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Al Trento Film Festival il grande scrittore Brizzi: ''Il lockdown è uno spartiacque: necessario ripensamento del lavoro in Italia, come avviene nel Nord Europa''

Scrittore bolognese, autore di "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" e decine di altri romanzi “di generazione”, Brizzi è anche presidente della Giuria del Premio Itas. Da più di 20 anni trascorre le sue vacanze "a piedi", un'intervista tra libri, "nuovi montanari" e la "rivoluzione dolce" del turismo italiano che lascerà dietro di sé le orme dei camminatori, le scie delle biciclette e meno rifiuti

Foto di Michele Purin
Di Angelo Ferro - 09 maggio 2021 - 21:15

TRENTO. "Credo che la risposta stia nella precisione". Queste le parole di Enrico Brizzi. "Fin quando da ragazzino ho iniziato a leggere Mario Rigoni Stern, quello che mi colpiva è che conosceva le parole giuste per designare tutte le cose, i fenomeni, il tipo di andature che si possono avere lungo un sentiero in mezzo alla neve".

 

Scrittore bolognese, autore di "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" e decine di altri romanzi “di generazione”, Brizzi è anche presidente della Giuria del Premio Itas. L'emergenza Covid e il lockdown è stata anche un'opportunità per raccogliere idee e riflessioni.

 

"Il lockdown - dice Brizzi - ha portato molti di noi a sperimentare modalità di lavoro innovative non in presenza e probabilmente segnerà uno spartiacque. Molte persone si sono chieste che senso abbia rimanere chiusi nella periferia di una grande centro urbano quando è possibile abitare in montagna e fare esattamente le stesse cose scendendo in città solo quando strettamente necessario. Al di là della consapevolezza delle persone, è necessario un ripensamento del lavoro in Italia, come avviene già nei Paesi del Nord Europa".

 

Da più di 20 anni trascorre le sue vacanze "a piedi", un'intervista tra libri, "nuovi montanari" e la "rivoluzione dolce" del turismo italiano che lascerà dietro di sé le orme dei camminatori, le scie delle biciclette e meno rifiuti.

 

Il Premio Itas 2021 vede tra i finalisti il libro “Autobiografia della Neve” (Utet) di Daniele Zovi, un autore dell’Altopiano di Asiago nel centenario dalla nascita di Mario Rigoni Stern. Due autori accomunati da un profondo legame con il territorio e da una profonda sensibilità, conoscenza e consapevolezza del paesaggio che li circonda. In che modo i libri di Mario Rigoni Stern e Daniele Zovi possono arricchire e cambiare il modo in cui le persone camminano in montagna?

Credo che la risposta stia nella precisione. Sin quando da ragazzino ho iniziato a leggere Mario Rigoni Stern quello che mi colpiva è che conosceva le parole giuste per designare tutte le cose, i fenomeni, il tipo di andature che si possono avere lungo un sentiero in mezzo alla neve. Insomma, si capiva che era qualcuno che sapeva esattamente di cosa stava parlando, qualcuno con il quale ti saresti fidato ad andare in montagna, a cui ti saresti affidato anche nelle tragiche circostanze della ritirata di Russia.

 

Per quanto riguarda l’Altopiano di Asiago, è un posto, una terra, che è nel mio cuore, lì ho una casa di famiglia e l’anno scorso ci ho trascorso l’intero lockdown. Il libro di Daniele Zovi è senz’altro meritevole e vanta sensibilità, conoscenza e consapevolezza del paesaggio dell’Altopiano.

Penso quindi che il modo in cui i libri di Mario Rigoni Stern e di Daniele Zovi possano arricchire e cambiare il modo in cui le persone camminano in montagna sia quello di far conoscere loro la montagna per davvero, portandoli spalla a spalla lungo sentieri dei quali questi autori sanno tutto.

 

Il vincitore assoluto del Premio Itas, “Mia sconosciuta” (Ponte alle Grazie) di Marco Albino Ferrari, racconta il profondo legame tra madre, figlio e montagna. C’è una persona della tua famiglia o tra le tue amicizie che ti ha trasmesso la passione per la montagna?

Esattamente come Marco Albino Ferrari, sebbene a quote più basse e senza praticare l’alpinismo, la passione per la montagna e più in generale per camminare zaino in spalla viene da mia madre. E’ mia madre che mi ha messo per prima gli sci ai piedi, lo zaino in spalla e che mi ha abituato all’idea che se vuoi mangiare la merenda prima si arriva al Passo, al Rifugio, o quel tal prato stabilito. In famiglia la passione è nata da mio nonno materno e poi dal nonno alla mamma, dalla mamma a me e spero da me alle mie figlie.

 

Questa settimana al Trento Film Festival è stata presentata la collana ufficiale delle 12 guide del Sentiero Italia firmate dal Club alpino italiano, una pubblicazione che anticipa un’estate in cui la voglia di recuperare la libertà perduta e di tornare a contatto con la natura porterà nuove persone a infilare gli scarponi e partire per le alte vie e per i cammini Italiani come il Sentiero Italia e la Via Francigena. Ti aspetti una “rivoluzione lenta” del turismo estivo con meno trolley e aerei e più zaini e scarponi?

