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"Il primo Sanremo? Ho suonato come fossi stato in un jazz club". Raphael Gualazzi si racconta dagli esordi alla grande occasione: "Sogno di essere sempre nella mia musica"

Raphael Gualazzi si racconta a il Dolomiti in occasione del suo live 'Dreams live autumn 2024': "Il debutto a Sanremo? Ho voluto portare la mia identità all'Ariston, sospeso tra il sogno e la consapevolezza della grande opportunità, poi ho semplicemente suonato come avrei fatto in un jazz club. Il concerto piano e voce sarà uno storytelling che ripercorrerà la mia carriera"

Di Federico Oselini - 10 dicembre 2024 - 12:46

BOLZANO. Dalla prima volta che si è seduto ad un pianoforte al debutto al Festival di Sanremo e all'Eurovision Song Contest, e dall'amore per il jazz fino al contributo che la musica può dare nell'affrontare tematiche sociali. Ma anche il suo ultimo disco, i progetti per il futuro e il suo più grande sogno. È un Raphael Gualazzi a tutto tondo quello che si racconta a il Dolomiti, in occasione del concerto "Dreams live autumn 2024" in programma martedì 10 dicembre (ore 21) al Teatro Cristallo di Bolzano nell'ambito della rassegna "Racconti di musica".

 

Cantautore e artista poliedrico, ed eccellente pianista segnato da una profonda anima jazz, Gualazzi è una delle figure più iconiche e versatili della musica italiana: in grado di unire jazz, blues, soul e pop, negli anni ha firmato canzoni in grado di trascendere il genere musicale, collezionando successi e portando la sua musica sui più prestigiosi palcoscenici internazionali.

 

E proprio il concerto (info e biglietti) che lo vedrà protagonista sarà l'occasione per ripercorrere, nella dimensione intima piano-voce, le tappe fondamentali della sua carriera: dagli esordi alla vittoria a Sanremo Giovani con il pezzo "Follia d'amore", fino alle sue composizioni per il cinema e agli ultimi lavori in studio, l'album "Dreams" e l'Ep "Dreams in jazz", in quello che l'artista definisce " uno storytelling musicale a tutti gli effetti".

 

Raphael Gualazzi, in questo live tornerà all'essenza piano-voce. A che concerto assisteremo?

 

Sarà un viaggio attraverso i vari step della mia carriera, dai vecchi brani fino a quelli più recenti. Il fatto di essere a tu per tu con lo strumento mi permetterà di premiare maggiormente la mia sfera intima, ma anche l'estemporaneità, l'improvvisazione e, perché no, l'interazione con il pubblico. Le canzoni, non "imbrigliate" in alcun tipo di arrangiamento, daranno vita ad un vero e proprio "storytelling" tra voce e piano e proporrò anche brani meno conosciuti e che appartengono al mio repertorio blues ragtime, ma anche classico. Ci sarà spazio anche per alcuni temi celebri della musica da cinema, e anche per alcune mie composizioni realizzate per quest'ambito, sempre rivisitate in forma di divertissment musicale.

 

Protagonista sarà anche il suo ultimo album "Dreams", dai tratti fortemente onirici. Come mai ha scelto di affidarsi a questa dimensione?

 

Ho scelto di dedicarmi alla dimensione del sogno quando ho compreso che la sfera personale e quella artistica non possono prescindere l'una dall'altra. Mi spiego: l'autenticità è importantissima per riuscire a scrivere "in armonia" con il mondo che ci circonda e i songi sono la dimensione più interessante attraverso cui trascendere la realtà, riscoprendo il valore dell'attimo reale che realmente conta. E ad emergere è proprio quel momento che ci aiuta a conoscerci e a vivere nella felicità del presente. C'è un filo rosso, ed è un pensiero: spesso pensiamo che i sogni siano qualcosa da raggiungere, ma invece vanno vissuti nel presente. Il pensiero va anche alla nostra contemporaneità, in cui veniamo sommersi da molti stimoli, con il rischio di perdere di vista il vero valore delle cose e delle persone che abbiamo attorno.

 

Ed un tratto caratteristico, dal punto di vista musicale, è il mix di influenze musicali al suo interno: dalla musica classica al funk africano, fino ovviamente al jazz.

 

È un lavoro che si innesta sul mio percorso di crescita artistica e che tiene conto dei generi che mi hanno da sempre ispirato. Essenzialmente divisi in due filoni: quello della struttura musicale classica europea, anche nella sua forma più popolare, specialmente quella italiana, il cui tratto è la ricerca dell'espressività attraverso la melodia. Al contempo è presente quello afroamericano che mi ha sempre affascinato tantissimo e che ho sempre ammirato ed empatizzato: un genere che nella sua espressione musicale, ma non solo, si avvicina in modo profondo e autentico alla sua essenza e alle sue origini. E proprio nella messa in relazione di questi due mondi affonda le radici quest'ultimo disco.

