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E se l'automazione rendesse superfluo il paradigma veterotestamentario che il lavoro è sacrificio e fatica?

L'evoluzione esponenziale significa che non ci sarà il tempo di formare nuovamente chi avrà perso il lavoro, perché il livello di specializzazione superiore sarà presto coperto da robot e intelligenze artificiali più sofisticate. È un problema? Per molti lo è. Per me è la più ghiotta occasione capitata agli esseri umani dal tempo della scoperta dell'America
DAL BLOG
Di Stefano Fait - 13 settembre 2017

Anticipatore sociale, analista di macrotendenze consulente strategico

In pochissimi anni siamo arrivati a disporre (o a pensare di poter realisticamente disporne a breve) di robot che puliscono la casa, auto che si guidano da sole, droni autonomi, casse e caselli automatizzati, interi negozi e ostelli automatizzati, depositi bibliotecari automatizzati, consulenti legali, magazzinieri e spedizionieri robotizzati, ecc. Grazie ai computer quantistici e alle nanotecnologie è probabile che l'evoluzione sarà esponenziale. L'errore da non commettere, quando si analizza un sistema complesso come una società umana è quello di pensare di poter cambiare una variabile chiave e analizzarne gli effetti in un contesto che resta grosso modo lo stesso, magari con degli aggiustamenti lineari (del tipo: sempre più o sempre meglio di quel che già c'è).

 

Se modifichi un elemento strutturale, tutti gli altri si altereranno con esso e il sistema non sarà più lo stesso. Così per l'automazione di massa – cioè a dire quando le macchine producono il cibo e l'energia che ci servono, recuperano le materie prime al di fuori del pianeta, preservando così il nostro ecosistema, e si fanno carico della logistica e dei trasporti: significa una radicale revisione delle nozioni di "lavoro salariato", "disoccupazione", "denaro", "tassazione", "previdenza sociale", "sindacato", "tempo libero", ecc. Quasi nulla, del nostro mondo come lo conosciamo, potrà restare intatto.

 

Inoltre evoluzione esponenziale significa che non ci sarà il tempo di formare nuovamente chi avrà perso il lavoro, perché il livello di specializzazione superiore sarà presto coperto da robot e intelligenze artificiali più sofisticate. È un problema?

Per molti lo è. Per me è la più ghiotta occasione capitata agli esseri umani dal tempo della scoperta dell'America. Quella lì l'abbiamo sprecata, spazzando via intere civiltà alternative alla nostra senza imparare praticamente nulla da loro.

Questa volta forse andrà meglio.

 

Pochi giorni fa il New York Times riportava la notizia che Amazon ha puntato molto sulla robotica e i suoi lavoratori hanno trovato nuovi ruoli. L'azienda, al centro di una serie di scandali legati allo sfruttamento dei lavoratori e con margini di profitto risicati (ha registrato trimestri di profitto solo una mezza dozzina di volte in 20 anni di attività), ha voluto che le macchine eseguissero le mansioni più monotone, lasciando che le persone potessero fare lavori che li impegnassero mentalmente.

 

Amazon non è un'organizzazione filantropica. La vera ragione è quasi certamente la necessità di tagliar il costo del lavoro ed aumentare la produttività. Ma la ragione addotta sarebbe quella giusta. Ci stiamo avviando all'abolizione del lavoro come è stato inteso dalla Genesi in poi: "Mi hai mancato di rispetto e adesso ti dovrai spaccare la schiena per guadagnarti da vivere". Ed è una cosa fantastica. A quattro millenni e più dalla stesura di quei testi dobbiamo finalmente emanciparci dalla logica del peccato originale. Di fatto la maggior parte di noi non crede realmente che una persona che non lavora duramente abbia il medesimo diritto di esistere di un lavoratore indefesso. Più ti dai da fare, sacrificandoti e patendo, più giustifichi la tua esistenza.

 

Si dice, appunto: "guadagnarsi da vivere". Se non ti guadagni da vivere non sei degno di vivere. Un paradigma sorto con la diffusione dell'agricoltura ai danni della caccia e della pastorizia e che ha sempre messo a rischio le esistenze di malati, disabili fisici e cognitivi, anziani, infanti, madri single, disoccupati cronici, senzatetto, nomadi e di tutti gli animali che non sapevano più rendersi utili. Come reagirebbero le persone in una società in cui l'automazione rendesse superfluo questo paradigma veterotestamentario e da "etica protestante e spirito del capitalismo"?

