euro. Per dire: nel 2011, i bei tempi delle vacche grasse, erano 46,9. Il trend negativo è continuato anche con la nuova Giunta provinciale. Probabilmente chi ha sollevato la questione non conosce nulla dei meccanismi di finanziamento della Fondazione e dello stato dell’economia italiana e trentina. Pensare che battendo i piedi si materializzino le risorse del passato è semplicemente un approccio superficiale per non dire irresponsabile.
Anche riguardo il presunto svuotamento di Fem derivato dall’attivazione del C3A e la fuga dei ricercatori, vi invito ad un’attenta osservazione dei fatti: gli ex-colleghi che hanno passato la selezione per docente al C3A dove sono? Mi pare che siano tutti nello stesso ufficio, negli stessi laboratori, che peraltro l’Università ora ricompensa pagando un affitto.
Riguardo alla “fuga” da Fem, tutti voi sapete, molto meglio di me, che i ricercatori che hanno lasciato la Fondazione, quelli riportati anche recentemente sui giornali locali, sono andati via per motivi del tutto personali/familiari, perché hanno trovato migliori opportunità di crescita professionale e/o stipendiale oppure perché non sono stati stabilizzati dai precedenti dirigenti. Sui giornali ho letto anche un nome di un ricercatore che non ha mai lavorato per Fem. Per il futuro invito gli articolisti ad andare alla fonte dell’informazione o perlomeno cambiare “gola profonda”. Perché oltretutto queste insinuazioni hanno fatto sembrare che in Fem siano rimasti i peggiori: non è così ovviamente, lo sapete bene. Ma vi capisco quando vi siete sentiti offesi da queste mistificazioni del tutto strumentali.
Ancora qualche riga sul C3A. Ricordo che il Centro è un’iniziativa congiunta Fondazione e Università, nata per fare massa critica e per crescere in termini di offerta di competenze. Chi non ha capito o non ha voluto capire, forse ignora le tendenze della ricerca internazionale che vanno tutte verso la formazione di poli forti e multidisciplinari. Per non citare la solita Wageningen olandese, pensate all’Inra francese che ora ha allargato anche ai temi dell’ambiente con la creazione di un’organizzazione super competitiva: l’Inrae. Chi pensate prenderà più facilmente i finanziamenti europei? I centri composti da qualche decina di ricercatori o i colossi organizzati? Siamo realisti: piccolo è bello, ma a volte non vince (i bandi).
Il C3A ci ha anche permesso di portare in Trentino le lauree e il dottorato in agraria e ambiente. Questa è un’opportunità in più per tutte quelle famiglie e ragazzi trentini che non possono permettersi di studiare in trasferta. Avvicina i ragazzi della nostra Scuola al mondo accademico, glielo fa conoscere e capire. Le aziende trentine hanno bisogno di tecnici che già formiamo egregiamente, ma anche di esperti e di una classe dirigente capace di valorizzare il territorio e la produzione agricola e forestale. Permetterà ai ricercatori di insegnare e di passare la conoscenza alle nuove generazioni. Così si vince nel futuro.
Faccio anche un cenno al professor Guella, che stimo molto e che è stato spesso strumentalizzato negli attacchi di alcuni giornali contro di me. Il C3A aveva un progetto programmatico predisposto con degli obiettivi che stanno alla base della sua costituzione. I due enti hanno concordato il contenuto del progetto, non il professor Segrè, come riportano i giornali. Il direttore del C3A ha ricevuto il mandato di compierlo: ad un certo punto il professor Guella ha capito che il progetto non era in linea con l’idea che lui si si era fatto dell’iniziativa e correttamente ne è uscito. Si chiama libertà di decidere.
Comunque sia, è un fatto che a San Michele abbiamo creato una filiera di didattica e ricerca unica nel suo genere: dall’Istituto agrario al Dottorato di ricerca. Per questo ringrazio l’Università di Trento e il rettore Paolo Collini che ci ha spalancato le porte consentendoci di concretizzare un progetto nato molto prima del mio arrivo, ma che era rimasto nel cassetto per tanti anni. Sono grato al rettore anche per la sua lungimiranza: favorire l’aggregazione di competenze sul territorio per raggiungere una massa critica di ricercatori che ci permetta di competere con più forza per i finanziamenti europei e aver consentito alle famiglie trentine, e non solo quelle naturalmente, di poter mandare i ragazzi a studiare in un ecosistema unico e aperto all’innovazione agricola, alimentare, ambientale.
