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Da 'C'era una volta in America' a 'Pulp Fiction', ecco come si restaura un vecchio film: parola al laboratorio "L'Immagine ritrovata" della Cineteca di Bologna

Guardare un vecchio film restaurato al cinema è sempre un'emozione, ma quali sono i passaggi principali per "salvare" e far "rivivere" le vecchie pellicole? A rispondere è Céline Pozzi del laboratorio di restauro "L'Immagine Ritrovata" della Cineteca di Bologna

Di Federico Oselini - 22 novembre 2024 - 19:18

BOLOGNA. "Che hai fatto tutti questi anni Noodles? Sono andato a letto presto". Tutti, o quasi tutti, abbiamo impressa nella mente la "storica" risposta di Robert De Niro pronunciata nel capolavoro di Sergio Leone C'era una volta in America che, nelle scorse settimane, in occasione del quarantennale della sua uscita, è tornato sul grande schermo in versione integrale e restaurata.

 

Ma questo è solo uno dei tanti casi di vecchi, o vecchissimi film, che fanno capolino nelle sale cinematografiche vestendosi a nuovo, con immagini e suoni in alta definizione: spesso registrando il tutto esaurito, tanta è la curiosità e la voglia del pubblico di riprovare, per chi al tempo in sala c'era, o di apprezzare per la prima volta, per i più giovani, il "sapore" della pellicola. E gli esempi sono tanti: da Quarto Potere a Shining, fino ad un più "giovane" Pulp Fiction, nelle sale in questi giorni in occasione del 30esimo anniversario.

 

Al di là dell'entusiasmo per il ritorno in sala di questi grandi capolavori, quello che i più ignorano è il lungo e complesso procedimento che c'è dietro al restauro delle vecchie pellicole, che parte da un'accurata ricostruzione "filologica" della storia del film, per sconfinare nelle più moderne tecnologie. E per rispondere alla domanda "come avviene il restauro di un vecchio film?" abbiamo interpellato direttamente uno dei principali punti di riferimento internazionali d'ambito: il laboratorio "L'immagine ritrovata", che fa parte della Fondazione Cineteca di Bologna.

Ad accompagnarci nella scoperta di questa particolare attività è la project manager Céline Pozzi, che ci anticipa subito, sorridendo, che proprio il restauro di "C'era una volta in America" è opera loro. "Il nostro laboratorio, nato all'inizio degli anni Novanta, non crea autonomamente progetti di restauro ma lavoriamo su commissione dei nostri clienti, istituzioni pubbliche o private, o della stessa Cineteca di Bologna – spiega subito Pozzi – e negli anni siamo sempre stati al passo con i progressi tecnologici, con il settore digitale che negli ultimi tempi ha raggiunto un altissimo livello di specializzazione".

 

Addentrandosi nel percorso di restauro, ad essere spiegato è come ogni progetto parta dall'analisi preliminare degli elementi e delle fonti a disposizione. "Quello che ci serve innanzitutto è il negativo originale, quello sui cui hanno lavorato il regista e il direttore della fotografia, e reperibile spesso in archivi e cineteche – spiega Pozzi – e questo negli anni, e nei processi di duplicazione, può aver subito dei deterioramenti ed è possibile che non contenga neppure il film intero. Bisogna poi mettere insieme i vari elementi: la pellicola che contiene l'immagine, quella del suono, quella degli effetti speciali e dei sopratitoli".

Dopo questa prima fase di "ricerca e comparazione degli elementi filmici", si procede al restauro vero e proprio con la riparazione "manuale" che rappresenta il primo step e che mira a restituire l'integrità meccanica alla pellicola originale, per poterla poi scansionare efficacemente. "In primis la pellicola viene riparata dai vari danni come rotture, forzature e strappi, con le giunte che vengono eventualmente ricostruite – viene specificato – e inoltre si puliscono manualmente eventuali zone in cui la pellicola è sporca: fondamentale in questa fase è prestare attenzione sia alla funzionalità meccanica che all'estetica, trovando il giusto compromesso tra queste due dimensioni".