 

Come reagirebbero se qualcuno cercasse di spiegare che la disoccupazione non è una patologia, ma la condizione naturale di qualsiasi società tecnologicamente, culturalmente e spiritualmente avanzata? Come reagirebbero se si predicasse l'avvento di una nuova schiavitù che permetta a tutti gli esseri umani di vivere da uomini e donne libere, nei fatti e non a parole? Lavastoviglie, lavatrice, robot da cucina, robot per pulire i pavimenti: non sono tutti nostri schiavi? Si sono forse mai lamentati? Introdurremo una nuova forma di schiavitù - la schiavitù robotica - una schiavitù che non produrrà risentimento perché, a differenza degli esseri umani, le macchine saranno costruite fin dall'inizio a quello scopo. Un frullatore non si amareggia o ribella se lo si usa solo per frullare.

 

Al contrario, quante persone sfruttate da mattina a sera sono riuscite a dare un contributo decisivo al benessere umano, nell'arte, nella scienza, nella tecnologia, nella filosofia, ecc.? E quanti talenti, invece, hanno potuto esprimersi pienamente perché dei mecenati o degli schiavi concedevano loro il "privilegio" di concentrarsi su quel che sapevano fare meglio, senza troppe ansie e affanni? È più umano sprecare il nostro tempo e le nostre menti in attività sgradevoli, vessatorie, malsane, precarie, con paghe da fame, oppure affidare il tutto alle macchine e poi pensare a come ridistribuire equamente i proventi? Se dovessimo spezzare il paradigma del lavoro salariato e dei suoi adempimenti, si potrebbe scoprire che la gratificazione non derivava dall'impiego in sé, ma dalle sue componenti: creatività, industriosità, collaborazione, condivisione, socializzazione, giocosità, programmazione e successo.

 

Tutto questo può continuare in altre forme, senza l'assillo di doversi guadagnare il diritto ad esistere, che dovrebbe essere il più basilare di tutti i diritti fondamentali. Ognuno deve iniziare a pensare a queste possibilità future, perché il modo in cui ci prepariamo e istruiamo le future generazioni a gestire questo tipo di trasformazioni epocali – incluso il passaggio dalla dignità del lavoro alla dignità della creazione -, influirà notevolmente sul destino della nostra civiltà e della nostra specie. Per esempio una tassazione della robotica servirebbe a frenare la campagna globale di emancipazione dell'umanità dal lavoro involontario, ossia da una condizione semi-servile. Allontanerebbe anche il giorno in cui l'abbattimento del costo del lavoro e dei costi di produzione e distribuzione consentirebbe a tutti di vivere serenamente spendendo somme relativamente contenute per farlo.

 

Una volta che l'umanità adatterà la sua mentalità all'idea che non c'è più bisogno di conquistarsi il diritto di vivere – un'imposizione normalmente riservata a servi e schiavi e non a persone libere – potremo finalmente occuparci di evoluzione e maturazione personale e collettiva della nostra specie.

 

Mercoledì 13 settembre, a Povo, presso la Sala Nichelatti, Centro Civico di Povo, via Dallafior, 5 alle 20:45, il PD organizza una serata dibattito sul tema Industria 4.0, lavoro e robot, dal titolo: "I robot ci liberano dal lavoro o ce lo rubano"?

Interverranno ALESSANDRO OLIVI assessore Sviluppo economico e lavoro PAT, PAOLO TRAVERSO direttore centro ICT di FBK, FRANCO IANESELLI segretario generale CGIL, ALFREDO MAGLIONE imprenditore, fondatore e presidente OPTOI GROUP.

 

L'introduzione sarà affidata ad ALESSANDRO DAL RI' segretario Pd Marzola e chi scrive svolgerà il suolo di moderatore e coordinatore, cioè a dire non potrà dire la sua, ma si limiterà a porre delle domande e gestire quelle del pubblico.

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