Non solo ripresa, ma anche Next Generation


Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento
Di Andrea Fracasso, professore di politica economica presso la Scuola di Studi Internazionali e il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento.
A livello macroeconomico la Banca Centrale Europea dovrà gradualmente iniziare a ritirare parte delle misure espansive poste in essere per affrontare la pandemia. Anche se la Banca non ricorrerà a breve ad aumenti dei tassi di interesse, la riduzione negli acquisti dei titoli di Stato dei Paesi dell’area euro spingerà al rialzo i rendimenti, in particolarmente quelli della cosiddetta periferia d’Europa.
Anche sul piano della politica di bilancio vi saranno dei cambiamenti. Anche se si inizierà presto a beneficiare del dispiegamento delle risorse rese disponibili dal fondo NextGenerationEU, l’Unione europea inizierà a definire le nuove regole per garantire la stabilità economico-finanziaria dei singoli Paesi e dell’insieme dell’area euro. In questo cammino di normalizzazione, le politiche di bilancio dei vari Stati dovranno farsi via via meno espansive. Non ci sarà un ritorno all’austerità, certamente, ma comunque sarà crescente la prudenza nelle politiche di bilancio. Un percorso di aggiustamento che si scontrerà con i perduranti costi generati dalla lotta alla pandemia, dalla crisi energetica, oltre che dal possibile emergere di spese legate alle garanzie statali offerte a copertura del deterioramento dei crediti bancari alle imprese.
Inoltre, secondo il programma di lavoro dell’Unione europea, una sempre crescente attenzione verrà destinata dalle autorità al contenimento delle disuguaglianze e alla riduzione del fenomeno dei cosiddetti lavoratori poveri. E probabile che questo, unitamente a una negoziazione salariale volta a recuperare la perdita di potere di acquisto generata dall’elevata inflazione osservata in questi mesi, spingerà in alto il costo del lavoro. Aumenti salariali che potrebbero essere ancora maggiori se continuasse al contempo quella ridotta partecipazione al lavoro della popolazione che si è registrata in questi mesi in molti Paesi occidentali.
In Germania, intanto, l’accordo di coalizione per la costituzione del nuovo governo ha aggiunto informazioni utili a delineare il quadro economico cui i Paesi, i cittadini e le imprese dell’Unione si troveranno a operare. Allineandosi a un auspicio che la Commissione europea ha espresso in materia di politiche sociali, la coalizione gialloverde tedesca ha manifestato l’intenzione di aumentare il salario minimo orario da circa 9 euro a 12 euro. Una misura di questo genere renderà probabilmente più forte la pressione che la Germania eserciterà per l’adozione di simili misure (mutatis mutandis) anche in altri Paesi. E’ infatti probabile che la Germania, già impegnata ad affrontare l’epocale cambiamento del tessuto produttivo dovuto alla transizione verde, possa fare pressioni sui partner/competitor europei per scongiurare forme di dumping salariale all’interno dell’Ue.
Le forze che potrebbero spingere al rialzo i salari sono solo uno dei fattori che stanno alimentando e alimenteranno la crescita dei costi sostenuti dalle imprese italiane. Si pensi al probabile aumento del costo per i finanziamenti quando i differenziali di rendimento si riapriranno, ai prezzi delle materie prime e dell’energia più elevati che in passato, ai costi per l’adeguamento della produzione alle transizioni digitale e verde, alle maggiori spese per la rivisitazione dei rapporti internazionali di fornitura dopo la recente crisi delle catene globali del valore. Un contesto di costi crescenti di questo tipo potrebbe generare spirali inflative, da un lato, o perdite di potere di acquisto delle famiglie, dall’altro. Uno scenario negativo che non è affatto scontato, ma la cui probabilità di realizzazione cresce nel tempo.
A fronte di queste difficoltà, il quadro economico italiano pare comunque foriero di grandi opportunità connesse alle transizioni verde e digitale, all’adozione diffusa di forme di lavoro flessibili e tutelate, alla ridefinizione delle grandi catene mondiali di produzione (trasformazione che potrebbe premiare la qualità e l’affidabilità delle imprese italiane, piuttosto che i bassi prezzi dei concorrenti in altri Paesi), al rafforzamento dell’autonomia europea in molti settori e tecnologie strategici, e ovviamente al dispiegarsi di investimenti e spese sostenute dai fondi che l’Ue ha stanziato per affrontare la crisi pandemica.
L’Italia si trova quindi dinnanzi a una via stretta che richiede di mettere a frutto in modo rapido ed efficiente i grandi trasferimenti e prestiti ricevuti tramite il NextGenerationEU. Soltanto un’accresciuta capacità di produrre valore e di distribuirlo in modo equo può, innescando una dinamica positiva di innovazione tecnologica e di rinnovamento delle competenze, consentire al Paese di superare le sfide future e le difficoltà congiunturali di cui si è detto in precedenza.
Realizzare parzialmente o malamente il Piano nazionale di ripresa e resilienza non sarebbe soltanto sprecare un’occasione epocale, ma avrebbe conseguenze molto più gravi. Significherebbe non creare le premesse per sostenere una transizione economica e sociale che si prospetta costosa e complessa, a fronte dell’eredità pesante di un alto debito pubblico e di un sistema economico internazionale in profonda trasformazione. Un processo di cambiamento piuttosto delicato in un Paese dove ancora si registra una limitata partecipazione al lavoro, il persistere di forti divari territoriali e il perdurare di numerosi problemi strutturali, tra i quali la difficoltà ad adeguare le competenze della popolazione alle sfide sociali e tecnologiche del futuro.
Se la risposta europea alla crisi del coronavirus è stata caratterizzata da una notevole generosità nei confronti del nostro Paese, con un’apertura di credito che derivava anche dalla comprensione di come fosse necessario dotare l’Italia degli strumenti finanziari e tecnici per permetterle di conseguire un deciso progresso, in futuro le cose potrebbero cambiare. Anche gli altri Paesi dell’UE si troveranno di fronte a sfide epocali, tra cui la non trascurabile tensione tra la necessità di fare grandi investimenti per la transizione verde e la necessità di ripristinare politiche di bilancio prudenti e sostenibili.
Contrariamente a quanto alcuni suggeriscono, quindi, questo non è il momento di “fare buche e riempirle” per sostenere lavoro e redditi. Questo è il momento di fare buche per piantare alberi e antenne, per insegnare/imparare a sviluppare e usare le nuove tecnologie, per assicurare una maggiore inclusione ed equità, e per migliorare la sostenibilità della nostra economia e della nostra società. Sistemi di welfare avanzati potranno essere sostenuti in futuro soltanto grazie a una più elevata produttività delle imprese e del lavoro, oltre che attraverso la creazione di sistemi avanzati per l’equa condivisione delle risorse e dei risultati ottenuti dalla trasformazione. Il NextGenerationEU, quindi, non rappresenta solo una fonte di finanziamento eccezionale e straordinaria, ma soprattutto la base per la realizzazione di un piano di riforme tanto ambizioso quanto necessario per il futuro del Paese. Come ha ricordato Edoardo Giudici, il Presidente Consiglio degli Studenti dell’Università di Trento in occasione dell’apertura del 60esimo anno accademico del nostro Ateneo, è necessario ricordare bene che il piano NextGenerationEU non guarda soltanto e principalmente all’oggi, ma soprattutto alla, persino alle, Next Generation. E molto del nostro e del loro futuro verrà deciso proprio in questi prossimi mesi.