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Trento
22 novembre | 16:28

"Oggi sento addirittura chi si vanta di essere fascista", Cisco Bellotti riporta "tutto a casa" in un concerto e un disco live: "La musica è in primis impegno civile e sociale"

Il cantautore, che sarà protagonista al teatro Sanbàpolis con gli ex Modena City Ramblers, si racconta a il Dolomiti: "Se canto 'Bella Ciao' non mi sto schierando politicamente, è una canzone che dovrebbe essere il simbolo di un'Italia liberata e può essere rifiutata solo da chi è legato al pensiero fascista"

di Federico Oselini

TRENTO. Dagli inizi dell'avventura con i Modena City Ramblers ai viaggi in tutto il mondo tra "musica e impegno civile", e dall'amore per l'Irlanda fino "ai versi che aggiungerei oggi alla canzone Quarant'anni"E poi gli ultimi progetti tra cui il tour e il disco live per celebrare i trent'anni dall'uscita del primo album, fino alla passione per il calcio e per il "suo" Bologna, e infine anche Bruce Springsteen.

 

È uno Stefano "Cisco" Bellotti a 360 gradi - sospeso tra passato, presente e futuro - quello che si racconta il Dolomiti in occasione del suo ritorno a Trento per la seconda tappa del tour invernale di "Riportando tutto a casa 30 anni dopo" in programma domenica 24 novembre (ore 21) al teatro Sanbàpolis.

 

E il live sarà di quelli che definire unici è quasi un eufemismo, dal momento che protagoniste saranno le canzoni e i musicisti che hanno fatto la storia del "Fenomeno MCR" - tra cui "Kaba" Cavazzuti, Marco Michielini e Roberto Zeno, ma anche Alberto Cottica e Giovanni Rubbiani -  che è riuscito nell'impresa di portare, negli anni e ad ogni latitudine, quel "combat folk" all'insegna di musica, parole e di quell'impegno civile che, seppur sempre meno presente nel panorama contemporaneo, a detta di Cisco rappresenta "la vera forza della musica e dell'arte".

 

Cisco, la rivedremo di nuovo a Trento, assieme a tanti "vecchi amici", per continuare a raccontare i i trent'anni  di "Riportando tutto a casa". Che sensazioni ha?

 

Arriviamo in una città che conosciamo e che amiamo tantissimo, dopo la prima data in programma sabato a Modena dove giocheremo in casa: a prendersi la scena saranno le canzoni di quegli anni, ma non solo, e assieme agli altri torneranno anche gli storici componenti del gruppo Cottica e Rubbiani, siamo quindi super carichi. L'idea di continuare questo percorso, che era partito con l'intenzione di fare solo alcune date e che ha portato invece anche alla realizzazione di un album live, è nata proprio dal grande successo che ha riscosso.

 

Ci parli del disco "Riportando tutto a casa live trent'anni dopo", uscito poche settimane fa e che è stato realizzato grazie alla collaborazione del vostro pubblico con una sorprendente campagna di crowdfunding.

 

Si tratta di un doppio cd e di un triplo vinile che contiene anche un brano inedito. È un lavoro che nasce proprio grazie ai nostri ascoltatori, che hanno sostenuto in centinaia la campagna per la sua realizzazione, e posso dire che questo affetto mi sorprende davvero tanto. Stavamo registrando i vari concerti, e ci siamo resi conto che l'energia e l'atmosfera di quelle canzoni era unica: sull'onda della spinta emotiva e delle richieste del pubblico, ci siamo lanciati in quest'avventura e ne è uscito un disco live a tutti gli effetti, con tutte le imperfezioni tipiche dei concerti, ed è proprio questo a renderlo genuino.

 

La prima traccia del disco è l'inedito "Siamo Moltitudine", un brano che segue un filo rosso lungo tre decenni. Da cosa trae ispirazione?

 

È una canzone che definirei "generazionale": scritta assieme a Giovanni Rubbiani, parla di noi e dei tanti anni vissuti assieme, ma anche di come facciamo i conti con quello che siamo diventati oggi, alla luce delle tantissime tappe del nostro percorso. Contiene letteralmente le moltitudini che ci hanno formato, le persone che abbiamo incontrato e gli episodi che ci hanno cambiato la vita, personale e artistica: dalle esperienze più personali ai ricordi dei tanti viaggi, fino a fatti terribili come la strage di Bologna o il rapimento di Aldo Moro, che hanno segnato inevitabilmente la nostra generazione.

 

A partire dal suo brano "Riportando tutto a casa" del 2021, fino agli ultimi progetti, sembra che in lei ci sia quasi la volontà di "far pace" con il suo passato, e il pensiero va anche al momento in cui ha deciso di lasciare il gruppo. È così?

