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Dai 30 anni con Elio e le Storie Tese a 'Kind of Miles'. Christian Meyer si racconta e con Stefano Bagnoli presenta l'opera di Paolo Fresu: "Miles Davis, tra musica e teatro"

Il batterista sarà protagonista dello spettacolo, in programma al Teatro Sociale dal 14 al 17 novembre, che narra la leggendaria icona del jazz Miles Davis. Christian Meyer: "Il risultato? Una sintesi perfetta per raccontare un personaggio di questa caratura"

 

Foto di Orazio Truglio e T. Le Pera
Foto di Orazio Truglio e T. Le Pera
Di Federico Oselini - 13 novembre 2024 - 19:57

TRENTO. "Uno spettacolo che è la sintesi perfetta per raccontare un personaggio di questa caratura". A definire così "Kind of Miles" – l'ultimo lavoro del trombettista Paolo Fresu, dedicato all'universo creativo e visionario dell'immenso jazzista statunitense Miles Davis e che farà tappa al Teatro Sociale di Trento dal 14 al 17 novembre (info e biglietti– è uno dei protagonisti assoluti che salirà sul palcoscenico: il batterista Christian Meyer, storico componente della band Elio e le Storie Tese, che incontriamo assieme al "collega" Stefano Bagnoli, al fianco di Fresu da più di vent'anni, per addentrarci negli anfratti di un'opera "sospesa tra musica e narrazione".

 

Prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano e diretto dal regista Andrea Bernard, lo spettacolo vive del dialogo costante – inserito in una cornice in cui spiccano anche tecnologici effetti audiovisivi tra brani musicali originali e la narrazione di Fresu che, come spiega Bagnoli, "racconta un artista che ha segnato il Novecento filtrandolo attraverso la sua storia artistica, quella di chi ha iniziato a respirare jazz anche grazie a nomi come Miles Davis o Chet Baker".

 

Ed il risultato, a detta del musicista, è considerevole. "Lo spettacolo ha sorpreso tutti, anche per la sua capacità di emozionare il pubblico – spiega Bagnoli – e sul palcoscenico vedremo un artista che in quest'opera ha sfidato sè stesso, con il carisma e la passione che lo hanno sempre contraddistinto, e musicisti in totale sintonia tra di loro".

 

A proseguire nel racconto di "Kind of Miles", prima di lasciarsi andare in un'intervista a 360°, è poi Christian Meyer, tra i migliori batteristi sulla scena internazionale e che, esibendosi con il collega, rappresenterà l'esatta metà, come la definiscono loro stessi, di "una batteria suonata da quattro braccia e quattro gambe, ma con un' unica testa".

 

Meyer, come è nato e quali sono i tratti fondamentali di questo spettacolo?

 

Potrebbe essere definito, come ha dichiarato Paolo Fresu, un lavoro "onesto". Questo perché l'intenzione è quella di raccontare Miles Davis, ed il suo mondo, proponendo diversi brani originali e tutti ispirati ad un personaggio che ha influenzato, in modi differenti, tutti i musicisti protagonisti: Bebo Ferra, Dino Rubino, Federico Malaman, Filippo Vignato e Marco Bardoscia. Emerge quindi un'onestà che arriva direttamente dal nostro animo e che fa sì che determinate atmosfere vengano interpretate e filtrate dalla sensibilità di ognuno. E proprio in questo modo è nato l'omonimo disco, uscito pochi giorni fa, che viene portato sul palcoscenico in questo particolare format che intreccia racconto e musica.

 

Ci parli di questo intreccio fra teatro e musica: come stanno insieme queste due dimensioni e come si è rapportato con questa particolare dinamica?

 

Dal punto di vista musicale, si tratta di un concerto a tutti gli effetti, dal momento che quando si interrompe la narrazione si entra nella sfera musicale pura, con tutte le sue dinamiche. C'è però una sostanziale differenza: al contrario di un live, l'adrenalina e il flusso continuo vengono interrotti dalle parole, e qui emerge la grandezza di Paolo Fresu, che riesce a superare se stesso oscillando alla perfezione tra la dimensione del musicista e quella dell'attore.

 

Venendo alla scaletta, c'è qualche brano che più di altri le ha lasciato un segno particolare?

