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2022, l'annus horribilis della montagna: dalla siccità al dramma della Marmolada, dall'agonia dei ghiacciai al turismo sempre più spinto dobbiamo cambiare rotta

DAL BLOG
Di Ci sarà un bel clima - 03 gennaio 2023

Per creare un coinvolgimento più ampio e inclusivo attorno alla causa climatica ed ecologica

di Michele Argenta

 

Arrivati al 2023, possiamo tirare le somme dell’anno appena passato, annus horribilis per le montagne alle prese con siccità, temperature ben oltre la media, ghiacciai sempre più in agonia così come la pressione antropica. Nel 2022 le Alpi hanno però guadagnato anche un attento guardiano. Si tratta del Gigiàt, figura mitologica della Val Masino, che da qualche mese oltre che tra le vette, vive anche su Instagram (@occhio_del_gigiat), dove attraverso il suo occhio vigile documenta le innaturali trasformazioni causate dai cambiamenti climatici e dall’uomo. Proprio attraverso il suo sguardo possiamo mettere insieme i tasselli di quanto è successo tra i rilievi (e non solo) negli ultimi 12 mesi.

La montagna è infatti il “canarino nella miniera” della crisi climatica che sta accelerando a livello globale. Analizzando cosa succede in vetta possiamo capire cosa succede a valle.

 

Il 2022 si è aperto con una siccità storica, iniziata a fine estate 2021. I laghi alpini (tra cui i bacini maggiori come il lago di Livigno, di Montespluga, di Santa Croce o quelli minori distribuiti su tutto l’arco alpino) sono rimasti a secco per tutta la primavera e l’estate, creando notevoli problemi sia in quota che in pianura. Alcuni rifugi (come il Mulaz o il Gardetta) sono stati costretti a chiudere poco dopo l’apertura estiva proprio per mancanza d’acqua, mentre in alcune località piemontesi si sono viste le prime autobotti di acqua potabile.

 

Altri protagonisti poco fortunati di quest’estate tremenda sono stati i ghiacciai. Oltre al crollo e la tragedia della Marmolada a inizio luglio, abbiamo visto il Fellaria fondersi a ritmi mai visti prima e i molti tra quelli svizzeri perdere anche 6 metri di spessore in una stagione. In questo contesto lo sci estivo non ha voluto fermarsi. Sullo Stelvio si è sciato prima sull’acqua di fusione poi sulla neve artificiale con uno zero termico che ad agosto è stato ben sopra la quota delle piste; a Cervinia si è sciato sul ghiacciaio spianato dalle ruspe per la Coppa del Mondo.

 

Luglio e agosto sono stati i mesi in assoluto più caldi. Il 24 luglio lo zero termico ha superato i 5000 metri, il Cervino è apparso irriconoscibile: una piramide di pietra circondata dalla foschia tipica dell’alta pressione. Nonostante questo sono continuati i lavori per l’ammodernamento degli impianti sciistici sia di media che di alta montagna. I primi sono i piccoli impianti a bassa quota (come Teglio, il Monte San Primo, i Piani di Bobbio) il cui destino climatico è segnato ma rimane inascoltato dalla politica locale e dagli imprenditori. I secondi sono invece i grandi impianti ad alta quota (Cortina, il collegamento Cervinia-Zermatt, lo Stevio) dove l’impatto del turismo è forte e visibile, ma il cui futuro resta in ogni caso incerto. A settembre un nuovo report del WMO (Organizzazione Metereologica Mondiale) riporta un focus sulla zona dolomitica e annuncia che nel 2036 non sarà possibile sciare se non su neve bagnata. Le reazioni dell’imprenditoria locale sono al limite del negazionismo climatico.

 

I valori sopra la media e le scarse precipitazioni sono continuate anche in autunno. Ciononostante alcune località hanno comunque deciso di puntare sull’apertura anticipata degli impianti, come Livigno e Riale con lo snowfarming e Cervinia con la coppa del mondo poi annullata per le cattive condizioni del tratto finale della pista. La neve è finalmente arrivata durante la prima settimana di dicembre, ma troppo poca per resistere allo scioglimento dovuto all’alta pressione. A molti non è rimasto altro che consolarsi con lunghe file in auto per fotografare le location più instagrammabili delle Alpi (come il lago di Carezza) o continuare a sciare su tristi lingue di neve artificiale.

 

Per il 2023 ci auguriamo moltissimi cambiamenti (che non vengano portati via con l’Epifania). La riconversione degli impianti di bassa quota (e lo stop dei finanziamenti con fondi pubblici), una gestione idrica attenta già a partire dai primi mesi dell’anno che coinvolga tutti i settori dello stato, un modello turistico slegato dall'industria della neve e spalmato su tutto l’anno con proposte di turismo lento e decarbonizzato. E ancora: un’attenzione alla biodiversità alpina (in drastico calo come tutta quella globale) e l’utilizzo della montagna non solo come parco giochi del cittadino ma con una valorizzazione del territorio e della cultura locale. C’è molto lavoro da fare, ma il Gigiàt non si perde d’animo e noi con lui.

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