"La poesia? Insegue la vita", Toni Servillo a il Dolomiti presenta 'Tre modi per non morire': "Il teatro è confronto, come dovrebbe essere la democrazia"
Toni Servillo sarà protagonista a Bolzano con lo spettacolo "Tre modi per non morire", un viaggio sospeso tra Baudelaire, Dante e i classici greci: "Esperienze apicali che testimoniano al pubblico di oggi come, attraverso l’immaginazione e una mente aperta, si possa allontanare il rischio di una morte in vita”

BOLZANO. "I grandi classici diventano nostri solo se ci la sciamo incantare e afferrare da loro come da uno specchio magico". Non ha dubbi Toni Servillo che, nell'intervista a il Dolomiti, presenta lo spettacolo "Tre modi per non morire" che lo vedrà protagonista da stasera (4/12) a domenica al Teatro Comunale di Bolzano (info e biglietti).
Quattro David di Donatello, cinque Nastri d'Argento, due European Film Awards: non servono presentazioni per uno dei volti più apprezzati del cinema italiano e internazionale e che ha conquistato il pubblico in sala con interpretazioni magistrali tra cui, tra le tante, quella di Jep Gambardella ne "La grande bellezza" e quella, impeccabile, di Giulio Andreotti ne "Il divo". Fino all'ultimo capitolo cinematografico "Iddu", nelle sale da ottobre e che lo vede nei panni di Catello in un film "civile" sulla legalità e la lotta alla mafia, ispirato alla latitanza di Matteo Messina Denaro.
E poi il teatro. Sì, perché la carriera di Servillo parte proprio da lì, da quel luogo che "chiede allo spettatore un confronto dialettico, esattamente come dovrebbe accadere nella democrazia".
E prendendo le mosse da questo pensiero, in "Tre modi per non morire" l'attore ritroverà la dimensione originaria, accompagnando lo spettatore in un viaggio teatrale in tre stazioni attraverso le opere di Charles Baudelaire, Dante Alighieri e dei poeti greci, alla scoperta dei momenti culminanti in cui hanno messo in pratica "l’arte di non morire, insegnandoci a cercare la vita."
E la connessione alla contemporaneità è cristallina, in un'opera che si pone come un antidoto "alla paralisi del pensiero, alla non vita che tenta di ingoiarci". Questo perché "siamo inquieti, impoveriti, spaventati, e tutti sentiamo che ci manca qualcosa di cui avremmo un disperato bisogno: ci manca l’amore, ci manca la vita. E allora? E allora non ci resta altro da fare che cercare di diventare vivi".
Toni Servillo, partiamo dallo spettacolo che nasce dal sodalizio con lo scrittore Giuseppe Montesano. Cosa aggiunge la dimensione teatrale ai testi che sarà chiamato “far vivere” sul palcoscenico?
L’intenzione mia e di Montesano, autore e traduttore, con cui collaboro da vari anni sia nel teatro di prosa che in quello musicale, è quella di mostrare come, attraverso tre esperienze così importanti - Baudelaire, Dante e i classici greci - la poesia insegua la vita allontanandosi dall’analfabetismo emotivo e mentale che ci soffoca. Il teatro, nello specifico, nelle sue espressioni migliori, può avere la forma di un’assemblea democratica che vede protagonisti gli attori e il pubblico presente in sala.
E quello che prenderà forma sarà un viaggio “in tre stazioni”: da Baudelaire a Dante, fino ai classici greci. Qual è il filo rosso che lega queste tre epoche e come parlano queste all’oggi?
I grandi classici diventano nostri soltanto se ci lasciamo incantare e afferrare da loro come da uno specchio magico. Nello specifico Dante è un nostro ‘contemporaneo’ che arriva nel cuore del Novecento, un secolo scosso da drammi e conflitti ma anche da straordinarie speranze di progresso. È infatti diventato una guida preziosa per grandi poeti quali Thomas Stearns Eliot, Ezra Pound, Jorge Luis Borges, Osip Mandelstan, e per il loro sogno di una nuova civiltà europea al di là delle singole nazioni, quando pronunciamo le parole civiltà ed Europa come ciò che ci accomuna nella diversità e unicità di ogni popolo. Questi tre importanti momenti della poesia e del pensiero occidentale, che nel corso della serata attraversiamo a ritroso, dall’Ottocento ribelle di Baudelaire alla civiltà fondativa dei Greci di oltre venticinque secoli fa, attraverso il Medioevo aperto al mondo di Dante, sono legati dalla capacità di saperci parlare dal passato ancora oggi.
Che segni hanno lasciato in lei questi autori?
Le risponderò in modo sintetico: Baudelaire come la bellezza si opponga all’ingiustizia e alla depressione. Nel caso di Dante lo straordinario potere dell’immaginazione attiva che circola nei suoi versi. Per i classici greci un pensiero nudo e chiaro capace di immaginare il futuro.
Ha dichiarato che avrà un leggio ma non sarà un conferenziere, e che spiccherà la dimensione evocativa, quasi come fosse un "musicista che interpreta una partitura corrispondente a sé stesso". Che Toni Servillo vedremo in scena?
La principale sfida dell’interpretazione è riuscire a mantenere ogni volta costante l’equilibrio fra pensiero ed emozione, fra l’aspetto speculativo e quello emotivo. Le parole che leggiamo sono affidate all’interpretazione che svolgiamo in solitudine, le parole che sentiamo sono accompagnate inevitabilmente da un impatto emotivo che dipende sia dall’ascolto condiviso insieme agli altri, sia dal ritmo e dalle modulazioni sonore che l’interprete dà alle parole e che possono moltiplicarne i significati. Questo attraverso l’essenzialità dello spazio scenico e la nudità della parola poetica, che sono per me sono condizioni fondamentali per la chiarezza con cui mi piace arrivare al pubblico in maniera diretta. Ritengo infatti che l’unico futuro per il teatro sia il suo tratto più antico: mettere al centro proprio l’essere umano.
Insomma, il teatro e la poesia si trasformano in strumenti utili a non “morire”.
Queste esperienze apicali testimoniano al pubblico di oggi come, attraverso l’immaginazione e una mente aperta, si possa allontanare da noi il rischio di una “morte in vita”. Credo che quello che lega intimamente le tre stazioni poetiche che percorreremo sia l’immutata capacità che mantengono dal passato di divinare un futuro che diventa il presente nel quale siamo ancora oggi. L’intenzione di Giuseppe Montesano da autore, e mia da interprete, è quella di voler rivolgerci specialmente alle giovani generazioni per riflettere su questo argomento.
Lasciando lo spettacolo, un’ultima curiosità personale: la apprezzeremo sul palcoscenico, dimensione in cui affonda le radici la sua carriera. E dal teatro, relativamente tardi, ha incontrato il cinema che l’ha consacrata a livello internazionale. Come è avvenuto questo passo e come si differenziano queste due facce del suo prisma artistico?
Direi in maniera assolutamente naturale, perché le mie prime esperienze cinematografiche sono avvenute negli anni Novanta all’interno di “Teatri Uniti”, prima con Mario Martone e poi con Paolo Sorrentino. Venendo alla seconda domanda il teatro, a differenza del cinema, che porta spesso lo spettatore in una dimensione di sogno o di natura illusoria, chiede allo spettatore un confronto dialettico, un dibattito su diverse posizioni che si agitano fra chi propone e chi assiste, esattamente come dovrebbe accadere nella democrazia.