Inoltre, senza poter entrare nel merito delle singole azioni, abbiamo riportato la distribuzione delle risorse verso un maggior equilibrio, pur mantenendo alta l’attenzione sulle attività strategiche per il territorio. Abbiamo cercato di portare più trasparenza e migliorare la correttezza nelle procedure. L’onestà e l’impegno del personale hanno fatto il resto e credo di lasciare nelle vostre mani un ente più equilibrato, solido e competitivo.
La nomina di un Consiglio Scientifico, prima di me assente, ci ha aiutato a definire un indirizzo strategico; la riorganizzazione del Cri e del Ctt ha iniziato a dare i suoi frutti in termini di efficienza; il personale stabilizzato è aumentato; nonostante il calo continuo dello stanziamento Pat, l’autofinanziamento extra AdP è cresciuto sostanzialmente (12 milioni nel 2019); l’azione di consulenza e la presenza dei nostri tecnici sul territorio è migliorata; abbiamo ripreso a finanziare le borse di dottorato mantenendone il controllo diretto senza appaltarle ad altre Università; la produttività scientifica in rapporto al personale è aumentata. Non lo dico io, sono i numeri dei bilanci e dei documenti programmatici che parlano. Riporto solo qualche dato a memoria (anche futura).
Abbiamo posto grande attenzione alle risorse umane e alla riduzione del precariato, aumentando il personale a tempo indeterminato: siamo passati ad un rapporto tempo indeterminato/tempo determinato di 68,6/31,4 del 2011 ad un 83,1/16,9 del 2019. Meglio di così credo sia difficile fare.
Se poi guardate ai numeri assoluti della produzione in termini di articoli scientifici con impact factor, quest’ultima si posiziona in una situazione di stabilità. Il che già è positivo, la produttività è invece aumentata. Ricordo qui a chi ha sostenuto, scorrettamente, che la produttività scientifica della Fem sia in calo che la stessa si calcola in funzione delle unità produttive. Se guardate quindi alla produttività scientifica dei ricercatori vedrete che siamo passati da meno di 1,5 pubblicazioni per ricercatore nel 2012 (quando le risorse erano ancora a livelli molto elevati) a valori superiori al 2,5 negli ultimi tre anni. Siamo vicini al raddoppio. Se usiamo questi numeri come indicatore della qualità scientifica dei ricercatori, ma ce ne sarebbero tanti altri, diventa difficile sostenere che la partenza dei “migliori ricercatori” abbia impattato negativamente sulla qualità della ricerca.
Non è questa la sede né il tempo di fare dei bilanci di mandato. Del resto c’è ancora tanto, tantissimo da fare. Auguri di buon lavoro a chi mi succederà e ai suoi consulenti.
Prima di lasciare la presidenza voglio dire un’ultima cosa: la Fondazione rimane un’incompiuta fin dalla sua costituzione. Quando sono arrivato mi pareva piuttosto strano governare un ente di diritto privato, ma “privato” anche del patrimonio e per di più con un unico socio fondatore: la Provincia Autonoma di Trento. Per questo piuttosto invadente, legittimamente si intende. In effetti anche le nomine, a partire da quelle del Presidente, ma in fondo anche tutte le altre, riflettono questo “statuto speciale”. Il dilemma “privato” o “pubblico” andrà risolto prima o poi. L’ibrido non sempre funziona, soprattutto se si prende il peggio di entrambi i sistemi. Questa sarebbe la vera riforma da fare, non certo una governance che leghi ulteriormente la Fem alla Pat: sarebbe la sua fine.
Di questi cinque anni, davvero intensi, l’ultimo è stato particolarmente impegnativo. La scelta della nuova Giunta provinciale di riprendere in servizio il Direttore generale della Fondazione ci ha assorbito molte energie, troppe rispetto alle (tante) altre cose da fare. Le modalità di questa azione, come sapete, sono oggetto di un ricorso in mano al giudice: vedremo come andrà a finire. Il bando esterno che ne è seguito ha portato a una nuova figura manageriale che, per il suo elevato standing, saprà svolgere al meglio una funzione fondamentale per la buona gestione di un Ente complesso come la Fondazione.
Vi lascio con l’immagine della folla di famiglie che lo scorso 9 novembre durante le porte aperte della Fem in occasione del 145esimo ha riempito ogni angolo del nostro Campus. Chi c’era, ed eravamo in tantissimi della Fem, se lo ricorderà per sempre. Almeno io non lo dimenticherò. Così come ogni giorno passato qui con voi. Buon fortuna a tutti, viva la Fondazione Mach.