 

A spiccare sono due brani, in cui vengono affrontate tematiche sociali quali le barriere razziali e il fenomeno delle dipendenze: "Soul affirmation" e "Addiction Waltz". Ce ne parla?

 

Si tratta di due riflessioni. "Soul affirmation" è una presa di coscienza del fatto che nella storia gli uomini bianchi hanno avuto una serie di privilegi e di possibilità maggiori. Questo pensiero, arrivato al termine di un'indagine interiore, ne fa scaturire un altro: spesso il fatto di avere determinati privilegi è dato per scontato, e si ignora il fatto che ad altre persone sono stati e sono negati. Per quanto riguarda invece "Addiction Waltz", parliamo di un pezzo altamente connesso al presente che viviamo: ci troviamo infatti spesso a rincorrere degli obiettivi, e talvolta capita che per far fronte a determinati stati emotivi costruiamo delle dipendenze, "strumenti" sbagliati per auto-curarci, e questo sfocia in un forte disagio a livello sociale. Se c'è un messaggio di fondo è quello che per affrontarle è necessario andare alla base del problema, cercando di guardarsi allo specchio, ritrovando la felicità in quello che facciamo vivendo, come si diceva poc'anzi, i nostri sogni.

 

Messaggi indubbiamente complessi, che sceglie di affidare alla musica. Qual è il valore aggiunto di quest'operazione, nell’ottica di intercettare una comune sensibilità?

 

La musica nasce nel sistema sociale, prima come un rito e poi successivamente come intrattenimento: è un'arte che unisce gli animi nella condivisione di un determinato sentire, questo attraverso il rimo, la melodia e il "mood", e non a caso è stata posta al vertice di alcuni tra i più alti pensieri filosofici. Pensi alla dimensione live: la musica non è mai uguale a sé stessa e si rigenera continuamente, rappresenta quindi un linguaggio comunicativo importante proprio per la sua capacità di intercettare, stimolare e appunto rigenerare i pensieri, spingendoci a porci anche delle domande. Si può dire che la musica ci possegga, sfruttando la nostra sensibilità per esprimersi: è uno strumento di analisi interiore, e per questo può veicolare messaggi anche a livello sociale. E, per quanto mi riguarda, rappresenta il mezzo più importante per comunicare ciò che sento.

 

Parlando del "suo" jazz, questo genere forse più di altri incarna questa valenza.

 

Assolutamente: credo che possa essere considerato una vera e propria metafora sociale. Anche quando viene suonato, il jazz richiede un ascolto attento e costante di chi si ha vicino: in questo modo è possibile raggiungere la versione migliore di noi stessi, senza cadere per forza in una dimensione di contrapposizione. È un genere che ci insegna a vedere i nostri limiti come opportunità, e le diversità come unicità in grado di trasformarsi in un immenso valore aggiunto.

 

Ci svela quando è nato in lei l'amore per il Jazz?

 

Bisogna andare un po' indietro negli anni: mi sono avvicinato per la prima volta ad un pianoforte, da ragazzino, in modo casuale. Ricordo che guardando un film che raccontava la vita di Jerry Lee Lewis rimasi estremamente colpito dalle scene in cui lui suonava e da una, in particolare, in cui lui osservava e si ispirava ad un pianista boogie boogie, guardandolo da una finestra. Allora molti dei miei cugini, a me coetanei, suonavano già e così mi sono seduto anch'io al piano, forse ammaliato proprio da quel pianista dietro allo schermo. Ho poi iniziato il mio percorso e, attorno ai 15 anni, suonavo in una band con alcuni studenti del conservatorio: il nostro desiderio era quello di diffondere più stili tra cui proprio il jazz. Ci piaceva il modo afroamericano di "pensare la musica" e scrivevamo i brani in quest'ottica di contaminazione.

 

E poi è avvenuto un altro incontro "fortunato".

 

Assolutamente: quello con il grande Jimmy Villotti. Fu lui che un giorno mi disse: "Se vuoi imparare il jazz, devi andare alle sue radici, alle sue forme più viscerali, e quindi al blues". E anche da quel momento ha preso il La quel giro di ascolti che ha forgiato il mio grande amore per questo genere e che mi ha portato a scrivere il mio primo disco.

