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De Luca, i bambini farfalla e il mito della cura miracolosa

"Tu sei quell’uno su un milione e mezzo di nati vivi in Italia affetto da Epidermolisi Bullosa Giunzionale, detta JEB (Junctional Epidermolysis Bullosa), una malattia genetica rarissima e fatale, conosciuta ai più sotto il romantico pseudonimo di “malattia dei bambini farfalla"
DAL BLOG
Di Open Wet Lab - 23 novembre 2017

Siamo un'associazione di giovani studenti o ex-studenti, impegnati nella divulgazione scientifica. La wet biology è l'attività di ricerca che si fa in laboratorio e a noi piace mettere le mani in pasta

Ti svegli una mattina, nel tuo letto. Senti sul tuo corpo il peso delle coperte di flanella e sul viso il freddo della stanza. Alzi una mano per scostare una ciocca di capelli che ti stuzzica una palpebra, ma l’azione non segue il pensiero così agevolmente, anzi, i movimenti sono lenti, dolorosi, cauti, ormai abituati alla percezione della tua pelle tirata dai muscoli. Le fasce sono strette e non rendono il movimento più semplice. Scostando finalmente anche l’ultimo strato del lenzuolo puoi osservare il tuo corpo esile, stretto dalle bende, confondersi col biancore delle coperte e riconosci a colpo d’occhio le tue dita rosse e monche che tendono verso il viso.

 

Il dolore è capillare, costante e consueto. Con un ultimo sforzo alzi il braccio, scosti la ciocca di capelli e punti i pugni contro il materasso per alzarti, mentre i passi familiari si avvicinano per cominciare, anche oggi, la routine. Tu sei quell’uno su un milione e mezzo di nati vivi in Italia affetto da Epidermolisi Bullosa Giunzionale, detta JEB (Junctional Epidermolysis Bullosa), una malattia genetica rarissima e fatale, conosciuta ai più sotto il romantico pseudonimo di “malattia dei bambini farfalla”.

 

Ogni giorno, nel momento in cui ti svegli, sai che dovrai mutare le bende che proteggono il tuo corpo dall’attrito del mondo esterno, da tutte quelle innocenti occasioni di contatto che nel tuo caso provocano lo sfaldamento dell’epidermide, lo strato più sottile ed esterno della cute, per lasciare la carne viva e cruda esposta, in balia degli elementi e dei microbi. Siccome è più facile e meno doloroso togliere le bende quando queste sono bagnate, dovrai immergerti ogni mattina nell’acqua calda, mentre la persona che si occupa di te, presumibilmente tua madre o tuo padre, sfila delicatamente le bende e, purtroppo, anche parte della tua pelle. La TV sarà accesa, così da distrarti, mentre ti concentri per non lasciarti andare agli spasmi. Una volta liberato dalla tua protezione, ti saranno applicate nuove bende, non senza dolore. Così vestito della tua nuova armatura bianca potrai indossare scarpe ortopediche e abiti morbidi, senza bottoni, senza punti di pressione, che non siano stretti e possibilmente di cotone o seta.

 

A colazione assumerai gli antibiotici per proteggerti dalle infezioni e starai attento a deglutire, poiché anche masticare e ingerire sono due azioni che possono aprire squarci nella tua bocca o nella tua gola. Questo è solo l’inizio di un’estenuante quotidianità che ti accompagnerà per il resto della tua vita, perché non esiste cura per la JEB e il 40% dei pazienti muore prima di raggiungere l’adolescenza. I trattamenti disponibili sono sintomatici e possono solo cercare di tamponare le tue sofferenze. Almeno fino ad oggi.