Credo che questa rivoluzione, che a me piace chiamare “rivoluzione dolce”, abbia a che fare con le nuove modalità del turismo. E’ significativo per esempio che quest’anno la Borsa Internazionale del Turismo abbia scelto come immagine simbolo un ragazzo barbuto con uno zaino in spalla e un cappello tipico da chi è in cammino. La rivoluzione dolce è un fenomeno ampio che coinvolge il rimettere in discussione il nostro stile di vita, i nostri consumi, lo smaltimento dei rifiuti e la nostra alimentazione. Rispetto a quando ero ragazzino, oggi è c’è maggior consapevolezza del fatto che le risorse del mondo non sono infinite e spetta a noi mantenere il loro equilibrio.

 

In questa nuova ottica il viaggiare in modo dolce come camminare, andare in bici, a cavallo o con le ciaspole, cioè tutte le modalità in cui si portano con sé i propri rifiuti lasciandosi dietro solo le proprie orme, sono in crescita. I cammini Italiani stanno vivendo un vero e proprio boom dopo anni di stasi e di un’ interesse di nicchia limitato a chi era abituato ad andare in montagna e dormire in tenda. Camminare sta diventando un fenomeno generalista, che coinvolge persino “la zia Wanda” che solitamente se ne sta sul divano davanti alla televisione e che però ora ha un’amica che ha percorso il Cammino di Santiago, la Via Francigena o la Via degli Dei e anche lei vuole ora unirsi ad un gruppo organizzato.

 

Quello dei cammini è un fenomeno in piena evoluzione, la scommessa sarà capire se si tratta di una moda passeggera o se invece cambierà davvero in profondità i consumi degli italiani. Capire se il camminare, e il viaggio dolce in generale, diventerà una pratica e un patrimonio permanente, di tutti, come già avviene in Germania, Austria e Svizzera. Io ovviamente remo da questa parte.

 

Mauro Varotto nel suo libro “Montagne del Novecento” (Cierre) afferma che spesso l’esperienza di un turista in montagna è caratterizzata dal ricercare in montagna le comodità della città e dalla mancanza di incontri significativi con le persone che vivono in montagna. Varotto promuove quindi l’idea di una montagna come luogo d’incontro tra “il turista responsabile e il montanaro consapevole”. Un camminatore è un “turista responsabile”? Hai mai incontrato dei “montanari consapevoli” durante i tuoi cammini?

Mauro Varotto ha ragione nella sua prospettiva però, da cittadino che ha sempre frequentato le montagne, mi ha sempre colpito un’altra contraddizione: ci sono tanti abitanti delle città che amano le montagne, che vi si precipitano appena possono e che le rispettano. Al contempo ci sono tante persone che vivono nelle terre alte e che in montagna, appena fuori dal loro paese, non ci vanno praticamente mai. Per cui sono vere tutte e due le dimensioni: sia il montanaro consapevole che il montanaro inconsapevole, sia il turista responsabile che il turista irresponsabile.

 

Ogni volta che mi fermo in un rifugio incontro montanari consapevoli, che siano montanari nativi o d’adozione, chi frequenta i sentieri, le alte vie, di consapevolezza ne ha un bel po’; compresa la consapevolezza che ci sono periodi dell’anno in cui non si può fare la doccia perchè la cisterna dell’acqua è vuota e bisogna farsene una ragione.

 

Luca Mercalli nel suo ultimo libro “Salire in Montagna” (Einaudi) prevede che nei prossimi anni i cambiamenti climatici e la possibilità sempre più diffusa di lavorare da remoto porterà ad un progressivo ripopolamento di alcune zone montane a media quota, le cosiddette “montagne di mezzo”, da parte dei “nuovi montanari”: nuovi residenti dei paesi di montagna che occasionalmente scendono in città per lavoro. Cosa pensi di questo fenomeno? Pensi che i “camminatori” possano essere persone propense a scelte di vita di questo genere?

Quello che racconta Mercalli è vero e significativo. E’ una tendenza molto evidente e che in fondo esiste sin dal 2005-2006 quando alcuni comuni del Parmense, come Berceto, lungo la via Francigena, avevano presentato delle agevolazioni per trasferirsi lì portando la rete internet ovunque. E’ una tendenza in atto. Oggi tra le esigenze primarie oltre alle scuole, il medico e la una farmacia c’è il fatto di essere connessi alla rete.

 

Il lockdown ha portato molti di noi a sperimentare modalità di lavoro innovative non in presenza e probabilmente segnerà uno spartiacque. Molte persone si sono chieste che senso abbia rimanere chiusi nella periferia di un grande centro urbano quando è possibile abitare in montagna e fare esattamente le stesse cose scendendo in città solo quando strettamente necessario. Al di là della consapevolezza delle persone, è necessario un ripensamento del lavoro in Italia, come avviene già nei Paesi del Nord Europa, dove ci si è resi conto da tempo che buona parte del lavoro può essere svolto in autonomia da casa controllandone poi i risultati al posto di controllare che i dipendenti dell’ufficio siano sulla scrivania a capo chino. A voler essere ottimista potrebbe essere una bella rivoluzione dei costumi.

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