 

Ha colto pienamente nel segno. Tutto è partito scrivendo quella canzone che mi ha permesso di comprendere l'importanza del mio passato, del mio percorso, e del continuare a raccontarlo. Sono passati quasi vent'anni da quando non faccio più parte dei Modena City Ramblers, però quel tempo ha lasciato un segno che porto sempre con me, e sono fiero di questo. Si può dire quindi che ho chiuso un cerchio, facendo pace con quello che è stato e accettando quello che sono, e siamo, oggi. E quest'ultimo album live si innesta proprio nel solco di questo pensiero.

 

Ed il risultato artistico non è, per così dire, a impatto zero: state infatti portando quelle canzoni, che hanno fatto storia, nel panorama contemporaneo. Che valore ha quest'operazione?

 

Si può fare una riflessione: in un mondo in cui la musica mainstream ha preso totalmente un'altra direzione rispetto a queste canzoni, penso che sia importante far vedere soprattutto ai giovani l'altra faccia della medaglia. Mi spiego: ritengo che la musica sia anche, e soprattutto, impegno civile e sociale, ma anche politico. Questo nell'ottica di tentare di scuotere gli animi delle persone: è questa la vera forza dell'arte che, negli anni, purtroppo è stata svilita. Tendenzialmente la musica oggi, almeno quella più ascoltata, è una mera merce di consumo "usa e getta" e quindi è importante preservare un certo genere che spinge alla riflessione: se un giovane, oggi, è spinto a porsi delle domande o a pensare attraverso una canzone io ne sono felicissimo, anche perché è quello che è successo al tempo a me e che mi ha reso, posso dire, un uomo libero.

 

E il tema dell'impegno civile, ma anche politico, per lei e per i Modena City Ramblers è sempre stato cardinale.

 

Assolutamente, ma voglio fare una puntualizzazione: cantare le proprie idee e le proprie opinioni sulla società, sui rapporti umani, e in generale su quello che ci circonda non equivale a fare politica: l'impegno civile, che come ho detto ritengo essere un cosa fondamentale, non deve essere assolutamente confuso con quello partitico. Un esempio? Se canto "Bella Ciao" non mi sto schierando politicamente, ma canto semplicemente una brano che dovrebbe essere il simbolo di un Paese liberato dal nazifascismo: la canzone, quindi, può essere rifiutata solo da qualcuno legato al pensiero fascista. La resistenza, tema che abbiamo cantato, non è un fenomeno di sinistra o di partito, ma purtroppo si è verificata negli anni una strumentalizzazione della musica: sia da parte di chi se ne appropria, con noi è successo e questo mi ha sempre dato molto fastidio, che da parte di chi la respinge e la addita come "politica" senza approfondire il messaggio. La faccio sorridere: nelle mie canzoni ho sempre "bacchettato" di più la sinistra che la destra, però non c'è mai stata grande attenzione nel comprenderlo.

 

Rimanendo in tema, nel vostro primo disco spicca "Quarant'anni", in cui si mettevano alla berlina i "mali peggiori" della Prima Repubblica: dalle stragi di mafia alla corruzione politica, fino al terrorismo. Se dovesse riscriverla ora, verso cosa punterebbe il dito?

 

Purtroppo devo dire che la canzone non è invecchiata ed è ancora attualissima: quei "mali" che ho cantato pensando a quel periodo esistono ancora, più nascosti ma sempre presenti. Se dovessi aggiungere una strofa la dedicherei ad un fenomeno che si è aggravato: la rivendicazione, sempre più diffusa, di un pensiero affine ad un movimento illiberale come è stato il fascismo. Mi spiego: trent'anni fa, quando ho scritto il pezzo, non sentivo persone vantarsi di tali idee, mentre oggi questo accade e incredibilmente anche a livello politico. Aggiungerei versi critici nei confronti di questo revisionismo, che galoppa sull'onda di quelli che definisco a tutti gli effetti dei disvalori.

 

E continuando a correre sul filo di questi trent'anni, la dimensione del viaggio ha rappresentato per lei e per il gruppo un valore assoluto.

 

Assolutamente sì, è stato uno degli elementi fondamentali della vita e del mio lavoro: questo perché permette di allargare il proprio sguardo e di comprendere e vivere quello che accade fuori dalle nostre "quattro mura". Penso da sempre che viaggiare sia un elemento fondamentale per aprire la mente, e per me è stato proprio così.

 

E poi il fulmine a ciel sereno: l'amore per l'Irlanda, che svetta nella canzone In un giorno di pioggia. Cosa ha rappresentato, e cosa rappresenta, per lei questa terra?

