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La scienza scritta: 'siti pirata' o riviste a pagamento, da che parte stare?

Nello scorso episodio abbiamo esaminato uno scontro di cui molti non conoscevano l’esistenza, quello tra università e giornalismo scientifico. Oggi è tempo di un altro difficile rapporto, quello tra journals e i 'siti pirata'. Viene spontaneo chiedersi: ma perché pagare delle riviste se possiamo avere lo stesso beneficio da altri siti in modo del tutto gratuito?
DAL BLOG
Di Open Wet Lab - 04 gennaio 2018

Siamo un'associazione di giovani studenti o ex-studenti, impegnati nella divulgazione scientifica. La wet biology è l'attività di ricerca che si fa in laboratorio e a noi piace mettere le mani in pasta

Nello scorso episodio, che potete leggere sempre qui sul nostro blog per il Dolomiti, abbiamo esaminato uno scontro di cui molti non conoscevano l’esistenza, quello tra università e giornalismo scientifico. Abbiamo anticipato dei concetti fondamentali come quello di journal, peer-review e open source, illustrando i meccanismi della stesura di un paper.

 

Oggi è tempo di un altro difficile rapporto, quello tra journals e i 'siti pirata'. La differenza fondamentale tra questi due metodi sta nel prezzo del servizio offerto, o meglio nel 'non-prezzo' dei secondi che permettono a chiunque di consultare i lavori dei ricercatori di tutto il mondo.

 

Viene dunque spontaneo chiedersi: ma perché dovremmo avere bisogno di pagare delle riviste se possiamo avere lo stesso beneficio da altri siti in modo del tutto gratuito?

 

Come prevede il metodo scientifico analizziamo per prima cosa i fatti. Il più famoso sito di Open Scientific Knowledge ('cultura scientifica aperta'), Sci-Hub, è stato fondato nel 2011 in Kazakistan da Alexandra Elbakyan, programmatrice informatica che durante lo sviluppo del proprio progetto di laurea si trovò a dover affrontare una necessità che accomuna tutti i ricercatori di qualunque campo: trovare fonti.

 

All’epoca erano presenti, come afferma lei stessa in un’intervista, circa 70 paper relativi all’argomento che stava trattando, ma erano tutti a pagamento e quindi a lei inaccessibili. Le si rese dunque necessario trovare un modo per aggirare tale ostacolo: prendendo spunto da un forum nel quale venivano condivisi articoli di giornale, pensò si potesse fare la medesima cosa con i paper.

 

Secondo gli ultimi dati rilasciati, del luglio 2017, i server di Sci-Hub contengono circa il 69% di tutti gli articoli scientifici mai pubblicati (circa 81 milione), con differenze da campo a campo e da journal a journal.

 

Un punto che appare poco chiaro è come si faccia ad ottenere tutti questi articoli, tenendo conto che una volta inseriti in una rivista si trovano protetti dal copyright, rendendo difficile l’avervi accesso.

 

Essendo la fondatrice di Sci-Hub un’informatica, tutti voi starete pensando che sia il lavoro dei soliti hacker (o meglio cracker considerando che gli hacker, come noi, amano mettere le 'mani in pasta' solamente per fini legali).

 

Parte degli articoli è stata effettivamente sottratta dagli archivi delle riviste a pagamento, ma tanti altri provengono da un’altra fonte: gli scrittori stessi. Il 57% degli scienziati infatti ha ammesso di aver reso disponibile gratuitamente i propri papers e la maggior parte di loro afferma di non preoccuparsi delle eventuali conseguenze della violazione del copyright, secondo quanto sostenuto da Ross Mounce, biologo evoluzionista all’università di Cambridge.

 

Questo potrebbe essere un duro colpo per i journals negli anni a venire e quindi, per avere una visione d’insieme più completa, vediamo cosa si andrebbe a perdere se  ciò accadesse.

 

Innanzitutto, come sottolineato nella precedente puntata de 'La scienza scritta', prima che il testo di una ricerca venga stampato in una rivista vengono attuati una serie di controlli su vari aspetti.

 

Infatti, se chiunque potesse pubblicare il proprio lavoro senza passare attraverso questi 'filtri' potremmo trovarci di fronte a paper inconsistenti, senza basi fondate, che traggono conclusioni non ben motivate o raggiunte mediante procedimenti poco accurati e che si distaccano dal metodo scientifico. Ciò è da evitare, essendo la qualità dei risultati importante quanto la loro accessibilità (se non di più).

 

Inoltre, per quanto questo aspetto passi spesso in secondo piano per via della sua difficile individuazione, la mancanza dei giornali impedirebbe di avere riscontri relativi a quanto impatto abbiano i vari articoli, e di conseguenza inficerebbe la possibilità di valutare l’importanza di un ricercatore o di un ente in base al proprio lavoro, come invece succede al momento.

 

Molti journals hanno capito l’importanza dell’open-source, ma questo deve essere regolamentato in modo corretto, come afferma anche Marcia McNutt di Science (uno dei giornali che pongono più attenzione a questo processo di cambiamento).

 

Alcune riviste, però, non si sono assolutamente rassegnate alla ribalta dei siti di pubblico accesso per papers, tanto da citarli in giudizio.

 

È il caso di Elsevier (di cui abbiamo abbondantemente parlato nel precedente articolo) che ha proceduto legalmente contro Sci-Hub, accusato di aver scaricato dal sito di Elsevier stessa milioni di articoli violando quindi il copyright.

 

Ciò ha portato nel 2015 ad un’immediata impossibilità di accesso a Sci-Hub su internet, anche se ciò non ha impedito alla creazione di Alexandra Elbakyan di ripresentarsi sfruttando un altro dominio. Nel novembre 2017, la corte degli Stati Uniti ha condannato il sito a risarcire la rivista di ben 15 milioni di dollari per violazione del copyright.

 

Avendo quindi soppesato le varie informazioni e fonti, possiamo ora prendere una posizione: sentirci più vicini al punto di vista dei journals, dando maggiore peso alla qualità della pubblicazione scientifica che un servizio a pagamento in buona misura garantisce, o piuttosto alla sua accessibilità e reperibilità, chiari punti di forza dei cosiddetti siti 'pirata' come Sci-Hub. 

 

(di Emanuele Cattani) 

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