 

Un altro aspetto da tenere in considerazione è poi quello del decadimento chimico delle pellicole, che può portare ad un danneggiamento irreversibile dei materiali: a tal fine nel laboratorio è presente un'area dedicata ai "trattamenti chimici" – quali essiccazione, ammorbidimento e reidratazione – che possono contrastare, anche se solo temporaneamente, e per il tempo necessario alla digitalizzazione, questo processo "naturale e irreversibile".

 

Una volta ultimata questa prima fase, avviene il "passaggio" dall'analogico al digitale: "Con uno scanner apposito si procede alla scansione delle pellicole restaurate, anche quelle che versano nelle peggiori condizioni. La pellicola viene passata in un apposito gate, fotogramma per fotogramma, e filmata con una camera digitale mentre viene esposta tre volte ad un fascio luminoso, una per ogni colore primario RGB, e quella che si ottiene è un immagine ad alta risoluzione che può essere successivamente elaborata senza dover più intervenire sulla pellicola originale".

 

Ed ora che ci troviamo in una dimensione completamente "digitale", si può procedere a quella che può essere considerata a tutti gli effetti una post produzione con software dedicati per la "pulizia e il ritocco digitale", che possono lavorare simultaneamente per realizzare una vasta gamma di correzioni. "In questa fase vengono riscostruiti parzialmente o integralmente i vari fotogrammi e l'immagine viene stabilizzata – specifica Céline Pozzi – e vengono eliminate righe e spuntinature dovute all'usura subita dalla pellicola. Ad essere eliminati sono poi gli effetti di sporco, polvere o eventuali aloni di muffa nell'ottica di restituire un immagine e un suono nitidi e il più possibile fedeli all'originale".

Il passaggio più importante, nell'ottica di ottenere il miglior "look finale" per il film, è poi quello della correzione del colore, anch'esso effettuato in digitale. "Nel momento in cui viene scansionato un negativo originale si ottiene sempre un'immagine con molto dettaglio ma con basso contrasto – spiega Pozzi – e bisogna intervenire sull'intensità e la densità dei colori per ritrovare quelle atmosfere che erano state pensate al tempo da chi ha realizzato il film. Le correzioni possono essere di due tipi: quella primaria, che riguarda l'intera immagine, il contrasto, la luminosità, il colore e la saturazione, e quella secondaria che riguarda solo alcune aree del fotogramma o un singolo colore".

 

Dopo quest'ultimo passaggio, ci sorge però un dubbio: se l'obiettivo è quello di "recuperare" atmosfere e caratteristiche che sono andate perdute e che, nel caso ad esempio di pellicole molto vecchie, non possiamo vedere, a cosa ci si affida per non "tradire" o "snaturare" l'autenticità del film? "Questa è una bellissima domanda e per fare ciò dobbiamo effettuare quasi un'operazione archeologica andando alla ricerca delle fonti disponibili: se sono ancora rintracciabili – viene spiegato – i dettagli vengono chiesti direttamente al direttore della fotografia, o magari l'operatore di camera, oppure a chiunque abbia lavorato sul set del film. Se questo non è possibile, e capita spesso con i film molto vecchi, si utilizzano fonti esterne come indagini e documenti che possono aiutarci a comprendere il più possibile i vari dettagli, o addirittura critiche o recensioni del tempo che mettono in luce alcune caratteristiche delle pellicole".

 

E dopo quest'operazione, il film è quasi pronto per arrivare nelle sale, venendo trasformato in un file per la riproduzione. "Dal master di restauro si effettuano infine una serie di encoding, di codifiche, il cui risultato sono dei file contenenti il film originale restaurato completamente – conclude Céline Pozzi – e che permetteranno alle persone di fruirlo sia al cinema che sui dispositivi di riproduzione moderni, esattamente come noi lo abbiamo ricostruito".

 

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