 

Potrei indicarne due, anche se non voglio rischiare lo spoiler. Sono molto legato al brano che aprirà la serata: si intitola "Orange" e assume i connotati di un tormentone groove che rappresenta alla perfezione il mio stile. Il secondo è invece un brano quasi techno, sul quale svetta la tromba di Paolo: si intitola "Berlin" e vuole, in sintesi, affermare che se oggi Miles Davis fosse vivo vivrebbe a Berlino e cercherebbe contaminazioni con il panorama contemporaneo creando, come è avvenuto in passato, qualcosa di nuovo e che verrebbe compreso solo dopo anni.

 

Rimanendo sul palcoscenico, la vedremo esibirsi in duetto con Stefano Bagnoli. Come riescono a coesistere, in questo progetto, due batterie?

 

In carriera ho fatto tanti duetti e posso dirle che la grande difficoltà, in questi casi, è rappresentata dal fatto che la batteria è uno strumento potente che, se suonato senza grande attenzione agli spazi reciproci, può diventare "pesante". Mi spiego meglio: se due batteristi non riescono ad ascoltarsi il rischio è quello di sovrapporsi creando un terremoto di ritmiche. Qui invece succede il contrario: questo perché sia io che Stefano proveniamo dal mondo del jazz, che per definizione invita i musicisti all'ascolto reciproco. Il risultato? Riusciamo ad "occupare" perfettamente gli spazi che a vicenda ci concediamo, addirittura lasciando molto spazio all'improvvisazione.

 

Venendo a lei, nel corso della sua carriera ha collaborato con alcuni tra i più grandi artisti. Da Mina a Lucio Dalla, da Renzo Arbore a Santana fino a James Taylor: cosa ha portato con sè di tutti questi incontri artistici?

 

Posso fare un ragionamento generale e dire che ognuno mi ha lasciato qualcosa, e ho tratto da ogni esperienza gli insegnamenti che mi hanno portato fin qui. Ho imparato molto dai professionisti, ma anche non, con cui ho lavorato e ho imparato a comprendere i "meccanismi" della musica, e soprattutto quello che non voglio fare, ad esempio suonare in contesti in cui la musica non è protagonista assoluta. Venendo ai grandi personaggi, posso dire questo: con loro ci si rapporta quasi sempre con grande facilità, dal momento che si parla la lingua comune condivisa da chi ama la musica più di ogni altra cosa.

 

Dalle grandi collaborazioni, ai suoi punti di riferimento musicali.

 

Noi batteristi siamo spesso portati ad ascoltare principalmente i nostri "colleghi" e tra questi potrei citarle Steeve Gadd. Però sono convinto che la cosa più importante sia ascoltare la musica nella sua totalità. Facendo il classico gioco di chi porterei con me sulla famosa isola deserta, le dico: John Coltrane e Dexter Gordon, ma anche i Led Zeppelin o i Genesis. Poi Benny Goodman e lo stesso Miles Davis, almeno per quanto riguarda un periodo della sua produzione. Voglio però ricordare Louis Armstrong: sono figlio di un trombettista e lui era un mio mito assoluto, pensi che quando è morto mio padre pianse e questa cosà mi toccò nel profondo dell'anima.

 

Tornando alla sua musica, una curiosità: c'è una caratteristica particolare per cui vorrebbe essere ricordato in futuro?

 

Vorrei tendere, ed è tutta la vita che ci provo, ad un'originalità e ad una riconoscibilità nel mio fraseggio e nel mio suono, anche se credo di non averle ancora raggiunte. Per rimanere in tema, è quello che diceva lo stesso Miles Davis: "Dovete essere voi stessi, originali, e non essere la copia di nessuno". C'è poi un altro aspetto: vorrei riuscire a trasmettere un'energia tale da far sì che le persone, dopo avermi ascoltato, assorbano una carica speciale data dal fatto che la mia batteria gli è arrivata diritta al cuore.

 

Ed ora non possiamo non aprire il capitolo "Elio e le Storie Tese", iconica band di cui è una delle colonne da più di trent'anni. Lei viene dal mondo del Jazz, e si è trovato in una dimensione pop-rock, com'è successo?

