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"La poesia indaga aspetti che dati e algoritmi non raggiungono", intervista a Lorenzo Maragoni in scena con "Grandi Numeri" : "Diverto facendo riflettere il pubblico"

Lo spettacolo in programma mercoledì 13 novembre al teatro Cuminetti unisce poesia, stand-up comedy e il tema dell'analisi dei dati personali. Lorenzo Maragoni: "Mondo scientifico e arte possono aiutarsi reciprocamente: la seconda, infatti, raggiunge vette comunicative superiori rispetto alla divulgazione classica, portando le persone ad interrogarsi su determinati temi"

Di Federico Oselini - 13 novembre 2024 - 13:10

TRENTO. Unire slam poetry, stand-up comedy, una "colonna sonora" originale e un tema attuale e caldo come l'analisi dei dati personali? Sembrerebbe quasi una missione impossibile, ma è quello che è riuscito a fare Lorenzo Maragoni nel suo spettacolo "Grandi Numeri" in scena questa sera - 13 novembre (h. 20.30) al teatro Cuminetti di Trento - nell'ambito della programmazione del Centro Servizi Culturali Santa Chiara.

 

Centrale nel lavoro dell'autore e regista – già campione del mondo di poetry slam e con addirittura un passato come docente universitario – sarà una riflessione sul fatto che tramite gli algoritmi e i big data ci stiamo "conoscendo" sempre di più, in quello che per assurdo è stato definito "il secolo della solitudine".

 

E in quello che si delinea quasi come un "esperimento collettivo", si cercherà di indagare il rapporto tra la poesia e il mondo digitale, e di far luce su alcuni quesiti cardinali. Uno tra tutti: quando ci saremo conosciuti del tutto, quando saremo diventati dati, che cosa rimarrà di imprevedibile, di inclassificabile?"

 

Lorenzo Maragoni, dalle premesse sembrerebbe uno spettacolo molto sui generis, cosa si deve aspettare il pubblico?

 

Non è facile, ma provo ad essere essenziale: le persone in platea dovranno aspettarsi prima di tutto uno spettacolo divertente e di grande intrattenimento, basato su un tema "inquietante" come è quello dei dati. Sarò solo in scena e mi metterò in dialogo con il pubblico, provando a suscitare una riflessione condivisa sul meccanismo con cui condividiamo ogni giorno i nostri dati personali, in un momento in cui ci stiamo digitalizzando e "trasformando" nelle informazioni che riusciamo a produrre, e in cui quello che scegliamo in ogni momento è regolato, anche se non ce ne rendiamo conto, dagli algoritmi.

 

E centrale sarà, non può essere altrimenti, il coinvolgimento del pubblico: una dinamica a cui lei è molto legato.

 

Decisamente. Credo nell'interazione tra palcoscenico e platea, e sto ricercando sempre di più questa dimensione. Nello specifico, questa sera assisteremo ad un coinvolgimento in cui il pubblico sarà sempre a suo agio e si divertirà: trattando il tema dei dati personali, e partendo dal presupposto che la loro condivisione si basa su un patto di fiducia tra chi li cede e chi li riceve, cercherò di ricreare questo scambio. Come? Provando a conquistare la fiducia degli spettatori, che mi forniranno alcuni loro dati ovviamente nel rispetto della privacy, non temete (ride, ndr), e il tutto in modo un po' surreale.

 

E la musica sarà un componente fondamentale.

 

La colonna sonora di "Grandi Numeri" è stata composta appositamente dal musicista Giovanni Frison, con cui ho lavorato per la realizzazione di alcuni: questo nell'ottica di garantire allo spettatore un'esperienza il più completa e immersiva possibile. Credo che musica e poesia, accostate, riescano a dialogare perfettamente e questo è un tratto distintivo di un lavoro che riesce a fonderle in un unica dimensione.

 

Venendo a lei,  si  può dire che "Grandi numeri" intrecci le varie facce del suo prisma personale: teatro, poesia, stand up-comedy e statistica. Qual è il filo rosso che lega tutto questo?