 

La prestigiosa rivista Nature ha dedicato la copertina della scorsa settimana (16 Novembre 2017) alla strabiliante terapia combinata che è stata messa in atto per ricostruire l’epidermide di Hassan, bambino siriano di 9 anni, affetto da JEB in seguito ad una mutazione congenita nel gene LAMB3, codificante per la proteina laminina-332. Mutazioni che causano la perdita totale di laminina-332 non sono compatibili con la vita, mentre nei casi non letali la proteina è drasticamente ridotta, ma ancora presente. La riduzione nella quantità di laminina disponibile provoca svariati difetti strutturali nelle cellule, causando la perdita di strutture definite “desmosomi”, che permettono alle cellule del derma e dell’epidermide di rimanere ancorate le une alle altre. Per tali ragioni, la pelle dei pazienti affetti da JEB tende a sfaldarsi in seguito a un qualsiasi insulto meccanico.

 

A fine 2015, Hassan era ormai in fin di vita per via di un’infezione batterica da S. aureus e P. aeruginosa che aveva degradato circa 80% dei suoi tessuti cutanei. Siccome la sofferenza era divenuta insopportabile, Hassan fu ricoverato in coma farmacologico all’ospedale di Bochum, in Germania, dove lui e la sua famiglia sono stati accolti come rifugiati di guerra. Nonostante questa storia si svolga nella Ruhr tedesca, l’impresa affonda le sue origini ed estende i propri sviluppi in Italia, a Modena, dove il gruppo di ricerca guidato da Michele De Luca ha sviluppato per anni tecniche per coltivare in laboratorio cellule staminali estratte da ustionati gravi o pazienti affetti da malattie genetiche e utilizzarle in modo tale da costituire letteralmente “una nuova pelle”.

 

Già nel 2002 De Luca e il suo team avevano registrato presso l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) il protocollo del loro primo studio clinico per la cura della JEB e nel 2006 erano stati pubblicati i primi risultati positivi, dati dall’applicazione di piccoli quadrati di cute sana generata a partire da biopsie dei pazienti. Spinti dalla disperazione e attirati da tali risultati, i pediatri di Hassan si rivolsero a De Luca per estendere al loro paziente la terapia ancora in fase sperimentale. Le autorità tedesche approvarono in tempi record la cura e nel Settembre 2015 una biopsia di 4-cm3 della cute di Hassan fu spedita a Modena. A partire da questo tessuto, i ricercatori italiani stabilirono una coltura di cheratinociti primari, successivamente modificata con un vettore retrovirale per esprimere una copia funzionante del gene mutato LAMB3, ed espansa così da ottenere nei mesi successivi fino a 0.85 m2 di epidermide transgenica, un’area sufficiente per coprire la superficie del corpo di Hassan nel corso di tre trapianti. Dopo 21 mesi di cure e controlli per l’insorgere di eventuali effetti avversi, l’esito è evidente a tutti: Hassan è guarito e la sua epidermide è ora ancorata strettamente al derma, anche quando sottoposta a stress meccanico.

 

Non solo: i dati raccolti durante tale trattamento hanno portato alla scoperta di alcuni dei meccanismi biologici sottesi alla rigenerazione della cute umana. Infatti, la pelle è uno dei tessuti a più alto tasso di rigenerazione. Ogni mese circa, le cellule epiteliali vengono rinnovate negli strati più profondi dell’epidermide e lo strato più superficiale, che costituisce la prima barriera di difesa rispetto al mondo esterno, viene semplicemente perso. Ciò è reso possibile da una popolazione residente di cellule staminali epiteliali, che genera colonie di cellule dette olocloni, ovvero cellule staminali adulte, le quali a loro volta formano altre colonie (merocloni e paracloni) capaci di proliferare rapidamente, ma dalla vita ridotta. I dati raccolti mostrano proprio come la rigenerazione dell’epidermide sia sostenuta esclusivamente da olocloni permanenti e come merocloni e paracloni siano persi dopo pochi mesi dal trapianto e contribuiscano alla rigenerazione della cute per brevi periodi.