 

Sarò sincero: casualmente. Questo grazie al bassista Nicola "Faso" Fasani, con il quale ci incontravamo da giovani nelle varie jam session delle cantine milanesi. Sicuramente, e questo stupirà, alla luce del mio background e del genere di Elio, posso dire che non ero sicuramente il profilo più adatto. Però grazie a questo incontro mi sono avvicinato al rock, e in questa lunga avventura sono diventato un batterista completo.

 

Insomma, parliamo di una storia all'insegna delle contaminazioni. Le chiedo: se l'esperienza ha rappresentato un'importante step di crescita per lei, cos'ha portato lei al gruppo?

 

Posso dire di aver, sì, preso molto ma ho anche dato. Ho portato con me un certo tipo di raffinatezza ritmica, cercando di aggiungere quel quid di eleganza che proviene da un genere come il jazz che è carattarizzato da tantisismi "colori" e sfumature, che così sono finite per caratterizzare anche il rock di Elio e le storie Tese

 

Trent'anni al fianco di un grande istrione come Elio non sono pochi, immaginiamo che avrà sicuramente qualche aneddoto da raccontare.

 

Ce ne sono tantissimi, confermo. Però vorrei raccontare una cosa di Elio: lui è letteralmente un "mostro" di bravura. Nonostante appariamo spesso come "gagliardi esecutori di musiche simpatiche", dietro a tutto ciò c'è un rigore e una meticolosità che paragonerei a quelle della musica classica. Per farvi capire ciò, vi porto direttamente in un nostro pomeriggio di prove: può capitare che un singolo pezzo venga ripetuto decine di volte al fine di ottenere il miglior risultato, e sotto questo punto di vista Elio è davvero impeccabile. Ma non solo, c'è un'altra cosa che vale la pena raccontare: è incredibile come si ricordi tutti i testi a memoria. Ricordo che quando collaboravamo con "Parla con me" di Serena Dandini, nonostante i medley venissero aggiornati di mezz'ora in mezzora, non ha mai avuto bisogno di trascrivere nulla.

 

Passando al repertorio, qual è la canzone che in trent'anni ha amato di più?

 

In generale amo i pezzi con molte armonie e tanti accordi: per questo le dico "T.V.U.M.D.B." del 2005, un brano che ha una progressione armonica a dir poco emozionante. Poi, avanzando di tre anni, aggiungo "Parco Sempione", canzone di cui ho quasi inventato il groove e per questo sento che contiene una parte di me.

 

E proprio a partire dalle canzoni di Elio e le Storie Tese, ha ideato il progetto didattico "Millefinestre di ritmo", rivolto soprattutto alle nuove generazioni. In che cosa consiste?

 

Tutto nasce anni fa e parte dalle trascrizioni delle partiture dei brani che mi venivano richieste: queste sono rimaste nel cassetto fino alla pandemia, quando ho deciso di dare il La ad un progetto più completo. Si sono aggiunti dei video in cui io interpreto i vari brani, ai quali si sommano esercizi correlati. Ma non è tutto: è nato anche un libro che racconta il mio percorso e che vuole "accompagnare" il lettore nel mondo di un comune ragazzo, come ero io, che sogna di diventare un batterista, evidenziando tutte le gioie e i dolori, le vittorie e le sconfitte che precedono l'inizio di una carriera. Questo perché desidero, attraverso la mia storia, costruire un percorso didattico completo: a tal fine ho creato anche una playlist in cui suggerisco ai più giovani alcuni "brani ispiratori", analizzandone l'esecuzione. È un modo, insomma, per trasmettere una mia eredità alle nuove generazioni.

 

Guardando al futuro, un'ultima battuta: che progetti ha nel cassetto?

 

Per il momento sono totalmente assorbito dal tour di "Kind of Miles" che durerà sicuramente a lungo. Ho però un chiodo fisso: mi piacerebbe fondare un trio swing, suonato però con la potenza e la determinazione che mi contraddistinguono. Per capirci, il pensiero è a quello che definirei lo "swing-metal" degli anni Trenta, che era in grado di far ballare centinaia di persone. Naturalmente per fare ciò servono i musicisti adatti, ma sono convinto che a tempo debito arriveranno.

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