 

Questo spettacolo mi rappresenta tantissimo: ho insegnato statistica e per gran parte della vita ho pensato che quella fosse la mia strada, poi sono arrivati prima il teatro e poi la poesia, e anche di questo parlerò. Il minimo comune denominatore è sempre stata la mia insaziabile curiosità nei confronti dell'essere umano, declinato prima in ambito scientifico e poi in quello umanistico: posso dire che entrambi sono tentativi di capire il mondo in cui viviamo e le persone con cui abbiamo a che fare quotidianamente.

 

E proprio in quest'ottica lei spiega che la poesia gioca un ruolo importante. Partiamo però da una provocazione: che spazio può avere in una contemporaneità governata dalla standardizzazione dei linguaggi e dalla semplificazione comunicativa?

 

Questa è una domanda bellissima, e che richiederebbe forse più risposte. È evidente che viviamo in un momento storico in cui l'esperienza umana è sempre più "mappata" proprio attraverso i dati, che sono sempre più importanti per la conoscenza di noi stessi. Ritengo però la poesia lo strumento perfetto per esplorare quei lati che i dati non riescono a raggiungere. Mi spiego: tutti abbiamo vissuto, almeno una volta nella vita, l'esperienza di sentirci capiti da una poesia. È una "cura" che magari usciamo più raramente, ma che quando arriva serve molto: penso che la poesia si quindi insostituibile, proprio per il suo modo intrinseco di toccare l'animo umano.

 

E questo si ricollega ad alcuni quesiti presenti nello spettacolo, che ora poniamo direttamente all'autore. Quando ci saremo conosciuti del tutto, ci sentiremo ancora liberi? Ci innamoreremo ancora? Saremo ancora capaci di scrivere una poesia?

 

Credo che in quel momento non rimarrà quasi nulla da scoprire (ride, ndr). Però c'è un però, e mi scusi il gioco di parole (ride, ndr): sono convinto che non riusciremo mai ad arrivare a quel punto proprio alla luce della profondità dell'esperienza umana, che si può definire un mistero. Nelle relazioni umane ci sarà sempre e comunque qualcosa che ci sorprenderà sempre: questo anche al di là di tutte le app che riusciremo a costruire nell'ottica di cifrarci il più possibile.

 

Allargando il respiro, perseguire la "mission" di divulgare conoscenze, e far riflettere, attraverso l'arte è un suo tratto distintivo. Ce ne parla?

 

L'arte spesso si dimostra in grado di raggiungere vette comunicative superiori rispetto alla divulgazione classica, portando il pubblico ad interrogarsi e a riflettere su determinate tematiche, anche molto complesse. Ritengo che per molti la via d'accesso a certi concetti sia più diretta se si riesce a far vibrare alcune corde interiori attraverso, ad esempio, la poesia. Diciamo che l'ambito scientifico e quello artistico-umanistico possono aiutarsi reciprocamente ed in modo efficace. Questo lo vedo ogni volta che mio trovo sul palcoscenico, e quello che mi ripeto è che è giusto continuare su questa strada.

 

Lei ormai è conosciutissimo in Trentino, che frequenta artisticamente da anni. Che rapporto ha con questo territorio?

 

Sono cresciuto in Umbria ma amo le montagne e in particolar modo il Trentino. Al dì là di ciò, ho sempre trovato qui un pubblico, anche quello giovanile e universitario, molto ricettivo e che dà risposte calorose. Trento è una città che ritengo aperta ai nuovi linguaggi e per questo molti nuovi progetti li ho proposti qui per la prima volta, sentendomi libero di sperimentare liberamente, e la risposta è sempre stata eccezionale.

 

Prima di salutarla, che progetti ha nel cassetto?

 

Posso dirvi che tornerò a febbraio tornerò con lo spettacolo "Solo quando lavoro sono felice": si tratta di una riflessione sul lavoro, sulla vocazione, sui soldi, sul capitalismo, sul tempo di vita di lavoro, ma anche sulla disperazione. Per quanto riguarda invece nuove idee, sto lavorando a due progetti molto ambiziosi sui quali, però, al momento devo lasciarvi con la curiosità, perché non posso svelarvi i dettagli (ride, ndr). Sicuramente ci rivedremo su un palcoscenico, questo è sicuro.

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