 

L'Irlanda è l'esempio chiaro di quello che ho appena detto: è un Paese che, prima ancora di ispirare le canzoni, ha cambiato me come persona e la mia vita: incontrarlo è stata una fortuna incredibile. Pensando all'Irlanda di oggi, non so però se accadrebbe la stessa cosa: alla fine degli anni Ottanta era un Paese tra i più "poveri" d'Europa,  principalmente rurale e caratterizzato da rapporti umani semplici e genuini, mentre ora è addirittura la sede fiscale delle più grandi compagnie mondiali e ha cambiato totalmente i suoi tratti. La mia speranza, ora che la conosco ma la frequento meno, è che tutto questo non abbia cancellato totalmente i tratti che ho tanto amato. Una cosa è certa, questi rimarranno per sempre nelle nostre canzoni.

 

Pensando a tutti questi anni sospesi tra viaggi, musica e parole, c'è un ricordo o un avvenimento che si porta dentro più di altri?

 
Me lo sono chiesto spesso negli ultimi tempi, soprattutto perché lavorando a questi ultimi progetti sono stato spinto a ripercorrere ciò che è stato. La cosa più importante che mi porto dentro è il fatto che allora, con i Modena City Ramblers, abbiamo letteralmente scardinato alcuni punti saldi del music business. Penso ad esempio ai tanti, lunghi viaggi: dal deserto del Sahara, dove abbiamo suonato e incontrato i bambini nelle tendopoli, ai periodi in Chapas e in Bolivia, ricordo ad esempio che in un festival a cui abbiamo partecipato eravamo gli unici europei. Siamo riusciti a fare delle cose che altri non sono riusciti a fare, o meglio solo in minima parte: ci siamo messi a disposizione di chi aveva più bisogno, portando spesso, oltra alla musica, anche aiuti umanitari. Questo ci ha caratterizzato e in quel momento ho visto l'espressione massima di quello che la band doveva rappresentare.
 

Aprendo il capitolo delle curiosità "personali", oltre alla musica lei ha una grande passione per il calcio: carpigiano di nascita, lei è però un grande tifoso del Bologna, amore che ha raccontato nella canzone "Pioggia e sole". Come nasce?

 

Prima della musica, quando ero bambino, c'era il pallone. Se allora mi avessero chiesto cosa volevo fare da grande, avrei risposto "il calciatore" o meglio "il calciatore del Bologna". Questo amore nasce grazie a mio padre, che era un grande tifoso, e posso dire che questa passione è la cosa più grande che mi ha lasciato. Un giorno, avevo circa sei anni, mi portò a vedere una partita in curva: da quel momento sono entrato in un mondo magico, ed il mio sangue è da sempre a tinte rossoblù. Quest'anno mi sono tolto anche la soddisfazione di vedere la mia squadra in Champions League: l'ho seguita contro il Liverpool ad Anfield ma anche al Villa Park di Birmingham contro l'Aston Villa, e vado a tutte le partite al Dall'Ara. È un modo anche pe ricordare mio padre, che ora non c'è più. Le emozioni sono sempre grandi e, in tutta confidenza, sono uno di quei tifosi assurdi che, pur nella consapevolezza che non accadrà, penso sempre di riuscire a vincere lo scudetto, un po' come i bambini (ride, ndr).

 

E poi c'è il Boss, Bruce Springsteen: ha reinterpretato in italiano la canzone "The Ghost of Tom Joad", regalando ai suoi ascoltatori una vera perla.

 

Springsteen ha rappresentato per me un riferimento importante, anche se sono legato in modo particolare solo ad alcun suoi dischi: oltre ai capolavori, amo molto l'album Nebraska, che mi ha emozionato tantissimo così come la canzone che ho scelto di reinterpretare. Avevo da tempo in mente quest'idea, e poi è accaduto anche grazie all'amico Luca Taddia che ha iniziato ad adattare il testo: ci abbiamo lavorato e ne è uscito un pezzo che amo tantissimo, e che mi emoziona come se l'avessi scritta io. Le confido una cosa: ho sempre la speranza (sorride, ndr) che possa arrivare alle orecchie del "Boss", e magari di trovare un giorno una mail in cui lui mi dice cosa ne pensa.

 

Prima di salutarla, un'ultima battuta: abbiamo parlato tanto di passato, cosa ci dobbiamo aspettare da Cisco in futuro?

 

Guardi, al momento mi sto godendo questo disco e questo tour, che durerà probabilmente tutto l'anno: porterò con me tutti quelli che vorranno accompagnarci in questo viaggio bellissimo e sono convinto che, nel mentre, arriveranno sicuramente nuove idee che magari prenderanno forma. Per scrivere cose nuove devo però sentirne il bisogno, come è sempre stato, raccontando, come si dice, le cose giuste al momento giusto.

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