 

Tutto ciò accade nel periodo 2015-2017, nonostante i primi risultati positivi fossero già stati pubblicati nel 2006. Qual è la causa di un tale ritardo? In un’intervista a Nature del 2015, la biologa Graziella Pellegrini esponeva il lavoro svolto per produrre Holoclar, terapia basata sull’uso di cellule staminali per curare la cecità dovuta a ustioni agli occhi. La prima terapia commerciale al mondo basata su cellule staminali, oltre a quelle estratte dal midollo osseo e dal cordone ombelicale. Pellegrini è collega di De Luca sin dagli anni ’90 e insieme hanno fondato nel 2007 Holostem, una compagnia nata dalle loro ricerche e dal sostegno della compagnia farmaceutica Chiesi Farmaceutici, compagnia che ha anche sostenuto parte dei costi per lo sviluppo della terapia di Hassan, insieme al Centro di Medicina Rigenerativa Stefano Ferrari dell’Università di Modena e alla Regione Emilia Romagna. In seguito all’introduzione di regole più stringenti da parte dell’Unione Europea nel 2007, Holostem spese vari anni per sviluppare un impianto di protocolli adatto a rispondere alle richieste delle Norme di Buona Fabbricazione (Good Manufacturing Practice, GMP), le stesse buone prassi che ci difendono da truffe quali quelle perpetrate da Stamina.

 

La vita è davvero originale, se consideriamo il fatto che due delle più rivoluzionarie terapie geniche che abbiano mai raggiunto la clinica, vale a dire il citato trattamento di Holostem e la terapia genica ideata all’Istituto San Raffaele di Milano per la cura di una rara immunodeficienza, siano state sviluppate in Italia, dove per anni abbiamo subito i soprusi scaturiti dall’ignoranza riguardo al caso Stamina.  Forse anche beffarda per permettere una tale dicotomia tra finzione e realtà, tra vacuità ed efficacia. Proprio De Luca, che è anche Co-Presidente dell’Associazione Luca Coscioni dal 2013, fu insignito del Public Service Award insieme a Elena Cattaneo e a Paolo Bianco da parte dell’International Society for Stem Cell Research per la battaglia combattuta a favore della libertà di ricerca scientifica e per un metodo di ricerca rigoroso, in opposizione proprio alla truffa del metodo Stamina.

 

Che cosa ci suggerisce questa intera vicenda? Permettete all’autrice di questo articolo di fare un passo avanti e uscire allo scoperto per assumersi la responsabilità della prima persona. Lasciatemi dire che questa storia ci insegna che non esiste alcuna cura miracolosa. A nessuna famiglia è stata offerto il miracolo, lucrando sui loro dolori, promettendo una soluzione semplice e naïve a un problema complesso e grave. Guarire non è facile e chi dice il contrario mente. Quello che è stato compiuto è stato possibile solo grazie a lunghi anni di lavoro, sia del team di Modena sia degli innumerevoli gruppi di ricerca che in tutto il mondo si sono spesi per una cura. E’ stato possibile remando contro la burocrazia, l’assenza di fondi, la necessità di adeguato supporto logistico, la nebulosità delle leggi, l’incomprensione e l’ingerenza politica. Nonostante tutto ciò Hassan è uscito dal coma per vivere una vita normale e la speranza per migliaia di altri bambini è tangibile, finalmente. C’è speranza anche per tutti quei pazienti affetti da altre malattie rare, che a dirla tutta, tanto rare non sono se consideriamo che in Italia i malati rari sono 2 milioni, di cui il 70% è costituito da bambini. Questo primo successo è stato partorito dopo un lungo travaglio e può essere l’inizio di un nuovo modo di guardare alla Medicina Rigenerativa, soprattutto in Italia. E’ un successo vero, tangibile, verificabile. E’ molto di più di una cura miracolosa, come quella millantata da tanti truffatori. E’ una terapia che ci porta fuori dal mito della via facile e dal vocabolario immaginifico che definiva Hassan “un bambino farfalla” per porci di fronte ad una possibilità concreta: Hassan, ora, è un bambino guarito.

 

(di Lucrezia Ferme)

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