 

Dal passato al presente. È uscito qualche settimana fa un suo Ep intitolato "Dreams in Jazz", in cui omaggia tre grandi maestri del jazz italiano, nonché straordinari compositori di colonne sonore.

 

Si tratta di un lavoro che risponde all'urgenza di venire a contatto, in modo ancor più viscerale, con artisti del calibro di Piero Umiliani, Piero Piccioni e Armando Trovajoli, grandi maestri del jazz italiano, reinterpretando tre loro brani. Allargando lo sguardo, rappresenta un omaggio al marchio jazzistico nazionale, un genere che ha stabilito anni fa le sue premesse e che nel tempo, seppur non sia stato riconosciuto a livello mainstream, ha avuto uno sviluppo importante. Quel sound italiano lo ritroviamo appunto nei temi cinematografici di questi artisti, e questo lavoro abbraccia la mia voglia di associare musica e immagini, che ha sempre rappresentato un mio tratto distintivo: trovo questo rapporto affascinate, e proprio il jazz ha trovato grande spazio sulla scia di questo binomio.

 

E cavalcando questo binomio, la sua musica ha ottenuto grandi successi sia in ambito cinematografico che pubblicitario. 

 

Guardi, posso dirle che per me è sempre stato importantissimo associare immagini e musica. Addirittura nel mio primo disco ho inserito una canzone intitolata "A French Cartoon", scritta pensando alla realizzazione di un cartone animato che poi per svariati motivi non è nato. Oltre ai progetti più conosciuti, ho recentemente creato, per la Cineteca di Milano, delle armonizzazioni estemporanee su alcuni cortometraggi muti. Insomma, il rapporto tra immagine e musica mi ha sempre accompagnato. Una confessione? Quando mi trovo a scrivere musica, per avere un'ispirazione devo sempre pensare ad un'immagine.

 

Parliamo del Festival di Sanremo: nel 2011 ha vinto la categoria giovani con "Follia d'amore", e sempre all'Ariston ha sfiorato la vittoria nel 2014. Cos'ha rappresentato tutto questo per lei?

 

Direi che il primo Sanremo è stata un' esperienza nuova, anche se ero conscio dell'attenzione che ruotava attorno quella partecipazione. Mi sentivo quasi una mosca bianca, dal momento che feci il mio ingresso in un contesto in cui il jazz c'entrava poco, e lo feci con un brano dallo schema molto semplice e dal ritmo swing. Ho voluto portare la mia identità arrivando all'Ariston, come si dice, con le scarpe di cartone (ride, ndr), sospeso tra il sogno e la consapevolezza della grande opportunità. Poi ho semplicemente suonato come avrei fatto in un jazz club, aprendomi però alla canzone italiana, e alla fine è arrivato quel risultato.

 

E dal suo "Sanremo jazz-club" è arrivato a rappresentare l'Italia - dopo oltre un decennio di assenza - all'Eurovision Song Contest, conquistando uno storico secondo posto.

 

L'Eurovision è stato quasi un miracolo (ride, ndr). Nessuno di noi si aspettava di raggiungere quel traguardo con quel brano, messo in contrapposizione a canzoni con sonorità e produzioni incredibili. È stata però la dimostrazione, per come la vedo io, che l'emozione autentica trasmessa dalla musica "suonata" arriva maggiormente al cuore rispetto a quella basata, ad esempio, su "automazioni" a cui magari oggi siamo più abituati.

 

Parlando di cambiamenti nel modo di concepire la musica, si vede nuovamente in futuro sul palco dell'Ariston?

 

Ho un pensiero: se avrò la possibilità di partecipare nuovamente, e quindi un mio brano dovesse suscitare l'interesse di un direttore artistico, posso garantire che sarà una canzone che, anche dovesse arrivare ultima (ride, ndr), dovrà rappresentare completamente le mie emozioni.

 

A cosa sta lavorando attualmente?

 

Sto lavorando ad un nuovo progetto, e anche a nuove collaborazioni con il mondo dell'immagine. Ora però voglio mantenere un po' di riserbo, e lasciarvi con un po' di curiosità, ma nei primi mesi del nuovo anno vi assicuro che potrò svelare qualche dettaglio in più.

 

Essendo partiti parlando di sogni, non possiamo che chiudere con una domanda: oggi, qual è il sogno più grande di Raphael Gualazzi?

 

Sogno di essere sempre contento di quello che faccio e che farò, in modo da essere sempre "dentro" alla mia arte. Desidero scoprire nuova musica e poterla di conseguenza esprimere attraverso il mio percorso: e questo è il sogno più grande che un musicista può avere.

 

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